Negli ultimi vent’anni il mondo è radicalmente cambiato. Merito di un imponente progresso tecnologico, di politiche commerciali sempre meno protezionistiche, di costi di trasporto in drastica riduzione, e di grandi flussi migratori da un capo all’altro dell’emisfero. I mercati dei beni e dei servizi sono diventati sempre più integrati, ampliando i confini economici degli Stati nazionali molto al di là dei propri confini politici.
Questa discrepanza tra confini politici ed economici non è tipica del nostro tempo. La storia insegna che i confini economici cambiano più rapidamente di quelli politici. Quando le interazioni economiche tra imprese ed individui aumentano il loro raggio di azione, le dimensioni politiche pre-esistenti non sono più ottimali e nuovi ordinamenti diventano necessari. La mancanza di un tale aggiustamento è fonte di instabilità e di inefficienze. In questo articolo discutiamo come l’attuale crisi finanziaria possa essere reinterpretata sotto questa luce e quali ne siano le implicazioni.
Liberalizzazioni finanziarie e la over-borrowing externality
Secondo Dani Rodrik, il processo di globalizzazione presenta un trilemma (un dilemma, con tre elementi): non è possibile avere contemporaneamente un sistema di Stati nazionali, integrazione economica e politiche economiche efficienti. Al massimo possiamo avere due di questi elementi, ma non le tre cose insieme. In particolare, in un mondo integrato economicamente e decentrato politicamente il problema delle esternalità di natura internazionale è accentuato. I singoli governi non percepiscono correttamente i costi ed i benefici delle proprie scelte perchè ne internalizzano solamente l’effetto sul proprio elettorato. Per questo motivo, policy maker nazionali hanno la tentazione di attuare politiche che possono beneficiare il proprio Paese a discapito di altri.
I mercati finanziari rappresentano un caso estremo di come la globalizzazione abbia drasticamente ridotto, se non addirittura annullato, i confini economici. E’ sufficiente il clic di un mouse per spostare grandi quantità di denaro da una parte all’altra del globo. Tuttavia, nonostante i confini economici si siano allentati, quelli politici, ed in particolare quelli relativi alla regolazione finanziaria, rimangono invariati e strettamente nazionali. I sostenitori delle liberalizzazioni finanziarie hanno sempre affermato che mercati dei capitali più integrati avrebbero reso i mercati finanziari nazionali più stabili grazie ad una maggiore concorrenza internazionale. I fatti hanno smentito quest’idea. L’integrazione economica senza integrazione politica ha indotto i governi ad adottare politiche nazionali inefficienti per il mondo nel suo complesso. L’instabilità sistemica ne è il risultato.
Crisi finanziarie di diversa natura sono un evento ricorrente nella storia. La differenza più evidente tra il periodo pre e post globalizzazione risiede nella regolamentazione. In un’economia sempre più integrata a livello globale, i costi di monitoraggio e di mancate opportunità legati ad una severa regolazione sono più elevati dei benefici derivanti dalla stabilità interna. La ragione è semplice: parte delle perdite derivanti da una crisi finanziaria sono percepite anche da creditori esteri e non solo da quelli nazionali, come nel caso di un’economia chiusa ai movimenti di capitale. I governi nazionali hanno pertanto l’incentivo a ridurre i costi attraverso una regolamentazione più lassista, che induce le istituzioni finanziarie ad intraprendere attività più rischiose e gli individui a indebitarsi più del livello ottimale, creando un’inefficienza a livello globale. Jaume Ventura, tra gli altri, parla di una overborrowing externality creata dalla globalizzazione, poichè l’effetto dell’inefficiente regolamentazione è di indurre le istituzioni finanziarie a offrire prestiti maggiori del livello globalmente efficiente.
La crisi dei mutui sub-prime
L’attuale crisi finanziaria rappresenta un ottimo esempio di questo meccanismo. Intensi flussi di capitale a livello globale e una riduzione delle regolamentazioni finanziarie, soprattutto negli USA, hanno indotto le istituzioni finanziarie ad intraprendere attività rischiose e le famiglie ad indebitarsi oltre le proprie possibilità. Per fare luce su quanto accaduto bisogna procedere con ordine.
Una delle cause principali della crisi attuale è stata la grande disponibilità di credito a basso costo, determinato da intensi flussi di capitale a livello mondiale. Il primo indiziato è il cosiddetto sistema Bretton Woods II, che ha portato grandi quantità di denaro dalle economie asiatiche verso gli Stati Uniti, per mantenere artificialmente basso il tasso di cambio locale con il dollaro, stimolando le esportazioni. Questa grande offerta di capitale ha permesso a potenziali acquirenti di case negli Stati Uniti di avere accesso a credito a basso costo, nonostante la loro scarsa affidabilità finanziaria.
La seconda causa scatenante è stata l’aumento del rischio sistemico, dovuto all’effetto regolamentazione. Gli ultimi vent’anni sono stati caratterizzati da una forte deregolamentazione finanziaria, non solo negli USA, ma in molte parti del mondo. L’abolizione del Glass-Steagal Act e i cambiamenti radicali nel Community Reinvestment Act nel corso degli anni Novanta, hanno spinto molte istituzioni finanziarie ad intraprendere attività sempre più rischiose. Il primo provvedimento ha permesso alle banche commerciali di entrare nell’investment banking, mentre il secondo ha dato vita ad un sistema nel quale le banche venivano valutate in base al numero di prestiti offerti a cittadini a basso reddito, i cosiddetti mutui sub-prime. Autori come Paul Krugman, inoltre, puntano il dito contro il cosiddetto sistema bancario ombra, che consiste di pratiche finanziarie, come le Auction Rate Securities, simili all’attività bancaria tradizionale ma senza i medesimi vincoli di legge.
Verso una governance finanziaria globale?
Non si vuole qui negare che altri fattori, un certo atteggiamento ideologico anti-regolamentazione o la malafede di alcuni all’interno delle istituzioni finanziarie, abbiano contribuito a determinare la crisi finanziaria. Tuttavia, la crisi dei mutui sub-prime ci ricorda la semplice verità che mercati dei capitali globali richiedono regole e regolatori globali. La rimozione di barriere ai movimenti dei capitali ed il mantenimento del sistema di Stati nazione a sovranità piena ha prodotto politiche inefficienti, cioè la regolazione inadeguata del sistema finanziario, come descritto dal trilemma di Rodrik. Rimuovere l’inefficienza delle politiche economiche in un sistema di economie integrate richiede, in altre parole, di riconciliare confini economici e politici. A poco più di un anno dallo scoppio della crisi, l’attenzione su questi problemi si sta naturalmente allentando e non è ancora chiaro quali soluzioni concrete si stiano intraprendendo per creare una regolamentazione ed un regolatore comune. Attenzione, in questo contesto il rischio del ritorno al business as usual è alto!