I differenziali salariali tra settore pubblico e privato in Italia

Sergio Destefanis e Paola Naddeo analizzano i divari salariali tra settore pubblico e privato in Italia, tenendo conto del ruolo dell’anzianità e del genere. Dopo aver spiegato la metodologia di analisi utilizzata, gli autori rilevano che il premio salariale nel settore pubblico è maggiore per le donne rispetto agli uomini, per le retribuzioni orarie rispetto a quelle mensili e per i livelli di istruzione medio-bassi. Infine la discriminazione di genere è minore per le donne con basso livello di istruzione che lavorano nel settore pubblico.

Il mercato del lavoro del settore pubblico presenta caratteristiche peculiari che lo differenziano da quello del settore privato: sono diverse regole di determinazione dei salari, di assunzione, di licenziamento, di anzianità ecc. Ciò è alla base della diffusa convinzione che i dipendenti pubblici godano di particolari privilegi. Tuttavia, negli ultimi anni, la generalità delle economie europee ha adottato misure di contenimento della spesa pubblica che hanno raffreddato le dinamiche salariali nel pubblico impiego.

Per effettuare confronti omogenei tra lavoratori si è fatto ricorso ai dati dell’indagine Structure of Earnings Survey (SES) condotta da Eurostat nell 2010, che contiene numerose informazioni sulle retribuzioni (orarie e mensili) dei lavoratori e sulle loro caratteristiche (genere, età, livello di istruzione, tipo di impresa, ecc.). Si è scelto di comparare i lavoratori del settore pubblico con quelli delle imprese con almeno 250 dipendenti del settore privato (GIP), in modo da considerare settori maggiormente simili, in termini di regole e tasso di sindacalizzazione.

La letteratura economica considera quasi esclusivamente le retribuzioni orarie. Tuttavia, a causa delle difficoltà di misurazione del numero di ore di lavoro retribuite in alcune professioni – prevalentemente pubbliche, in particolare nel comparto dell’istruzione –, il dato relativo alle retribuzioni orarie potrebbe non essere correttamente stimato.

In media, i dipendenti pubblici beneficiano di un divario salariale “grezzo” mensile rispetto ai dipendenti delle GIP pari al 5,5%, che cresce al 24,6% quando si considerano le retribuzioni orarie, con valori più elevati per le donne (Fig. 1).

 

Fig. 1. Retribuzioni (lorde) mensili e orarie per i lavoratori a tempo pieno, 2010 (Numero indice: Retribuzione del dipendente del settore pubblico =100; il settore privato include le GIP)

Le retribuzioni orarie per livello di istruzione mostrano un evidente vantaggio per i dipendenti del settore pubblico per tutti i livelli di istruzione, anche se per i dipendenti con un livello compreso fra l’istruzione secondaria inferiore e i titoli post diploma non universitari il vantaggio non è molto grande (soprattutto per le donne).

Sulla base della classificazione delle occupazioni ISCO-08, i lavoratori dipendenti sono stati distinti in tre gruppi: Manager (livello 1 della ISCO-08), Professionisti (livelli 2 e 3) e Altri. Per i Manager si registra un divario salariale a favore delle GIP solo per gli uomini, mentre le donne manager ottengono un beneficio salariale nel settore pubblico. Per i Professionisti, così come per gli Altri, emerge un ampio vantaggio per i dipendenti pubblici, in particolare se donne.

L’entità dei differenziali salariali “grezzi” dipende dalle caratteristiche dei lavoratori presenti nei diversi settori. Il settore pubblico si caratterizza per una maggiore incidenza relativa delle donne; i dipendenti pubblici sono in media maggiormente istruiti: la quota di dipendenti con un livello di istruzione universitario o post-universitario è pari al doppio rispetto a quella delle GIP. La job tenure – ovvero l’an­zianità di servizio presso lo stesso datore di lavoro – è molto più lunga nel settore pubblico. Mentre nelle GIP la job tenure è più elevata per gli uomini, nel settore pubblico in media non vi è alcuna differenza rilevante tra maschi e femmine. La maggiore stabilità occupazionale nel settore pubblico e condizioni di la­voro più family-friendly potrebbero contribuire a spiegare la maggiore attrattività del settore pubblico per le donne.

La letteratura ha messo in evidenza come i salari tendano in generale a crescere al crescere della job tenure. Le principali teorie economiche a sostegno di questa tesi sono quelle del capitale umano, dei salari di efficienza, e dei contratti impliciti. Molte delle teorie del lavoro basate su modelli non competitivi assegnano un ruolo fondamentale alla presenza dei sindacati nello spiegare la relazione tra anzianità di servizio e salari. Dai dati emerge effettivamente una dinamica delle retribuzioni nel ciclo di vita collegata alla durata del rapporto di lavoro, specialmente per le retribuzioni orarie del settore pubblico.

Fig. 2. Retribuzioni (mensili e orarie) e job tenure

Per verificare l’esistenza di un wage premium a favore dei lavoratori del settore pubblico, si è fatto ricorso a tecniche econometriche di scomposizione dei salari, quali quella proposta da Oaxaca e Blinder nel 1973. Uno dei principali limiti di questo approccio è che i risultati ottenuti rappresentano solo valori medi. Per affrontare il problema dell’eterogeneità fra lavoratori si è adottato l’approccio proposto da Ñopo nel 2008, che restringe il confronto a lavoratori con caratteristiche simili. Entrambi gli approcci consentono in ogni caso di distinguere la parte del divario salariale spiegata da differenze nelle caratteristiche dei lavoratori (oltre che delle imprese di appartenenza) e quella, residuale, non spiegata da differenze nelle caratteristiche, che può essere denominata discriminazione o premio (anche se potrebbe dipendere da caratteristiche non osservate dei lavoratori e dei posti di lavoro).

