I contenuti della proposta dell’INPS di riforma del sistema previdenziale

L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale ha di recente avanzato, in un documento dal titolo “Non per cassa, ma per equità”, una proposta di riforma del sistema previdenziale. In una Scheda a cura della Redazione vengono illustrati sinteticamente i contenuti di questa proposta che si articola su due linee di intervento: la prima si propone di fornire un sostegno assistenziali ai disoccupati over 55; la seconda di rendere più flessibile il passaggio al pensionamento, correggendo sotto questo aspetto la riforma del 2011

La lunga serie di riforme introdotte in Italia dal 1992 in poi non sembra avere attenuato la tendenza a formulare nuove proposte di interventi in ambito previdenziale. La più recente è quella dello stesso Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) che è stata pubblicata con il titolo: “Non per cassa, ma per equità ”. L’obiettivo di questa scheda è descrivere sinteticamente i contenuti di tale proposta, che prevede alcune linee di intervento, sia in ambito sia previdenziale che assistenziale.

La prima linea d’intervento si focalizza sugli individui dai 55 anni di età in su con l’obiettivo di fornire loro un sostegno assistenziale di ultima istanza, vista l’estrema difficoltà che incontrano a trovare un nuovo impiego una volta che siano caduti nella disoccupazione. Negli obiettivi dell’INPS, tale sostegno rappresenterebbe il primo passo per l’introduzione nel nostro paese di quel reddito di ultima istanza basato sui principi dell’universalismo selettivo (concesso cioè a tutti i bisognosi, indipendentemente da specifiche “categorie” di appartenenza) di cui il nostro paese, unico nell’Unione Europea insieme alla Grecia (dove peraltro è in corso una sperimentazione), è tuttora privo.

Nel dettaglio l’INPS suggerisce di introdurre un reddito minimo garantito di importo mensile pari a 500 euro (400 nel 2016 e nel 2017) per un single ultra-cinquantacinquenne. Per nuclei con più di un componente (anche non over 55) l’importo del trasferimento garantito viene calcolato applicando la scala di equivalenza OCSE modificata (ad esempio, per una coppia senza altre fonti di entrata la prestazione ammonterebbe a complessivi 750 euro mensili). Il trasferimento monetario, denominato SIA55 (Sostegno di inclusione attiva per ultra 55enni), verrebbe dunque concesso a integrazione della differenza fra la prestazione garantita e il valore ISE del reddito della famiglia (se, ad esempio, per la coppia richiamata in precedenza tale valore fosse di 600 euro, il trasferimento effettivo ammonterebbe a 150 euro). Per rendere maggiormente selettivo il SIA55, l’accesso alle prestazione è, inoltre, vincolato a limiti relativi al patrimonio immobiliare e mobiliare.

La proposta prevede, inoltre, incentivi monetari che favoriscano un eventuale reinserimento attivo degli over 55, in modo da non scoraggiare l’accettazione di lavori con retribuzioni relativamente basse (nei primi 10 mesi di nuova occupazione la retribuzione iniziale verrebbe computata solo parzialmente nella determinazione dell’ISE familiare, in modo da non generare fenomeni di “trappola della povertà”).

Tale misura persegue, quindi, un obiettivo prevalentemente assistenziale, a favore di gruppi di individui che potrebbero incontrare forti difficoltà occupazionali, in particolare nelle fasi negative del ciclo economico. Non può, invece, essere associata a schemi di prepensionamento, o pensione minima, dato che per accedervi non sono previsti requisiti aggiuntivi di carattere contributivo (ad esempio, relativi all’anzianità contributiva o alle caratteristiche della storia lavorativa precedente).

La seconda linea di intervento si concentra sulla possibilità di rendere maggiormente flessibile il passaggio al pensionamento dopo che, come è noto, la riforma del 2011 ha innalzato, nettamente e bruscamente, i requisiti contributivi e di età anagrafica richiesti per ritirarsi dal lavoro.

