I morti di Gaza

Mentre scrivo le truppe israeliane, in coincidenza con l’uscita di scena di Bush e l’ingresso di Barack Obama alla casa Bianca (il giorno dopo l’elezione Obama ha telefonato ad Abu Mazen, Olmert, Mubarak e al re di Giordania) si sono ritirate ai confini della striscia di Gaza, ma resta ancora da chiarire il “dopo” , sia per ciò che riguarda il blocco che da diciotto mesi Israele aveva istituito attorno a Gaza sia per quanto riguarda la ricostruzione di tutto ciò che gli Israeliani hanno distrutto nella forsennata risposta ai razzi di Hamas contro il blocco. Un fatto resta comunque certo: la forsennata decisione di Olmert, in dissenso anche con suoi ministri, ha indebolito Israele e modificato la sua immagine agli occhi del mondo. “Rastrellamenti casa per casa”, “scuole bombardate”, “bambini innocenti uccisi”. “Nuove armi sperimentate” contro gli ospedali dell’ONU. Cinquantaquattro anni dopo la conclusione della seconda guerra mondiale siamo tornati ad ascoltare e leggere, per quella decisione, notizie che ritenevamo appartenere al passato. Un passato contro cui avevamo combattuto e vinto. Invece c’è chi è tornato a ritenere che la soluzione di ogni problema – e certamente per Israele e non solo per Israele Hamas è un problema – sia nella forza delle armi e dei bombardieri, nei cannoni delle tanks, nella giustizia sul campo, nella affermazione del diritto di uno Stato a proclamare ciò che è bene e ciò che è male anche fuori dal proprio territorio. Il più grave torto del governo israeliano, e in particolare del presidente Olmert, è in questo cambiamento di campo che colloca lo stato di Israele nello stesso gruppo di coloro che hanno aggredito altri popoli così come era avvenuto, per responsabilità degli Stati Uniti, in Vietnam o sta avvenendo ancora oggi in Iraq. Con una decisione tanto più grave in quanto intervenuta dopo diciotto mesi di assedio a Gaza, da parte di un paese nucleare che ha sempre rifiutato i controlli dell’AIEA.

Purtroppo l’aggressione non ha trovato, almeno fino al momento in cui scrivo, risposte adeguate, valide per un futuro di pace.

Su tale ritardo nella reazione dell’organismo costituito nel 1944 a tutela dei popoli occorre meditare. Perché ciò significa che è cambiato qualcosa non solo a livello dei governi ma anche a livello delle coscienze degli uomini e a livello delle organizzazioni sociali e politiche. Non abbiamo forse ascoltato in Italia un portavoce per la politica estera di un partito di centrosinistra affermare che i problemi non si risolvono “solo” con la guerra? Evidentemente per costui la politica è solo un “anche”. E’ lecito sperare che avvengano anche in Italia correzioni dopo la forte svolta politica intervenuta negli Stati Uniti?

E non si dica che la sporca guerra non ha trovato nel mondo risposte adeguate per rispetto alla religione di Mosè. La religione non c’entra nulla con le guerre. Con nessuna guerra. Almeno da quando è iniziato l’Evo Moderno e si è chiuso nel XVIII secolo il periodo delle Crociate. Nessuno si è mai sognato di scrivere che questa o quella guerra austriaca contro l’Italia in fieri era una guerra contro la religione cattolica. Ciò non fu scritto, in definitiva, nemmeno nel 1870 per la presa di Roma. Più credibile è che si sia diffusa in governanti e governati l’ideologia della lotta al terrorismo, ideologia che ha portato a giustificare innumerevoli crimini e violazioni dei diritti umani. Si è dovuti arrivare allo sterminio a Gaza di quaranta bambini in una scuola dell’Onu “ dove non vi erano armi e da cui non era partita alcuna azione terroristica” perché vi fosse un sussulto che ha obbligato il governo israeliano a concedere tre ore di tregua al giorno al fine di consentire la distribuzione di aiuti umanitari alla popolazione più giovane e più concentrata del mondo.

La risoluzione delle Nazioni Unite non è stata accettata, sia da Hammas che da Israele. Fortunatamente è rimasta in piedi la mediazione franco-egiziana e , accanto ad essa e in favore di essa ha giocato, l’arrivo di Barrack Obama alla Casa Bianca con il suo forte messaggio di pace. Occorre chiedersi tuttavia perché , a differenza di quanto è avvenuto in altre situazioni, una forza dell’Onu non si sia interposta tra le due parti a garanzia di entrambe e non siano stati inviati subito osservatori delle Nazioni Unite. Non certo, come vorrebbe il governo italiano, sulla frontiera tra Gaza e l’Egitto ( che non risulta essere entrato in guerra) ma su quella tra Gaza e Israele. Indubbiamente si tratterebbe solo di una misura di atteaa che non risolve il problema. Ma darebbe il tempo, forse, per prendere finalmente atto di una situazione che in assenza di uno sbocco politico allargherà oltre i confini della Striscia il movimento di resistenza degli arabi di cui Hamas è espressione e che è oggettivamente alimentato dalle condizioni in cui una parte del popolo palestinese è costretto a vivere “su un pezzo di terra quasi invivibile, misera e diroccata: l’area più densamente popolata al mondo serrata da Israele e dall’Egitto in una morsa punitiva” (C. Caracciolo).

C’è veramente qualcuno che pensa che vivendo in sei persone per metro quadrato si possa star quieti a lungo? E che il problema si possa risolvere con una tregua unilaterale che non pone fine al blocco del territorio?

Ora si attende l’intervento dell’inviato nominato da Obama. Ma non si può confidare solo nell’intervento altrui per quanto valido.

Luciano Barca

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