Dopo giorni di accese polemiche, l’attenzione dell’opinione pubblica verso i mini-bot sta lentamente calando. Il tema però è sul tappeto e c’è da scommettere che ci rimarrà nei prossimi mesi.
Tutto è iniziato lo scorso 28 maggio, con l’approvazione di una mozione di indirizzo, a prima firma dell’onorevole Simone Baldelli (Forza Italia),che sollecita il Governo ad adottare misure per accelerare il pagamento dei debiti commerciali della Pubblica Amministrazione verso imprese che forniscono beni e servizi al settore pubblico.Tra le misure proposte, la mozione raccomandava di ampliare le“fattispecie ammesse alla compensazione tra crediti e debiti della pubblica amministrazione, oltre che la cartolarizzazione dei crediti fiscali, anche attraverso strumenti quali titoli di Stato di piccolo taglio.”
Al momento, la vera natura di questi titoli è oscura e nulla sappiamo delle loro caratteristiche, a parte il riferimento al piccolo taglio. Durante la conferenza stampa del 6 giugno scorso, Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea, ha affermato che i mini-bot “o sono valuta, e quindi sono illegali, oppure sono debito, e dunque lo stock del debito sale […] Non credo ci sia una terza possibilità [e comunque] la lettura che le persone e i mercati danno di questi mini-bot non sembra essere molto positiva”. Pochi giorni prima, il Governatore della Banca d’Italia, in un intervento al Festival dell’Economia di Trento, aveva sostenuto una posizione simile, ribadita negli ultimi giorni dal Ministro dell’Economia Giovanni Tria.
Come suggeriscono le parole diDraghi, o i mini-bot sono titoli di debito o sono uno strumento monetario da utilizzare come mezzo di pagamento. Nel primo caso, i mini-bot (debito) devono prevedere il rimborso in euro a scadenza e la possibilità di essere scontati e/o negoziati sul mercato secondario. Nel secondo caso, i mini-bot (moneta) devono avere potere liberatorio, limitato al pagamento delle imposte e dei debiti fiscali oesteso a tutte le transazioni su base volontaria.
L’esistenza di questa ambiguità, che permette di chiamare con lo stesso nome oggetti diversi fra loro, ha favorito dibattiti e polemiche a non finire tra economisti, giornalisti, blogger ed esperti monetari soi-disant. Nelle ultime ore, l’onorevole Borghi Aquilini, deputato leghista, Presidente della commissione Bilancio della Camera dei deputati e sostenitore della prima ora dei mini-bot (e dell’uscita dell’Italia dall’euro) ha spiegato in un’intervista a Repubblica che i mini-bot non sono una nuova moneta vera e propria ma un nuovo mezzo di pagamento.
Questa linea di difesa, che Borghi ne sia consapevole o no, rimanda al concetto di moneta parziale sviluppato da John Hicks nelle sue lezioni sulle triadi monetarie (J.R. Hicks, Saggi critici di teoria monetaria, Etas Compass 1971). Partendo dalla definizione delle funzioni fondamentali della moneta (unità di conto, intermediario degli scambi/mezzo di pagamento, riserva di valore), Hicks distingue tra monete complete e monete parziali. Le prime svolgono simultaneamente tutte le funzioni, le seconde solamente alcune di esse. I Mini-bot apparterrebbero a questa seconda categoria, non sarebbero una moneta completa ma una moneta parziale, una quasi-moneta dotata di potere liberatorio (parziale o totale a seconda dei casi), per rendere liquido, e dunque facilmente spendibile, qualcosa che al momento liquido non è (debiti arretrati della pubblica amministrazione).
Dal lato dei creditori, i mini-bot rappresenterebbero un credito da esigere in luogo del credito commerciale originario, un titolo da utilizzare per “pagare”le imposte o un mezzo di pagamento vero e proprio se accettato dalle controparti. Dal lato dello Stato,rappresenterebbero la sostituzione di un debito con un altro, sostituzione che può portare a una riduzione delle entrate fiscali di ammontare pari al valore dei mini-bot emessi (nel caso in cui questi possano essere utilizzati esclusivamente per pagare le imposte) o alla monetizzazione tout court del debito corrispondente, nel caso in cui i mini-bot siano accettati come mezzo di pagamento da segmenti ampi dell’economia.
A questo riguardo, già ora, nel nostro paese,circolano numerose monete diverse dall’euro:le monete complementari e le cripto-valute. La loro esistenza, non crea né allarme né scandalo, in parte per l’esiguità dei pagamenti effettuati con queste monete in rapporto ai pagamenti in euro, in parte perché si tratta di monete prive di valore legale, sui quali vigilano comunque le banche centrali e le istituzioni internazionali.
Le monete complementari (note anche come monete locali) sono mezzi di pagamento accettati su base volontaria senza corso legale. Servono a favorire la circolazione di beni e servizi all’interno di una comunità di riferimento. Nel nostro paese, esistono molti esempi di moneta complementare, dalla “famiglia degli ex” (Sardex, Tibex), all’arcipelago SCEC, dalle monete-tempo ai buoni-pasto. Su un piano diverso circolano le cripto-valute, monete globali al servizio del mercato virtuale, create per essere spese e accumulate al riparo del controllo statale (almeno fin quando lo Stato non decida altrimenti). Bitcoin, Ripple, Ethereum e tutte le altre cripto-valute offrono strumenti digitali, decentralizzati, basati sul principio della crittografia e sull’uso della tecnologia blockchain.
