I Minori Stranieri Non Accompagnati alla prova della maggiore età

Martina Caroleo e Annalisa Cicerchia tornano ad occuparsi dei minori stranieri non accompagnati esaminando il delicato problema del passaggio dalla minore alla maggiore età. Le autrici mettono in luce le insufficienze dell’attuale normativa che andrebbe rivista riconoscendo, sulla scia di altri Servizi, che tra minorenni e adulti c’è una peculiare età intermedia, di fondamentale importanza per lo sviluppo dell’individuo; ciò favorirebbe una presa in carico dei ragazzi più completa e più favorevole alla loro reale integrazione sociale e alla conquista dell’autonomia.

Il minore straniero non accompagnato (MSNA), secondo l’art. 2 della L. 47/2017, è: “[…]il minorenne non avente cittadinanza italiana o dell’Unione europea che si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato o che è altrimenti sottoposto alla giurisdizione italiana, privo di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano”. Dei MSNA ci siamo già occupate sul Menabò fornendo dati e informazioni sulle loro caratteristiche e la loro consistenza. In questo articolo torniamo a parlarne per chiederci quale futuro il nostro sistema di accoglienza è in grado di assicurare a questi ragazzi.

Partiamo dal momento “finale”, ossia da quando il minore sta diventando o è diventato maggiorenne. A questo punto, ai sensi dell’art. 32 del Testo Unico per l’Immigrazione (L. 286/98), deve convertire in un permesso per studio, attesa occupazione o accesso al lavoro, lavoro subordinato o autonomo il permesso di soggiorno che gli è stato rilasciato durante la minore età. Per farlo dovrà inviare un kit, che viene fornito dagli uffici postali. Sono esclusi i ragazzi che hanno richiesto protezione internazionale o che sono coinvolti in procedimenti di ricongiungimento familiare, i quali a dicembre 2021 erano rispettivamente 1.547 e 355 su 12.284.

La procedura per ottenere il nuovo permesso è la seguente:

  • Ritirare il kit presso un ufficio postale;
  • Mettere insieme la documentazione sul percorso formativo o lavorativo di integrazione, compreso il parere del Ministero del Lavoro;
  • Allegare altri documenti di identità, alloggio, ecc.
  • Versare un contributo tramite bollettino postale;
  • Trasmettere tutto alla Questura.

Per ottenere la conversione, la domanda deve essere presentata alla Questura territorialmente competente 60 giorni prima del compimento del diciottesimo anno d’età tramite un tutore o un responsabile legale del minore, oppure entro i 60 giorni successivi. In questo caso, il maggiorenne può provvedere da solo.

I documenti che devono essere presentati mirano a dimostrare che nel periodo di permanenza da minore il ragazzo ha effettivamente svolto un percorso di integrazione. Al momento della domanda, quindi, il giovane deve essere iscritto ad un corso di studio, o a un programma di formazione, o al centro per l’impiego.

Alla Questura vanno presentate le copie, oltre che dei documenti personali e del vecchio permesso di soggiorno, anche del parere emesso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, delle certificazioni di frequenza di eventuali corsi scolastici e formativi o di contratti di lavoro, della disponibilità di alloggio corredata dal documento personale del proprietario dell’alloggio, una marca da bollo e la ricevuta del pagamento di un bollettino postale.

Il parere del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali non è vincolante e prevede una istruttoria, sulla base di una documentazione simile a quella richiesta dalla Questura territorialmente competente. Il parere del MLPS non è necessario qualora il ragazzo sia stato in Italia per almeno tre anni e che nel corso di questo tempo abbia svolto almeno due anni di percorso di integrazione sociale; oppure, qualora il ragazzo sia affidato a parenti entro il quarto grado; qualora, infine, per il minore sia stato richiesto il cosiddetto prosieguo amministrativo.

Non abbiamo elencato uno per uno tutti i documenti necessari per mero amore di precisione, ma per mettere in risalto due questioni: i) la documentazione da presentare è talmente varia e complessa che è altamente probabile che un giovane straniero abbia bisogno dell’aiuto di qualcuno; ii) l’integrazione, in questa interpretazione amministrativa, consiste nell’aver frequentato qualche corso o nell’avere un lavoro nonché – dato non secondario- nel disporre di un regolare alloggio. È irrilevante, ad esempio, che il ragazzo parli, legga e scriva correttamente l’italiano, o che sia socialmente integrato nel territorio in cui vive.

