I brevetti sui vaccini, oltre l’emergenza

Riccardo Rinaldi ricorda che la richiesta di India e Sudafrica di sospendere i brevetti sui vaccini Covid-19 ha riaperto il dibattito fra chi vede i brevetti come il miglior sistema per garantire la ricerca scientifica privata e chi, invece, li considera un ostacolo alla produzione necessaria di cure. Rinaldi illustra le diverse argomentazioni, sostiene che la liberalizzazione dei vaccini è necessaria per affrontare l’emergenza e ritiene necessaria una riflessione sul ruolo del pubblico in questo ambito anche in una prospettiva di più lungo periodo.

Con la pandemia di Covid-19, per la prima volta dopo molti anni si è ricominciato a discutere dei diritti di proprietà intellettuale legati ai farmaci e, in particolare, ai vaccini. La richiesta di India e Sudafrica di sospendere l’Accordo TRIPs, che impone a tutti i paesi aderenti al WTO il rispetto dei brevetti, ha originato campagne internazionali come “No profit on pandemic”, mobilitazioni per la liberalizzazione dei brevetti (come la manifestazione organizzata in Italia in occasione del G20 Global Health Summit) e, più in generale, un acceso dibattito che ha coinvolto anche il mondo della ricerca.

A favore della sospensione dei brevetti si schiera chi ritiene necessario e urgente vaccinare tutta la popolazione mondiale; è, invece, contrario chi ritiene che, anche se utile nella fase emergenziale, questa strategia potrebbe indurre le case farmaceutiche a investire meno in ricerca e sviluppo, con danni nel lungo periodo eccedenti i benefici della crescita della produzione nel breve che, peraltro, alcuni, più radicali, considerano del tutto incerti.

L’avvio della campagna vaccinale ha messo in luce come  la necessità di vaccinare tutti nel più breve tempo possibile possa entrare in conflitto con le strategie di attori privati e pubblici. Negli USA, e soprattutto in Europa, si sono verificati ritardi e i contratti sono stati disattesi (ma attentamente secretati). L’interesse delle case farmaceutiche a privilegiare chi era disposto a pagare di più, ha messo in moto una forte competizione tra i Paesi occidentali, che ha portato a escludere i Paesi in via di sviluppo (De Arcangelis e Franzini, 2021, in Menabò di Etica ed Economia).

La mappa pubblicata dal New York Times, mostra che in America Centrale e nel Sud dell’Asia, i tassi di vaccinazioni sono ancora assolutamente insufficienti per contenere la pandemia. Pochi giorni fa l’inviato speciale dell’Unione Africana, Strive Masiyiwa, ha mosso ai paesi occidentali la dura cfritica di privare deliberatamente dei vaccini l’Africa, un continente di 1,3 miliardi di persone a cui sono stati somministrati soltanto 40 milioni di vaccini: una copertura di circa l’1%.

La distribuzione dei vaccini diventa un nuovo indicatore delle disuguaglianze globali, il 75% delle dosi disponibili è andato a 10 paesi, soltanto lo 0,1% ai paesi più poveri.

La gestione internazionale dei vaccini sta mostrando riflette l’assenza di pianificazione pubblica o di coordinamento tra Paesi, i quali accettano di sottostare al potere monopolistico delle case farmaceutiche. Alla questione economica si associa inoltre quella geopolitica: la “diplomazia dei vaccini” cinese sta ottenendo buoni risultati, soprattutto se posta a confronto con il fallimento del piano Covax dei paesi occidentali. Alla luce di questo intreccio va letta la dichiarazione di Biden a favore della sospensione dei brevetti: un tentativo di recuperare credibilità e forza sul piano internazionale, di fronte agli evidenti problemi nella gestione della pandemia, in seguito anche al blocco imposto alle esportazioni di vaccini. Ben poco si è fatto, però, oltre la dichiarazione, anche a causa della contrarietà di attori, quali la Germania e la Commissione Europa.

Il perseguimento di strategie orientate a favorire i profitti delle multinazionali e gli interessi di specifici paesi sacrificando la possibilità di un accesso globale e gratuito ai vaccini ha gravi implicazioni non soltanto etiche ma anche in termini di efficienza. Come molti virologi temevano, la campagna vaccinale lenta e non uniforme consente al virus di mutare in varianti resistenti al vaccino. Le varianti Delta e Delta plus stanno devastando l’India, bloccando – tra l’altro – il porto cinese di Guangzhou city (il terzo più grande del mondo), e facendo risalire la curva pandemica anche nel Regno Unito. Una variante sviluppatasi nei paesi in cui si è vaccinato di meno mette, quindi, in crisi i piani di immunizzazione di uno dei paesi in cui si è vaccinato di più.

Il rischio di una campagna vaccinale lunga e geograficamente disomogenea erano già evidenti a inizio anno ed il problema non consiste soltanto nella limitata capacità produttiva che, comunque, sarebbe stato bene ampliare (si vedano i dati in De Arcangelis e Franzini). Alla richiesta di India e Sudafrica di permettere a chiunque ne avesse la possibilità di contribuire alla produzione vaccinale si sono opposte innanzitutto le case farmaceutiche, con una forte azione di lobbying sulla stampa e nei confronti dei governi. E’ rilevante, però, che di fronte a una drammatica emergenza come questa (180 milioni di contagiati, quasi 4 milioni di morti, il mondo in lockdown e la peggiore recessione globale dal 1939; sulle conseguenze socio-economiche del Covid 19 si veda Jomo e Chowdhury, in Development, 2020) alle più classiche argomentazioni contrarie alla liberalizzazione dei vaccini se ne siano affiancate altre, decisamente originali.

