I modelli di politiche passive in Europa durante la pandemia

Piera Loi muove dalla considerazione che un rischio globale come la pandemia del Covid 19 ha riportato al centro delle politiche nazionali ed europee il tema delle politiche passive, cioè di quegli strumenti che consentono ai lavoratori di prevenire il rischio della disoccupazione e di limitare il suo impatto economico. In questo breve intervento si individuano i tratti comuni e le differenze tra i diversi ordinamenti europei che hanno apportato modifiche ai sistemi di politiche passive, al fine di trarne qualche possibile lezione in chiave comparata.

I rischi globali, come la pandemia del Covid 19, ripropongono in termini inediti il problema di assicurare i lavoratori contro il rischio della disoccupazione causato dalla pandemia stessa. Molti Stati membri dell’UE avevano già istituito forme di politiche passive finalizzate a mitigare i rischi della disoccupazione. consistenti nella creazione o nell’ estensione di regimi di riduzione dell’orario lavorativo, con il contemporaneo intervento di sussidi pubblici. Questi strumenti, tuttavia, comportano un notevole aumento della spesa pubblica, pertanto l’Unione Europea con il Regolamento UE 2020/672 del Consiglio del 19 maggio 2020 (SURE-Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency) ha inteso sostenere gli Stati Membri nella creazione di tali strumenti diretti ad attenuare i rischi di disoccupazione durante l’emergenza sanitaria. Vale la pena sottolineare che questo Regolamento è stato adottato sulla base giuridica dell’art. 122 par.1 del TFUE nel quale si individua il principio di solidarietà (o spirito di solidarietà) tra Stati membri come presupposto che, dal punto di vista giuridico, consente il superamento della non bail-out clause. Un primo punto da sottolineare è dunque, a mio avviso, la scelta dell’Unione Europea di fondare tale strumento di sostegno delle politiche passive nazionali (pur nella forma di prestito) sul principio di solidarietà, che è alla base di ogni sistema di mutualizzazione dei rischi sociali.

Il regolamento non ha obiettivi di armonizzazione e, dunque, interviene all’interno di sistemi nazionali di politiche passive molto differenziati e che, durante la pandemia, sono stati oggetto di importanti modifiche. All’interno di un quadro europeo molto variegato si possono, tuttavia, evidenziare alcuni elementi comuni e alcune differenze nelle politiche passive degli Stati membri, nella convinzione che, dall’analisi comparata nell’ottica della mutua osservazione tra sistemi, si possa trarre qualche lezione utile nella ridefinizione delle politiche passive nazionali. Nel parlare di politiche passive. Intendiamo riferirci, innanzitutto, agli strumenti di Short Time Work Arrangement, (d’ora in poi STWA) cioè a quelle politiche passive che comportano l’erogazione di sussidi pubblici associati alla riduzione dell’orario di lavoro per tutti i lavoratori o solo per quelli di specifiche unità produttive. Si tratta di politiche passive in alternativa al licenziamento collettivo con una riduzione dell’orario accompagnata da una corrispondente (pro-rata) riduzione della retribuzione, così che i sussidi pubblici compensano la riduzione della retribuzione dei lavoratori. Si tratta di misure che hanno una durata temporanea e possono prevedere l’accompagnamento di misure di formazione (politiche attive).

In alcuni Stati le politiche passive del modello dei STWA erano state adottate da tempo: oltre alla Cassa Integrazione Giuadagni in Italia, si possono richiamare il chômage partiel (o activité partiel) in Francia e il Kurzarbeit in Germania e Austria. Non tutti gli ordinamenti europei, tuttavia, hanno tradizionalmente utilizzato questo tipo di politiche passive: nel Regno Unito e in Estonia non esistevano strumenti di STWA prima della pandemia Covid 19. Alcuni Stati (come Polonia, Ungheria, Svezia) hanno introdotto tali strumenti dopo la crisi finanziaria del 2009, mentre gli Stati che già da tempo utilizzavano tali forme di politiche passive, hanno apportato rilevanti modifiche a seguito della pandemia (es. Francia, Germania, Spagna, Italia, Olanda).