Ma come arrivano i msna a questo importante momento? Quali basi sono state gettate per affrontare la maggiore età e, quindi, il radicale cambiamento da una condizione in cui si è titolare, in quanto minorenne, di diritti inalienabili, a una condizione in cui si ha l’onore di dimostrare di avere diritto a rimanere?

Il msna-tipo, come abbiamo ricordato nel nostro precedente articolo, è un maschio fra i 16 e i 17 anni, che viene soprattutto da uno di questi 4 paesi: Bangladesh, Albania, Tunisia e Egitto. Anzitutto da questo identikit emerge che il tempo medio di permanenza nella condizione di minore è di uno/due anni. Inoltre, i Paesi di provenienza sono distanti, non solo dal punto di vista geografico, ma anche e soprattutto da quello culturale e linguistico. Quindi, il percorso di integrazione da certificare alla Questura per ottenere il nuovo permesso di soggiorno – con tutte le sue impegnative richieste, soprattutto considerando che si tratta di ragazzi soli e spesso analfabeti – dovrebbe essere non soltanto veloce, ma anche adeguatamente differenziato.

Per conoscere l’offerta delle comunità e dei Servizi Sociali facciamo riferimento al report semestrale pubblicato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sui percorsi di integrazione dei ragazzi che hanno richiesto il parere nel 2020 e nel 2021 (Fig. 1).

Figura 1: Pareri emessi per tipologia di percorsi di integrazione

In entrambi gli anni, la maggioranza dei msna è stata impegnata in un percorso scolastico, spesso di alfabetizzazione. Frequenti sono state anche le combinazioni di corsi scolastici e formativi (ad esempio corsi di orientamento al lavoro, di cittadinanza, oppure corsi più tecnico professionali). Un numero ridotto di msna ha studiato la lingua e lavorato ed una minoranza esigua ha soltanto lavorato. I più fortunati sono riusciti a a fare un’esperienza di tirocinio lavorativo, seguita da un’assunzione.

Ma la brevità del tempo a disposizione non permette, in generale, di raggiungere buoni risultati rispetto alla conoscenza della lingua e all’acquisizione della formazione necessaria per trovare un lavoro. La pandemia ha, naturalmente, aggravato le cose.

L’emergenza sanitaria ha colpito profondamente anche il sistema di accoglienza dei msna, che si è dovuto reinventare e rimodulare esattamente come è successo per il resto dei servizi, ma con maggiori difficoltà. Ad esempio, il passaggio alla didattica a distanza è stato particolarmente problematico per i ragazzi stranieri. E le già elevate difficoltà di accesso ad attività lavorative (compresi tirocini ed apprendistati) sono cresciute con le chiusure dei negozi e dei ristoranti che principalmente impiegavano i msna.

Il sistema ha trovato comunque qualche risposta: molte comunità di accoglienza si sono organizzate per tenere le lezioni di alfabetizzazione al proprio interno, con l’ausilio di docenti e volontari, ma con non pochi disagi.

Più in generale, si sono sviluppati percorsi alternativi per superare il limite del poco tempo a disposizione per mettere in atto un buon progetto di inclusione sociale. Il primo è l’inserimento, nel caso in cui ci sia disponibilità di accoglienza, nella rete SAI (Sistema di accoglienza e integrazione, come è stato rinominato dal D.L. 21 ottobre 2020, n.130, il Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati), che permette di prolungare l’accoglienza degli ormai ex msna per ulteriori 6 mesi, dopo il compimento della maggiore età.

C’è poi un altro dispositivo previsto dalla L. 47/2017 all’art 13: “Quando un minore straniero non accompagnato, al compimento della maggiore età, pur avendo intrapreso un percorso di inserimento sociale, necessita di un supporto prolungato volto al buon esito di tale percorso finalizzato all’autonomia, il tribunale per i minorenni può disporre, anche su richiesta dei servizi sociali, con decreto motivato, l’affidamento ai servizi sociali, comunque non oltre il compimento del ventunesimo anno di età”. Questo strumento permette idealmente di allungare lo stato di minore per un massimo di ulteriori tre anni. La domanda di solito viene fatta dai Servizi Sociali territorialmente competenti o dal tutore del msna al Tribunale per i Minorenni. La richiesta deve essere motivata e il Tribunale può accoglierla o meno, eventualmente fissando una durata inferiore ai 3 anni (ad esempio coincidente con la fine del ciclo di studi). Questi due strumenti non sono proposti a tutti i msna né sono da tutti loro fruibili.