Per recuperare qualche grado di flessibilità nell’accesso al pensionamento, l’INPS propone di offrire la possibilità di ritiro anticipato – con una “correzione attuariale” dell’importo della pensione – a chi ha almeno 63 anni e 7 mesi di età. La correzione attuariale consisterebbe in una riduzione della quota di pensione calcolata in base al metodo retributivo pari a circa il 3% per ogni anno di differenza fra l’età anagrafica al momento di andare in pensione e l’età di pensionamento “normale” (o di riferimento) a una certa data (attualmente fissata a 66 anni e 3 mesi).

L’introduzione delle due proposte “espansive” relative al reddito minimo e alla flessibilità dell’età pensionabile richiede risorse che, secondo l’INPS, dovrebbero provenire dall’interno del sistema di welfare e non facendo ricorso alla fiscalità generale. In particolare, le risorse verrebbero reperite in due modi: rimodulando la spesa assistenziale e ricalcolando parte delle pensioni retributive in pagamento.

Relativamente al primo modo, l’INPS suggerisce di reperire le risorse migliorando la selettività della spesa assistenziale destinata agli individui al di sopra dei 65 anni. L’INPS sottolinea infatti che – a causa spesso dell’incoerenza fra i diversi strumenti di sostegno oggi previsti per gli anziani in condizione di disagio (almeno otto, fra i quali, le integrazioni al minimo e gli assegni e le pensioni sociali) e i requisiti di accesso a questi istituti – della spesa assistenziale oggi beneficiano anche individui appartenenti a nuclei familiari ad alto reddito; in particolare, il 30% dei nuclei appartenenti ai 3 decili superiori della distribuzione ISEE riceve tali trasferimenti assistenziali. A tal fine l’INPS propone di semplificare la normativa che attualmente è costituita da una miriade di disposizioni e di riordinare questi strumenti assistenziali riducendo gli importi dei trasferimenti a chi vive in nuclei con reddito equivalente superiore a determinate soglie.

Per quanto riguarda il secondo modo di reperimento delle risorse, l’INPS, riprendendo precedenti proposte del Presidente Boeri di cui già si è discusso nel Menabò , consiglia di procedere a forme di ricalcolo – basate sulla logica del metodo contributivo – sia delle pensioni retributive sia delle pensioni e dei vitalizi di chi ha avuto carriere nel sindacato o in politica.

In dettaglio, l’INPS propone di ricalcolare le prestazioni di importo superiore a 5.000 euro lordi al mese secondo i seguenti meccanismi attuariali: la pensione andrebbe ridotta in base al rapporto fra i coefficienti di trasformazione vigenti per il sistema contributivo all’età di ritiro (ricalcolati all’indietro per ogni anno di decorrenza della pensione) e i coefficienti che si applicherebbero a un’età “normale” di pensionamento relativa all’anno in cui si è andati in pensione. In altri termini, partendo dagli attuali 66 anni e 3 mesi di età “normale”, si ricalcolerebbe all’indietro tale “età normale” in base all’evoluzione storica dell’aspettativa di vita (ad esempio, si potrebbe identificare a 64 anni l’età “normale” nel 2000) e le pensioni di chi si fosse ritirato prima dell’età “normale” verrebbero ridotte in ragione del valore del rapporto dei coefficienti di trasformazione all’età di ritiro e all’età “normale”.

Per le pensioni di importo compreso fra i 3500 e i 5000 euro al mese, qualora il valore di queste ecceda quanto si sarebbe ricevuto in base al ricalcolo con il metodo contributivo, l’INPS propone, invece, un congelamento dell’importo nominale della prestazione (anziché la riduzione come nel caso di prestazioni superiori a 5000 euro lordi al mese). Nello specifico, finché ci sarà una distanza fra la pensione ricalcolata col contributivo (di cui si ipotizza una indicizzazione piena) e quella che si è ottenuta col retributivo l’importo non verrà indicizzato annualmente; l’indicizzazione ricomincerebbe soltanto se, nel corso del tempo, le due prestazioni venissero a coincidere.

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