Gli Stati Uniti e il cambiamento

“Questa notte abbiamo dimostrato al mondo che siamo un popolo ancora capace di grandi cose”: così Barak Obama ha salutato la vittoria riportata alla Camera dei Rappresentanti che riconosce a 32.000.000 milioni di americani il diritto alla salute.

E’ un grande fatto che ricollega la politica di Obama a quella di Roosevelt, che il 14 agosto del 1935 firmò il Social Security Act aprendo ai cittadini degli Stati Uniti la via dello Stato sociale. Non è la “copertura universale” che la maggior parte dei paesi avanzati assicura nel campo della sanità, – e per la quale si era mosso Obama – ma è la garanzia dell’assistenza medica per tutti coloro che non l’avevano. La differenza è sul piano dei principi più che sul piano dei fatti.

E non è un successo solo per gli Stati Uniti. Il voto della Camera statunitense è il primo duro colpo inferto a quanti, non ostante i fallimenti e il prezzo che il mondo sta pagando, continuano a restare fedeli ai riti pagani del liberismo (che è cosa diversa dal liberalismo), del mercato senza regole, della identificazione della felicità di un popolo con i miliardi che accumula una ristretta cerchia  di speculatori e profittatori. E’ un segnale del ritorno alla scuola classica dell’economia e ai principi dell’etica di cui lo stesso capitalismo fu agli albori portatore.

Per questo anche noi – con un governo ancora prigioniero  dei folli insegnamenti della Thatcher – la salutiamo come un auspicio di cambiamento. Sappiamo che dalla crisi si uscirà soltanto quando atti concreti porranno fine all’attacco di pochi e ben noti personaggi alle risorse della natura, della cultura, del lavoro per piegarle al loro capriccio o sperperarle e quando torneranno ad essere riconosciuti come universali – cioè spettanti a tutti, nell’ambito di comuni regole, valide per tutti  – diritti fondamentali come il diritto alla salute, il diritto all’acqua, il diritto all’aria pulita, il diritto all’istruzione, il diritto a stabilire la propria sede o a trasferirsi ove si creda, il diritto di professare o non professare un culto religioso, il diritto ad avere o non avere figli, il diritto ad esser felici.

Sono le folli ineguaglianze tra i cittadini, con una piramide verticalizzata cha ha preso il posto del cappello da carabiniere cui veniva comparata la curva dei redditi quando si andava all’università, e poiché sono in primo luogo tali disuguaglianze che hanno portato alla crisi restringendo la domanda di beni e servizi mentre ne cresceva l’offerta è ad una maggiore eguaglianza che dobbiamo tendere, non solo per motivi etici ma anche rigorosamente economici. Obama ha dato un segnale concreto in tale direzione. Mi auguro che esso sia raccolto e che  nel “comune sentire” di una maggioranza di cittadini si pongano obiettivi che diano un senso al processo produttivo e lo finalizzino alla conquista di valori e di diffusi gradi di benessere. Una ripresa della crescita che serva solo alla crescita stessa e che dilapidi le risorse della natura giovando solo all’arricchimento ulteriore di una piccola minoranza di miliardari non può mobilitare animi e cervelli. Ma cambiamenti positivi nel modo di vivere di tutti i cittadini possono avere il sostegno di una larga maggioranza così come lo ha avuto il capitalismo fino a che è stato un sistema di progresso e di vittoria contro i mali del mondo: dalle pestilenze alle gravi malattie e alla fame, dalla breve durata della vita all’ analfabetismo.

Costruire questa maggioranza attorno ad obiettivi concreti è compito di tutti e non solo di illuminati profeti. Ben vengano questi profeti –  Obama ne ha confermato il ruolo –  ma anche essi sono il frutto di movimenti che scaturiscono dal profondo della società.

 

                                                                                             l.b.

 

 

 

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