La principale argomentazione di chi si oppone alla sospensione dei brevetti è ovviamente il diritto inviolabile della proprietà privata, anche sulle opere intellettuali: ricorrere alla sospensione dei brevetti per fare fronte all’emergenza potrebbe, come già argomentato, indurre le case farmaceutiche a investire meno in ricerca e sviluppo per nuovi vaccini e farmaci. Questo argomento puramente teorico nasconde però che gli attuali vaccini anti-Covid sono stati ampiamente sovvenzionati con fondi pubblici. Non soltanto perché la ricerca di base – essenziale per lo sviluppo dei vaccini – poggia quasi totalmente sui fondi delle università pubbliche ma anche, e soprattutto, perché il rischio di impresa relativo allo sviluppo dei vaccini anti-Covid è stato in larghissima parte ‘coperto’ da investimenti pubblici: la ricerca di Pfizer-Biontech è stata finanziata per 100 milioni dalla Banca Europea degli Investimenti, mentre la Commissione Europea ha acquistato durante le fasi di sperimentazione 200 milioni di dosi Pfizer e 80 di Moderna, e ha finanziato Astrazeneca con 336 milioni di euro tra ricerca a acquisto di dosi.

Il ragionamento secondo cui la sospensione dei brevetti non risolverebbe l’emergenza, e se anche la risolvesse creerebbe danni più gravi in futuro, è quantomeno contraddittorio. Sono state prese misure impensabili prima della pandemia: frontiere chiuse, produzione e commercio parzialmente bloccati, miliardi di persone confinate in casa. Per quale ragione sarebbe allora impossibile mettere in discussione i brevetti? Inoltre, permettere alla pandemia di prolungarsi perché in futuro le aziende potrebbero non produrre farmaci, significa rischiare di trovarsi, di fronte a una possibile futura emergenza mondiale, con lo stesso problema di oggi, di sottoproduzione delle cure (si veda anche El Said, in Development, 2020).

Il dibattito sui brevetti invita anche a riflettere sul ruolo del pubblico, anche al di là della regolamentazione della proprietà intellettuale, partendo dalla considerazione che in Occidente, al disimpegno pubblico si è accompagnato il rafforzamento delle case farmaceutiche, soprattutto nel Nord Europa, creando una polarizzazione regionale anche su Ricerca e Sviluppo (Pagano, in Quaderni di rassegna sindacale, 2016). Esemplari, al riguardo, in relazione alla pandemia, gli ingenti finanziamenti della Commissione Europea per il tedesco Curevac (calcolati intorno ai 2,9 miliardi di euro), che si sta rivelando un buco nell’acqua. Si è favorita così la ricerca spinta dalla competizione economica (Torreele, in Development, 2020) che tende a creare monopoli intellettuali, invece che sviluppare quella cooperazione e condivisione di informazioni (Pagano, in Cambridge Journal of Economics, 2014) che solo un forte ruolo pubblico può garantire nelle varie fasi del processo, dalla ricerca alla produzione, dalla produzione alla distribuzione (De Arcangelis e Franzini, 2021, in Menabò di Etica e Economia).

 Negli ultimi mesi ci si è inoltre resi conto degli effetti che i tagli alla spesa sanitaria, le privatizzazioni e le esternalizzazioni possono avere. In Italia si contano 37 miliardi tra tagli e definanziamenti nel decennio 2010-2019, con l’attuale percentuale sul PIL pari all’8,8%, inferiore alla media OCSE, a cui si aggiungono le disuguaglianze e la competizione tra aziende sanitarie regionali (Report Osservatorio GIMBE, 2019). In larga parte, tutto questo è dovuto alle regole fiscali europee, da Maastricht in poi (Bramucci, Prante e Truger, in Intereconomics, 2020). Le conseguenze sono state pesanti per i paesi occidentali e ancor più devastanti per quelli in via di sviluppo (Williams, in Development, 2020).

Per uscire dalla pandemia servono sforzi e soluzioni alternative, con la prospettiva che il pubblico si riappropri degli strumenti minimi per potere affrontare simili emergenze. La sospensione dei brevetti dei vaccini è uno dei tasselli fondamentali a livello globale, a cui bisogna collegare altri interventi a livello locale: tracciamento capillare e sequenziamento delle varianti; rifinanziamento della sanità pubblica con assunzioni stabili di personale sanitario, ripensando anche ai vari ostacoli nella formazione universitaria. Ma bisogna incominciare a guardare anche oltre l’emergenza, con un nuovo protagonismo del pubblico in settori strategici come quello della ricerca e della produzione farmaceutica. Anche perché l’insegnamento principale di quest’anno e più, è che le pandemie e le emergenze accadono, e non dobbiamo più farci trovare privi di strumenti per affrontarle.

 

*Ringrazio Tancredi Buscemi e Dario Guarascio per i commenti ricevuti.

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