“Guai a te se esci”: le sanzioni per la violazione delle misure sulla permanenza domiciliare in Italia, Spagna, Germania ed Inghilterra

Alessandro Pillitu esamina, per sommi capi, l'evolversi della disciplina sanzionatoria delle violazioni della misura di contenimento della permanenza domiciliare, per contrastare la diffusione del virus Covid-19. Pillitu evidenzia, in particolare, come nel nostro Paese, la condizione di “contagiato”, o meno, del trasgressore, determini differenti tipologie di punizioni. Inoltre, in un'ottica comparatistica, offre un sintetico quadro delle misure adottate da Spagna, Germania ed Inghilterra.

La diffusione del Coronavirus ha indotto il Governo a limitare progressivamente la libertà di spostamento dei cittadini italiani per contrastarne l’espansione. In meno di un mese la produzione normativa si è succeduta a ritmi frenetici, con risposte spesso confuse.

Le prime “misure di contenimento” sono state introdotte con il decreto-legge numero 6, del 23 febbraio 2020, convertito poi in Legge n. 13 del 5/03/2020. Fra queste non era compresa la raccomandazione di rimanere a casa e di uscire solo in casi di necessità, che era stata successivamente introdotta dagli ormai noti Decreti del Presidente del Consiglio (DPCM) dell’8 e 9 marzo.

L’inosservanza della misura era stata sanzionata penalmente, con la previsione dell’applicazione dell’articolo 650 c.p., che punisce il fatto con l’arresto fino a tre mesi “o” l’ammenda fino a 206 euro.

La scelta aveva sollevato immediato scetticismo fra i commentatori, per diverse ragioni.

La nota lentezza dei procedimenti, acuita dalla pressoché totale sospensione dell’attività giudiziaria durante l’emergenza, avrebbe, infatti, rischiato di portare a punizioni tardive rispetto al momento consumativo del reato. Inoltre, la “severissima” minaccia sanzionatoria sarebbe stata inutile dal momento che, per questo tipo di reati, è prevista la possibilità di definire il procedimento, con estinzione del reato, tramite il pagamento di una somma di denaro – in gergo tecnico, oblazione ai sensi dell’art. 162bis c.p. -, pari alla metà del massimo della pena pecuniaria: totale 103,00 euro.

Insomma, la passeggiata avrebbe potuto portare qualche noia ed il pagamento di una cifra vicina a quella di una cena per due persone. Oltre a ciò erano stati sollevati dubbi sulla legittimità costituzionale della norma e della conseguente sanzione.

In base alla Costituzione nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso (Art. 25, co. 2 Cost.). In questo caso, quindi, solo il decreto legge, in quanto atto “avente forza di legge”, avrebbe potuto introdurre divieti e sanzioni di carattere penale, mentre il DPCM, avendo natura di “fonte regolamentare”, non sarebbe stato lo strumento costituzionalmente legittimo.

Il confronto fra il D.L. n. 6/20 ed i DPCM del 8 e del 9 marzo, chiamati a darne esecuzione, rende evidente che nel primo non era previsto l’obbligo di rimanere presso la residenza/dimora/domicilio, se non per chi avesse una diagnosi di positività. Per gli altri, “i negativi”, si prevedeva solo nei DPCM, di “evitare” gli spostamenti in entrata ed in uscita dai territori comunali, ed all’interno dei medesimi, se non per le ormai note ragioni di necessità.

In altre parole, il DPCM del 8 marzo, poi esteso nel suo contenuto a tutto il territorio nazionale, aggiungeva una misura di contenimento che non era prevista nell’elenco del decreto legge, sua fonte di legittimazione, e che non conteneva né un divieto, né un obbligo, ma una semplice raccomandazione, con conseguente enorme difficoltà di applicabilità della sanzione penale.

Accanto a ciò, la discussione si è concentrata sui limiti di estensione delle cause di necessità connesse a motivi di sostentamento, di salute o di lavoro che avrebbero consentito di trasgredire, seppur temporaneamente, alla menzionata misura di contenimento.