Le modifiche apportate ai sistemi esistenti di STWA, durante l’emergenza Covid, hanno riguardato in alcuni casi l’individuazione di una specifica causale Covid per la concessione del sussidio, consentendo un controllo rapido sulla sussistenza della stessa: così in Spagna è stata creata la causale della forza maggiore per Covid-19; in Italia è stata introdotta la causale specifica “Covid19“ per la Cassa Integrazione Guadagni; anche in Austria è stata introdotta una forma specifica di Kurtzarbeit il “Corona Kurtzarbeit”.

Un’ altra modifica ha riguardato l’allargamento del campo di applicazione degli STWA a lavoratori o imprese inizialmente non compresi (es. Italia, Germania, Spagna), consentendo un’espansione delle politiche passive a tutti i lavoratori, indipendentemente della dimensione aziendale e della tipologia contrattuale e, in molti casi, indipendentemente dalla natura subordinata o autonoma della prestazione lavorativa.

Quanto alla durata dei STWA durante la pandemia si è assistito in generale in molti ordinamenti ad una estensione della durata di queste misure di politica passiva (es. Francia, Austria) o ad un aumento dell’ammontare del sussidio (es. Belgio, Austria, Svezia, Germania) che va dal 70% fino al 90% del salario, al fine di garantire un’effettiva protezione dal rischio della disoccupazione che la pandemia ha indubbiamente aumentato.

La finalità di assicurare una protezione effettiva contro il rischio della disoccupazione ha portato molti Stati anche a semplificare ed accelerare la procedura per l’accesso ai sussidi pubblici: in Spagna le procedure per l’accesso all’ERTE ( Expediente de Regulación de Temporal de Empleo) sono state semplificate e snellite con la concessione del beneficio entro 10 giorni; in Austria l’Agenzia per l’Impiego AMS garantisce una approvazione preventiva del beneficio entro 48 ore, quando la richiesta comprende l’accordo sindacale.

La pandemia ha messo in evidenza che questi modelli di politica passiva sono un sostegno non solo per i lavoratori ma anche per le imprese, le quali normalmente devono contribuire al finanziamento dei costi delle stesse. In molti ordinamenti, tuttavia, durante la pandemia si è provveduto a ridurre in modo considerevole la partecipazione delle imprese al finanziamento dei costi delle politiche attive (es. Austria e Germania) o a garantire forme di decontribuzione previdenziale (es. Francia).

Quanto all’amministrazione delle politiche passive si rileva che in alcuni ordinamenti i servizi pubblici per l’impiego svolgono un ruolo centrale ed esclusivo (es. Austria, Germania, Irlanda), mentre in altri svolgono un ruolo nell’amministrazione delle politiche passive solo nei periodi di crisi o, comunque, sono coinvolti nella procedura in quanto ricevono una notifica della richiesta da parte delle imprese (Croazia, Bulgaria, Danimarca). In altri ordinamenti ancora è il sistema centrale dei servizi pubblici per l’impiego ad erogare i benefici pubblici (Spagna), mentre in altri ordinamenti l’amministrazione e l’erogazione dei benefici è riservata agli enti previdenziali (ad es. in Italia). E’ importante sottolineare il ruolo che i servizi pubblici per l’impiego possono svolgere nell’ambito delle politiche passive, in quanto sono i soggetti istituzionali che possono garantire al lavoratore la transizione da soggetto percettore di un trattamento di politica passiva a quello di destinatario di una misura di politica attiva, che consente la conservazione del posto del lavoro o facilita il reinserimento nel mercato del lavoro (in caso di perdita dell’occupazione). Da questo punto di vista il loro coinvolgimento diretto nell’ amministrazione delle politiche passive può rendere effettivo il principio, sempre sottolineato dall’Unione Europea fin dalle prime fasi della strategia europea per l’occupazione, dell’adattabilità.