Le monete complementari e le cripto-valute, come ogni altra forma di moneta,circolano all’interno di uno spazio di riferimento (locale in un caso, globale nell’altro), abitato da una comunità (piccola o grande) che accetta di utilizzare queste moneta come intermediario degli scambi e mezzo di pagamento. La comunità esprime un’autorità che regola l’emissione e la circolazione della moneta, la sua convertibilità in altre monete, la possibilità di accumularla in forme diverse.
Nel caso dei mini-bot,lo spazio di riferimento sarebbe il territorio italiano e la comunità di riferimento quella nazionale ed è questo il problema. E’ difficile pensare che i mini-bot vengano accettati spontaneamente come mezzo di pagamento da ampi settori dell’economia italiana fino a quando esiste l’alternativa dell’euro e poiché l’Italia è parte dell’Unione Monetaria Europea non è possibile prevedere l’obbligo di utilizzare i Mini-bot. Inoltre, descrivere i Mini-bot come strumento di pagamento neutrale, per evocare subito dopo scenari di attacchi hacker, collasso del sistema dei pagamenti o “qualche alto casino”, per usare le parole del Presidente Borghi, non aiuta certo a sostenere la fiducia dei risparmiatori e delle imprese italiane nei confronti di questo nuovo strumento.
Per questi motivi non è facile pensare che i mini-bot possano diventare ‘spontaneamente’ un mezzo di pagamento e ancora meno che possano essere ‘imposti’ come tale. Restano dunque tre possibilità; che i mini-bot siano titoli di debito veri e propri da rimborsare a scadenza (ma in tal caso resta da chiarire il vantaggio per lo stato e per i creditori); che siano un metodo per pagare le imposte non necessariamente vantaggioso per lo Stato (come ha evidenziato Roberto Perotti, legando i mini-bot al tema della moneta fiscale); oppure che siano un modo per ‘confiscare’, puramente e semplicemente,i debiti commerciali verso la Pubblica Amministrazione.
A commento di tutto questo, vale la pena ricordare le considerazioni di un autorevole economista a proposito delle tre vie d’uscita da situazioni di debito insostenibile. “Il primo consiste nel ripudio del debito. Tuttavia, a meno che non sia il portato di rivoluzione, tale metodo è troppo crudo, troppo deliberato e troppo ovvio nelle sue implicazioni. Le vittime se ne accorgono immediatamente e gridano troppo forte. […] Il secondo metodo consiste nel deprezzamento della moneta, che diventa svalutazione quando è fissato e confermato dalla legge. […] I piccoli risparmiatori, come mostra l’esperienza, sopportano in silenzio queste immani rapine, mentre si sarebbero rivoltati contro un governo che avesse preso anche soltanto una frazione del medesimo ammontare attraverso strumenti più diretti ma giusti. Tale circostanza, tuttavia, non può giustificare di per sé un simile espediente. I danni indiretti che comporta sono molteplici. Anziché dividere l’onere fra i proprietari di ogni genere di ricchezza, con una certa graduazione, esso getta l’intero onere sui proprietari di titoli a interesse fisso, esenta il capitalista imprenditore, o addirittura lo arricchisce, e colpisce duramente tanto i piccoli risparmiatori quanto le grandi fortune. Esso segue la linea di minor resistenza, e impedisce di assegnare a ciascuno le sue responsabilità. Si tratta, per dire così, del rimedio naturale che opera silenziosamente quando l’organismo politico ha rinunciato a curare se stesso. L’ultimo rimedio, quello scientifico, l’imposta patrimoniale, non è mai stato sperimentato ancora su larga scala e forse non lo sarà mai. Si tratta del metodo razionale, deliberato. Ma è difficile da spiegare e provoca violenti pregiudizi, poiché entra in conflitto con gli istinti profondi con cui l’amore del denaro protegge se stesso. A meno che il paziente non arrivi a comprenderne e a condividerne gli intenti, non accetterà di sottoporsi a un intervento chirurgico così drastico”.
L’autore di queste parole è J.M. Keynes, che nel suo Trattato sulla riforma monetaria, pubblicato nel 1923 e tradotto in italiano da Piero Sraffa, ci ricorda che posto di fronte a un debito intollerabile o lo Stato lo ripudia toutcourt, o introduce un’imposta patrimoniale per raccogliere entrate straordinarie con le quali liberarsi di quel debito una volta per tutte o sceglie la strada della monetizzazione e dell’inflazione, che azzera il valore dei debiti in termini reali pur senza dichiarare default.
I mini-bot sono pensati come mezzo per facilitare i pagamenti arretrati associati a queste passività. Nel caso in cui la loro emissione venisse percepita come l’inizio di una monetizzazione (seppur parziale) del debito pubblico o, peggio ancora, come segnale di un imminente default, la situazione potrebbe precipitare. I risparmiatori italiani possono non aver letto Keynes ma hanno oggi molte più possibilità, rispetto al passato, di proteggersi dalle ‘immani rapine’ dello Stato, portando all’estero i propri capitali con evidenti ricadute negative sulle banche e sull’economia. C’è da sperare che i sostenitori dei mini-bot ne siano consapevoli.