Si è così assistito ad una progressiva limatura restrittiva della possibilità di praticare sport all’aperto, ed alla parallela montante caccia al podista-untore, al tabagista indisciplinato o al frequentatore compulsivo di supermercati, amplificata dal quotidiano report sull’aumento del numero dei contagiati dal Covid-19.

L’evidente insostenibilità di un processo penale di massa, denunciata anche dalle Procure, deve aver convinto l’esecutivo a cambiare rotta e ad adottare, con il decreto legge n. 19 del 25 marzo 2020, misure più aderenti alle realtà fattuali che ci troviamo di affrontare, oltre a riempire i vuoti precedentemente indicati.

La “limitazione della possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora se non per spostamenti individuali limitati nel tempo e nello spazio o motivate da esigenze lavorative, da situazioni di necessità ed urgenza, da motivi di salute o da altre specifiche ragioni” è ora prevista in un atto avente forza di legge – il decreto legge appunto – anche se continua ad essere un’opzione e non un comando o un divieto preciso, con conseguente difficoltà di applicazione delle sanzioni.

Peraltro, il primo atto chiamato a dare esecuzione al nuovo decreto legge, ovvero il DPCM del 1 aprile 2020, continua a menzionare le misure di contenimento indicate nel DPCM del 8 marzo.

Altra novità di rilievo è la riforma del quadro punitivo dal momento che la risposta sanzionatoria viene calibrata a seconda che il soggetto sia risultato positivo al virus o meno.

La violazione della misura di contenimento della permanenza domiciliare, commessa da una persona non colpita dal Covid-19 è, infatti, punita con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000. Se il mancato rispetto delle predette misure avviene mediante l’utilizzo di un veicolo le sanzioni sono aumentate fino a un terzo.

Con eccesso di zelo, l’esecutivo ha pleonasticamente specificato che “non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 del codice penale o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità, di cui all’articolo 3, comma 3”.

In caso di reiterata violazione della medesima disposizione la sanzione amministrativa è raddoppiata.

Per quanto riguarda le violazioni e le eventuali sanzioni penali spiccate in costanza della precedente normativa, la novella prevede, all’art. 4 comma 8, che per esse venga irrogata solo una sanzione amministrativa nella misura minima ridotta della metà.

Le violazioni sono accertate e contestate immediatamente o, laddove non sia possibile, con notifica all’interessato del verbale, secondo il tradizionale schema delle sanzioni amministrative (legge n. 689/1981); trovano applicazione le disposizioni del codice della strada sul pagamento in misura ridotta. Ne discende, per logica conseguenza, che la competenza per le impugnazioni sarà affidata ai Giudici di Pace territorialmente competenti, e che le stesse saranno soggette, in punto di rito, alla normativa posta in materia di opposizione a sanzione amministrativa.

Assume, invece, rilevanza penale il comportamento posto in essere da parte di chi è risultato contagiato.

Chi, benché posto in regime di “quarantena” in quanto “risultato positivo al virus”, trasgredisca al divieto assoluto di allontanarsi dall’abitazione, sarà punito ai sensi dell’art. 260 del R.D.L. 1265/1934 – di seguito Testo Unico –, che sanziona l’inosservanza di “un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo”.

Trattandosi, anche in questo caso, di una contravvenzione, possono in parte richiamarsi le stesse perplessità sollevate, in termini di efficacia della misura, rispetto al previgente quadro normativo, anche se, in questo caso, l’applicazione dell’oblazione non è consentita.

Il legislatore ha, infine, fatto salva la possibile applicazione, in via residuale, dell’art. 452 c.p. che punisce con la reclusione fino a 5 anni chiunque, colposamente, si renda responsabile della diffusione di epidemie.

Dopo un’iniziale sottovalutazione del fenomeno, anche gli altri Paesi Europei hanno adottato misure di contenimento del tutto simili.

Spagna: In data 14 marzo 2020, il Governo spagnolo ha decretato lo stato di allerta in tutto il territorio nazionale, sulla base della “ley organica” n. 4/1981.