Se, come si è detto, appare opportuno associare le politiche passive e le politiche attive del lavoro, il quadro comparato si presenta, da questo punto di vista, come estremamente differenziato. Vi sono ordinamenti che riconoscono un ruolo fondamentale alla formazione professionale come strumento per la riduzione del rischio della disoccupazione e che, in quanto tale, deve accompagnare la concessione dei benefici pubblici nella forma dei STWA. Alcune esperienze, almeno sulla carta, appaiono molto promettenti. Uno degli esempi più interessanti è rappresentato dal dispositivo ARME (Activité réduite pour le maintien en emploi) adottato a luglio del 2020 in Francia, che permette ai lavoratori di mantenere il posto di lavoro e alle imprese di conservare le loro competenze anche grazie all’intervento dei fondi per la formazione. I lavoratori ricevono il 70% del salario e l’impresa, a seguito di un accordo collettivo aziendale o di categoria, assume un’obbligazione non solo di mantenere l’occupazione, ma anche di garantire la formazione professionale ai lavoratori, con la possibilità di attivare i fondi interprofessionali per la formazione.

Anche nell’ordinamento spagnolo, almeno nella disciplina in vigore prima dell’emergenza, si prevede la formazione e la riqualificazione dei lavoratori percettori della politica passiva ERTE. Altresì la Germania sembra avere adottato questa prospettiva di rafforzamento del legame tra politiche passive e politiche attive: una delle proposte avanzate è quella di introdurre un assegno per la formazione continua pari al 90% del salario netto durante il periodo di sospensione parziale dell’occupazione (Kurtzarbeit).

Infine, si deve fare qualche valutazione sulle tecniche regolative utilizzate per introdurre le modifiche agli STWA esistenti durante la pandemia: va segnalato che in molti Stati ciò è stato possibile a seguito di accordi con le parti sociali (es. Austria, Spagna), mentre in altri ha prevalso la tecnica della decretazione d’urgenza e della regolamentazione di carattere amministrativo (es. della Francia e dell’Italia). Appare evidente che, in una visione di lungo termine, una stabile riforma dei sistemi di politica passiva non possa che fondarsi su accordi con le parti sociali alla ricerca di un nuovo modello di distribuzione dei rischi sociali.

Quali lezioni si possono dunque trarre dai paesi europei?

Innanzitutto un esempio da seguire è quello della semplificazione: molti ordinamenti hanno un unico strumento di riduzione dell’orario con intervento di sussidi pubblici, a fronte di altri (come l’Italia) che nel tempo hanno introdotti molteplici regimi, seppure con l’obiettivo di allargare il campo di applicazione degli istituti.

In secondo luogo, in alcuni ordinamenti le procedure di amministrazione, gestione, ed erogazione dei benefici pubblici sono molto rapide, sono spesso gestite direttamente dai servizi pubblici dell’impiego a livello territoriale. Come ad es. in Germania dove la domanda può essere fatta dal datore di lavoro o dalla struttura di rappresentanza dei lavoratori all’Agenzia del lavoro locale.

Appare, inoltre, come vincente il coinvolgimento delle parti sociali nella definizione generale dei modelli di politiche passive e nella facilitazione del percorso procedurale (Austria e Spagna).

Infine, si ritiene che si debbano accompagnare i processi di transizione dei lavoratori sospesi con efficaci piani formativi. Da questo punto di vista l’esempio francese di ARME, nonché la proposta tedesca dell’assegno di formazione, segnano una strada maestra da seguire. La formazione appare come un elemento chiave, uno strumento di protezione dal rischio della disoccupazione e allo stesso tempo uno strumento per le imprese e i lavoratori per affrontare le sfide dei rischi globali.

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