I giovani e la politica: una partita senza pallone

Parlare della vita pubblica delle società occidentali senza considerare l’individualismo che vi si è affermato negli ultimi decenni sarebbe come scrivere un trattato di medicina sullo stato di salute dei popoli dell’Europa dell’Est omettendo Chernobyl.

In nome di una visione esclusivamente produttivistica e competitiva della società, la Cosa Pubblica, nel comune sentire, è divenuta ben poca cosa.

I ragazzi e le ragazze che scelgono di assumersi un impegno politico attivo restano una minoranza ma mi sembra di notare un crescente interesse attorno alle problematiche di cui si dovrebbe occupare la politica. La maggior parte di essi scelgono di spendere le proprie energie in associazioni e movimenti, piuttosto che nelle sezioni di partito e questo deve fare riflettere.

Sarebbe molto facile e sbrigativo bollare il tutto come Antipolitica ma anche molto sterile e pericoloso.

Perché molti ragazzi e ragazze scelgono di impegnarsi al di fuori dei partiti?

Il primo motivo è che, secondo me, c’è una maggiore voglia di fare “qualcosa per” piuttosto che “qualcosa contro” , voglia che viene sempre più disattesa dalla politica, la quale oggi vive, come in preda ad una continua e delirante febbre da campagna elettorale, di sola contrapposizione, una contrapposizione più personalistica che ideologica. Così facendo i contenuti si rarefanno.

A volte si ha quasi l’impressione di assistere ad una paradossale partita di calcio giocata senza pallone.

Questa malsana competizione sembra emergere anche nelle lotte intestine presenti all’ interno dei singoli partiti, dove, a cominciare dalle realtà locali, troppo spesso, prevalgono le logiche arriviste di gruppetti di potere, secondo una visione che fa coincidere la politica con un qualsiasi altro mestiere e scioglie le briglie ad una mandria di puledri scalpitanti che sembrano usciti dal marchio Ferrari e che, in nome del ricambio, portano avanti, in verità, un carrierismo ambizioso e cinico.

Altra cosa che penalizza i partiti del dopo-crisi , secondo me, è il fatto che di fronte ad una economia globalizzata, all’arroganza delle multinazionali e di una finanza sconsiderata, gli Stati nazionali, da soli, rischiano di fare la parte di un topolino chiamato ad arbitrare una partita di rugby tra bisonti.

Molti giovani si rendono conto di quanto sia inadeguata una politica che ha perso la sua dimensione internazionale. Una politica frammentata e di corto respiro, di cui si cibano i particolarismi.

Insomma, non ogni critica ha il sapore dell’Antipolitica. E’ doveroso, secondo me, discernere.

Io, ad esempio, evitando di prendere in esame le frange estremiste e violente, vedo tre diversi attori sociali.

Il qualunquista, che denigra tutto senza essere informato su niente perché questo fa da alibi al suo disimpegno civile e somiglia a un pazzo, tanto per usare una metafora, che scende in strada col mitra spianato, sparando a tutto ciò che si muove.

Poi c’è l’opportunista (particolarmente prolifico in habitat borghese), che accetterebbe qualunque cosa pur di stare con la squadra che vince. E’ quello che Gaber definiva “aerostato gonfiato dall’informazione” e, sempre metaforicamente, si potrebbe descrivere come uno che va in giro disarmato predicando la pace, ma in realtà la confonde con l’amnistia.

Se è vero, come è stato spesso detto, che nella notte del qualunquista tutte le vacche sono nere, si può altrettanto serenamente affermare che sull’Equatore dell’opportunista la luce è talmente accecante da farle apparire tutte bianche(le vacche).

Ed infine c’è il cittadino dotato di una coscienza civile, quello che avverte il peso della propria appartenenza ad una comunità e si fa carico della sua fetta di responsabilità. Questa figura se la dice poco con l’opportunista perché ha un senso di giustizia troppo elevato per accettare tutto, ma non va d’accordo nemmeno con il qualunquista perché ha un’indole da architetto e non da sfasciacarrozze.

Perdere il contributo sincero e appassionato di queste persone avrebbe conseguenze tragiche.

Esse costituiscono l’arteria coronaria di una democrazia ed un’ “emorragia” di questo tipo risulterebbe fatale. E’ un bene da valutare da un punto di vista qualitativo, non quantitativo e sarebbe sbagliato affidarsi al mero dato numerico, alle statistiche stilate a getto continuo dai quotidiani e assunte a Vangelo da buona parte dei politici odierni.

Dopo la crisi dei grandi partiti della Prima Repubblica stiamo vivendo una fase transitoria, di riorganizzazione. La nostra democrazia si muove a tentoni su territori nuovi e nebulosi.

Chi ci guida deve esser bravo ad orientarsi, ma altrettanto bravo, citando un bellissimo pensiero di Tom Benetollo, ad illuminare il cammino di chi lo segue. E questa luce, secondo me, può nascere soltanto da due elementi: passione e coerenza.

Senza queste due componenti c’è il rischio, ovunque si vada, di voltarsi un “bel giorno” e ritrovarsi, come in quella canzone che vinse tra gli emergenti il Sanremo di qualche anno fa, “soli e vecchi”.

Nessun Paese può permettersi di rinunciare alla forza, alla fantasia e all’idealismo dei giovani, qualunque età essi abbiano!

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