Una volta compiuta la maggiore età, i ragazzi vengono dimessi dalla comunità e si, pone, quindi un altro problema: quello dell’alloggio. Le alternative sono poche. Nella prassi, all’avvicinarsi della maggiore età, la comunità e i servizi cercano di accertare, con il ragazzo, se ci siano parenti o amici che possano occuparsi del problema, e anche sostenerlo nella ricerca di un lavoro. Non sorprende che in un paese che si caratterizza per un welfare di tipo familiare, si investa la rete amicale o familiare della responsabilità di dare soluzione a questi problemi dei msna. In altri sporadici casi, i servizi riescono, per far fronte all’urgenza, a collocare i ragazzi in comunità per adulti, di fatto continuando una sorta di istituzionalizzazione.

Adottando la prospettiva dell’assistente sociale, che è quella di una di noi due, si impongono un paio di riflessioni. L’ integrazione sociale è un processo complesso, che fa sì che un individuo, con tutte le sue particolarità, diventi membro a pieno titolo di una società. Questo vuol dire, non solo conoscere la lingua e lavorare, ma anche costruire relazioni sociali, conoscere e fare proprie le norme e i costumi della società in cui si è inseriti. Al contrario, come dimostra quanto si è detto finora, il circuito di accoglienza, scolastico e formativo, proposto ai msna è ‘specializzato’ e ben poco integrato: le comunità accolgono esclusivamente minori stranieri, le scuole sono organizzate nell’ambito di progetti mirati ai msna o dai Centri Provinciali per l’Istruzione di Adulti (C.P.I.A.) che sono largamente frequentati da stranieri, o da Associazioni del Terzo settore, con la conseguente mancanza di un rapporto con i pari italiani che risulterebbe ben più efficace per una reale integrazione.

Concentrarsi esclusivamente sull’aspetto formativo professionale per valutare un percorso di inserimento sociale, tralasciando la componente umana emozionale, rischia di essere parziale, miope e non all’altezza della complessità del percorso da compiere. In un’epoca in cui tutti i Servizi si basano su valutazioni multidimensionali delle persone l’assenza di attenzione per le molte sfaccettature del problema dell’inclusione dei msna appare una mancanza particolarmente grave. Naturalmente le responsabilità non sono di chi, spesso impegnandosi ben oltre le aspettative, opera nel sistema dell’accoglienza. Il problema è lo scollamento tra l’impianto organizzativo previsto a livello normativo, e di conseguenza realizzato, da un lato, e la concreta complessità delle situazioni da affrontare quotidianamente, dall’altro.

A un diciottenne straniero chiediamo di provare di essere meritevole, tramite certificazioni e soprattutto chiediamo, in un Paese come il nostro, che a 18 anni sia regolarmente occupato. Chiediamo che sia autonomo nel provvedere a se stesso, sia dal punto di vista formativo e professionale, sia da quello della casa.

Sono richieste che non ci sogneremmo mai di fare ad un diciottenne italiano, perché lo riteniamo ancora troppo giovane e non capace di provvedere a sé stesso. E invece le facciamo a un diciottenne che è lontano migliaia di chilometri da casa, è solo e ha un mandato familiare migratorio sulle spalle.

Appare indispensabile ripensare questo sistema e il primo passo potrebbe essere quello di estendere il periodo di presa in carico. Molti servizi già si sono adeguati: nel carcere minorile la presa in carico arriva fino ai 25 anni; così anche in alcuni servizi psichiatrici.

Ma la questione più importante è abbandonare, perché anacronistica, la distinzione tra accoglienza per i minori e per gli adulti. Abbiamo imparato che tra queste due fasce di popolazione ce ne è una terza, con le sue peculiarità, che è quella composta da adolescenti e giovani adulti.

Ma per compiere un passo del genere è necessario pensare a questa materia delicata nell’ottica della policy e non della politics, slegandola dalla propaganda e affrontandola con il metodo e gli strumenti con cui si affrontano i problemi strutturali.

Schede e storico autori