I meccanismi di incentivazione nell’Agenzia delle entrate

Fiscus descrive il meccanismo di incentivazione adottato per il personale civile dell’amministrazione fiscale, allo scopo di chiarirne i possibili effetti perversi. Sovente si ritiene che tale meccanismo possa indurre comportamenti opportunistici nei confronti dei contribuenti da parte del personale. Fiscus sostiene che tali preoccupazioni sono eccessive, dato che gli incentivi monetari non vengono corrisposti al personale nel caso di contestazioni sub judice e l’entità dei premi non è collegata agli importi e agli esiti degli accertamenti.

Da tempo si è diffuso nell’opinione pubblica il convincimento che il meccanismo di incentivazione della produttività adottato dall’Agenzia delle entrate possa indurre il personale a forzature e comportamenti illegittimi nell’intento di raggiungere gli obiettivi di produzione assegnati.

Può essere utile, pertanto, riassumere brevemente il meccanismo di incentivazione adottato per il personale civile dell’amministrazione fiscale, allo scopo di chiarirne l’effettiva portata e i possibili effetti indotti.

La norma di legge che ha previsto – in relazione all’obiettivo di recupero del gettito evaso – incentivi a tutto il personale dell’amministrazione finanziaria risale al 1997. L’obiettivo che l’Agenzia viene impegnata a raggiungere con la Convenzione, stipulata ogni triennio con il ministro dell’economia e delle finanze ai sensi dell’art. 59 del d.lgs. n. 300/1999, è quello di recuperare effettivamente l’importo di imposte evase stabilito, cioè quanto è stato riscosso a titolo definitivo. Deve trattarsi, insomma, di somme recuperate che non sono più in alcun modo sub iudice, o perché la legittimità del prelievo è stata accertata dai giudici tributari con sentenze passate in giudicato o perché essa è stata riconosciuta dallo stesso contribuente con la sua adesione all’accertamento o mediante istanza di conciliazione nel giudizio eventualmente promosso contro l’amministrazione.

Il sistema definito dalla Convenzione, sul quale si basa il rapporto fra Autorità politica ed agenzie fiscali, prevede l’erogazione di una quota incentivante all’Agenzia nel suo complesso, al raggiungimento degli obiettivi assegnati, che sono articolati e riguardano le diverse attività istituzionali (oltre a quella del controllo fiscale, quella dei servizi di informazione e assistenza ai contribuenti, nonché quella dei rimborsi d’imposte). E’ necessario precisare che per nessun dipendente la misura del premio è direttamente correlata all’importo di accertamenti dallo stesso emessi e andati a buon fine.

Sulla base di accordi sindacali, che riguardano tutto il personale, la quota si ripartisce tra i diversi uffici e i singoli appartenenti a ciascun ufficio e remunera l’intera gamma delle attività svolte, tenendo conto della quantità e della qualità del lavoro svolto in ogni settore (front office, back office, verifiche esterne all’ufficio, ecc.). I criteri di ripartizione dei premi fra gli uffici dell’Agenzia e all’interno degli uffici sono chiari, trasparenti e pubblici (come riportato nella figura che segue), perché sono contenuti in accordi sindacali che, per disposizioni di legge (d.lgs. n. 150/2009, art. 55, comma 4, e d.lgs. n. 33/2013, art. 21, comma 2), tutte le amministrazioni pubbliche sono tenute a pubblicare nei loro siti istituzionali.

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Per quanto poi riguarda, più in particolare, la retribuzione di risultato dei dirigenti, essa naturalmente tiene conto dei tetti posti alla retribuzione complessiva dei dirigenti pubblici dall’art. 23-ter del decreto-legge n. 201/2011, convertito dalla legge n 214/2011. In sostanza, per i massimi dirigenti dell’Agenzia la retribuzione di risultato dovrebbe aggirarsi intorno ai 56.000 euro al lordo degli oneri contributivi e fiscali.

Sul piano del tutto teorico non può escludersi in assoluto che il sistema di incentivazione possa indurre comportamenti opportunistici da parte di singole strutture, volti al più agevole raggiungimento degli obiettivi monetari fissati attraverso la concentrazione dell’attività di controllo su contribuenti maggiormente disposti al pagamento delle somme accertate. Si tratta di un’ipotesi però che trascura la circostanza che una parte rilevante dell’attività di accertamento ha carattere sostanzialmente vincolato (verbali e segnalazioni della Guardia di Finanza, procedimenti penali, segnalazioni dei comuni, ecc.) e che essa è inquadrata in direttive annuali emanate dal direttore dell’Agenzia (si veda, da ultimo, la recentissima circolare n. 16 del 2016), che impongono agli uffici una differenziazione e distribuzione dell’attività tra i diversi settori di attività e le diverse tipologie di contribuenti.

A ciò si aggiunga che la possibilità di comportamenti opportunistici è smentita nei fatti dall’elevato numero degli accertamenti che vengono contestati (e sottoposti, quindi, a organi giurisdizionali indipendenti) o che, comunque, non vengono definiti bonariamente mediante i c.d. “istituti deflativi” del contenzioso (acquiescenza, adesione all’accertamento, definizione del verbale).

In conclusione, si può quindi ritenere che i meccanismi di definizione dei premi di produttività del personale dell’Agenzia delle Entrate non appaiono nei fatti generare incentivi distorti nei comportamenti del personale, anche perché, va ribadito, gli incentivi monetari non vengono corrisposti nel caso di contestazioni ancora sub judice e, a livello individuale, l’entità dei premi non è collegata agli importi e agli esiti degli accertamenti.

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