Di seguito si riportano solo i risultati ottenuti con l’approccio di Ñopo, indicando con D e Do, rispettivamente il divario totale e la differenza non spiegata, espressi in termini percentuali; per Do viene indicato anche il valore dello standard error. Il doppio asterisco indica un valore statisticamente significativo al 99%, l’asterisco singolo al 95%. Nell’analisi si fa sempre riferimento alle retribuzioni lorde dei lavoratori full-time.

I risultati mostrano che il premio salariale nel settore pubblico esiste solo quando si considerano le retribuzioni orarie (Tab. 1). Le donne nel settore pubblico godono di una posizione relativa migliore rispetto agli uomini: si osserva, infatti, un premio salariale nel settore pubblico per le donne, più alto per le retribuzioni orarie che per quelle mensili. In quest’ultimo caso, il premio salariale pubblico diventa negativo. Ciò sembra indicare l’esistenza di orari di lavoro mediamente più lunghi nel settore privato, ma potrebbe anche rappresentare la difficoltà di stimare gli orari di lavoro per alcune professioni, come ad esempio l’insegnamento.

Tab. 1. Stima del premio salariale (settore pubblico versus GIP) – Retribuzioni mensili e orarie (valori in logaritmi)

Al fine di ridurre il rischio che i risultati ottenuti possano derivare da eterogeneità non osservata tra i lavoratori, si è ripetuta l’analisi per tre diversi livelli di istruzione: Basso (al più istruzione secondaria inferiore), Medio (diploma di scuola secondaria superiore o titolo post diploma ma non universitario) e Alto (laurea o post-laurea). I risultati mostrano che il premio salariale è maggiore per i dipendenti pubblici maschi con un livello di istruzione basso mentre per le donne esso è più alto per il livello di istruzione medio (Tab. 2).

Tab. 2. Stima del premio salariale per livello di istruzione (settore pubblico versus GIP) – Retribuzioni mensili e orarie (valori in logaritmi)

Le simulazioni condotte per settori produttivi (Istruzione, Sanità, Servizi di pubblica utilità) mostrano risultati da valutare con particolare cautela, a causa del ridotto numero di osservazioni e della differente natura dei servizi offerti dal settore pubblico e da quello privato. Nel settore dell’Istruzione si registra un forte premio salariale pubblico per le donne specie per le retribuzione orarie, mentre i maschi risultano svantaggiati specie per le retribuzioni mensili; nel settore della Sanità si ha un premio salariale positivo per il settore pubblico (sia per le retribuzioni mensili che orarie), in generale più alto per le donne rispetto agli uomini; per i Servizi di pubblica utilità si riscontra l’esistenza di un premio salariale pubblico molto modesto (statisticamente non significativo) quando si considerano le retribuzioni mensili che diviene addirittura negativo per le retribuzioni orarie.

L’evidenza empirica mostrata ha messo in luce come le donne stiano relativamente meglio nel settore pubblico rispetto agli uomini. Al fine di verificare se nel settore pubblico vi sia effettivamente una minore discriminazione di genere, si è ripetuta l’analisi confrontando le retribuzioni di uomini e donne. Le stime ottenute per le retribuzioni mensili mostrano un gender pay gap maggiore nel settore pubblico (0,223) che nelle GIP (0,155); i risultati si invertono nel caso delle retribuzioni orarie: 0,111 nel settore pubblico e 0,130 nelle GIP (Tab. 3).

Tab. 3. Divario salariale e discriminazione di genere (settore pubblico versus GIP) Retribuzioni mensili e orarie (valori in logaritmi)

Esiste peraltro la possibilità che i risultati della tabella 3 risentano di effetti di composizione. La discriminazione è, infatti, minore nel settore pubblico rispetto al privato per bassi livelli di istruzione e diventa maggiore, soprattutto quando si considerano le retribuzioni mensili, per gli alti livelli di istruzione.

In conclusione, la scomposizione dei differenziali salariali mostra che esiste un premio salariale pubblico essenzialmente a vantaggio dei segmento femminile della forza lavoro e per quanto riguarda le retribuzioni orarie. Le stime disaggregate per livello di istruzione consentono di individuare alcuni aspetti che esercitano effetti sistematici sul premio salariale. Queste evidenze confermano alcuni risultati già noti della letteratura, che fanno soprattutto riferimento a un peso maggiore dei contratti collettivi e dei sindacati per i dipendenti con livello di istruzione basso e medio. Tenendo conto di ciò, sarebbe interessante verificare il grado di sindacalizzazione di uomini e donne per vari livelli di istruzione. Sfortunatamente queste informazioni non sono disponibili.

Per ciò che riguarda la discriminazione di genere vera e propria, da stime aggregate essa sembrerebbe essere maggiore nel settore pubblico che nelle GIP. Anche in questo caso, però, è utile considerare stime disaggregate per livello di istruzione, dalle quali si riscontra una situazione relativamente più favorevole nel settore pubblico per le donne con livelli di istruzione medio-bassi.

Questo articolo sintetizza un nostro più ampio lavoro pubblicato nel volume “Il mercato rende diseguali? La distribuzione dei redditi in Italia” a cura di M. Franzini e M. Raitano, Il Mulino, 2018.

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