Il provvedimento, convertito in legge dal Parlamento ed esteso fino all’11 aprile, dispone che siano fortemente limitati i movimenti delle persone, permettendo la circolazione solo per questioni indifferibili come l’acquisto di alimenti e farmaci, il raggiungimento del posto di lavoro, cause di forza maggiore. È permesso spostarsi “per raggiungere il proprio luogo di residenza abituale”. Dal 30 marzo al 9 aprile è stata inoltre decretata la sospensione di tutte le attività economiche, ad eccezione di quelle considerate essenziali.

Le sanzioni sono disciplinate da 4 differenti leggi e sono di carattere amministrativo o penale, a seconda della gravità del fatto. Non si tratta di nuove figure di reato ma di ipotesi già da tempo codificate, quale l’inosservanza dell’ordine dell’autorità, la resistenza a pubblico ufficiale e la diffusione di epidemia. Le pene hanno un contenuto prettamente economico, arrivando a multe dell’importo massimo di € 600.000,00 ma non è esclusa la privazione della libertà personale, da un minimo di 3 giorni ad un massimo di 3 anni a seconda della caratteristica del fatto.

Germania: Dal 16 di marzo, oltre a tutte le scuole, gli asili e le università, sono chiusi in tutto il Paese bar, discoteche, cinema, teatri, sale da concerto, impianti sportivi, piscine, palestre, biblioteche, parchi giochi, luoghi di culto; misure emesse sulla base della legge federale finalizzata a prevenire il diffondersi di epidemie nocive per la salute delle persone (Bundesinfektionsschutzgesetzes, 20/07/2000).

Tutta la popolazione è stata, inizialmente, invitata a ridurre al minimo indispensabile i contatti sociali e a rinunciare a viaggi non strettamente necessari.

Diversi Laender hanno poi deciso di adottare misure ancora più stringenti, tra cui la chiusura dei ristoranti, se non per il servizio da asporto o a domicilio. In alcune aree (ad es. Baviera e Saarland) il divieto assoluto di uscire dalle proprie abitazioni se non per motivi di lavoro o di necessità è stato imposto sin dalle prime avvisaglie di diffusione del virus. Si è molto discusso, nella prima fase, della possibile applicazione di un divieto generalizzato, poiché, da più parti, si evidenziava l’assenza di una norma di legge federale che legittimasse una simile decisione.

Il 23 marzo le misure sono state ulteriormente rafforzate, in cooperazione con i Laender, e l’invito alla riduzione degli spostamenti è diventato un vero e proprio divieto che è punito, a seconda della disciplina posta dai vari Laender, con sanzioni pecuniarie fino ad un massimo di € 25.000,00. Resta ferma la possibile applicazione di sanzioni penali, anche privative della libertà, per fattispecie di reato più gravi, come la colposa diffusione della malattia.

Inghilterra: Dal 24 marzo il Primo Ministro Johnson ha annunciato l’obbligo di rimanere presso la propria abitazione (eccetto per acquisti di cibo e farmaci, per una sessione giornaliera di esercizio fisico all’aperto non accompagnati e per recarsi al lavoro se la presenza fisica è necessaria), la chiusura dei locali pubblici -eccetto negozi di alimentari, supermercati, farmacie, banche e alcune altre tipologie- ed il divieto di assembramento per più di due persone in luoghi pubblici.

Il provvedimento, pubblicato il 26 marzo 2020, è il “The Health protection (Coronavirus, Restricrions) Regulations 2020” che delinea in maniera tassativa le restrizioni, vieta di lasciare l’abitazione ove si dimora se non per precise ragioni ed introduce sanzioni che hanno una natura pecuniaria piuttosto blanda, comprese fra un minimo di 30 £ ed un massimo di 960 £.

In buona sostanza, i Paesi oggetto di questa breve analisi hanno risposto in maniera molto simile alla minaccia della diffusione dell’epidemia, sull’esempio offerto dalla Cina, per prima, e dall’Italia poi. I Governi europei hanno scommesso sul senso civico dei cittadini ed hanno previsto sanzioni di carattere prevalentemente pecuniario per le violazioni meno gravi. Ciò che differenzia l’efficacia del provvedimento, da Paese a Paese, è la chiarezza nella definizione dei comportamenti e nella natura del comando imposto, nonché la velocità-efficienza della macchina amministrativa e giudiziaria nella contestazione delle violazioni e nel recupero delle somme dovute.

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