Genesi, crisi e strategie di riforma del sistema pensionistico più semplice al mondo: il caso del Kossovo

Igor Guardiancich illustra le caratteristiche del sistema pensionistico del Kossovo che presenta interessanti peculiarità. Guardiancich ricorda che una riforma dell’inizio del decennio scorso ha introdotto un “pilastro zero” a copertura universale per risolvere i problemi posti da un mercato del lavoro inefficiente. Dopo aver sottolineato le debolezze di un sistema pensionistico così semplice, Guardiancich propone una serie di interventi diretti a migliorarne l’efficacia e a preservarne gli obiettivi originari.

Il Kosovo è universalmente noto per i tragici eventi di guerra e per l’emigrazione di massa, ma solo pochi appassionati di politiche pubbliche ne conoscono il peculiare sistema pensionistico universalistico di base, unico nel suo genere nel panorama europeo.

Il paese ha infatti adottato all’inizio degli anni 2000, sotto il patrocinio dell’UNMIK, un “pilastro zero misto”, che include una componente flat-rate (di importo, cioè, uguale per tutti), per ricevere la quale il contribuente deve dimostrare di esser stato regolarmente impiegato per 15 anni (chiamata ‘pensione contributiva’) e una pensione universalistica di base non soggetta a nessun’altra condizione se non aver raggiunto i 65 anni di età e di essere attualmente residenti (detta ‘pensione di vecchiaia di base’). Le caratteristiche sui generis di questo sistema ne fanno probabilmente il sistema previdenziale più semplice al mondo (Willmore, Universal Pensions for Developing Countries, World Development, 2007).

Tre problemi specifici relativi al sistema pensionistico jugoslavo ed al conflitto etnico serbo-albanese hanno contribuito al concepimento di un sistema pensionistico ab ovo per il Kosovo (Gubbels, Snelbecker e Zezulin, The Kosovo Pension Reform: Achievements and Lessons, World Bank Social Protection Discussion Paper, 2007).

In primo luogo, durante il conflitto, le autorità serbe hanno smesso di pagare i benefici pensionistici ai cittadini di origine albanese. Prima ancora, nel 1989, molti di essi erano stati esclusi dal sistema previdenziale e rimossi dalle loro posizioni di lavoro. In secondo luogo, la copertura del sistema a ripartizione jugoslavo era carente, con circa il 50% della popolazione sopra i 65 anni non avente diritto a nessun tipo di beneficio. Infine, durante l’intervento della NATO, un missile cruise colpì l’ufficio generale delle poste di Belgrado. L’incendio che ne scaturì distrusse “casualmente” la maggior parte dei registri contenenti le storie contributive dei Kosovari in età lavorativa.

Se ciò non bastasse, a questi tre elementi idiosincratici andava aggiunta anche la disastrata condizione del mercato del lavoro del Kosovo dopo l’indipendenza dalla Serbia (Tabella 1).

 

Tabella 1: Principali indicatori del mercato del lavoro del Kosovo

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                                                        Fonte: Eurostat

I dati mostrano che, nonostante alcuni miglioramenti, le condizioni del mercato del lavoro in Kosovo erano nel 2014 ben lontane dalle medie europee. Ciò implica che sono pochi coloro che hanno regolarmente contribuito al sistema di previdenza sociale e che la probabilità di accumulare pochi contributi per le pensioni future è alta. Ovviamente, il quadro sui rischi di limitata accumulazione di contributi durante la vita attiva si aggrava se vengono comprese le altre categorie a rischio, ovvero i lavoratori autonomi ed i collaboratori familiari non retribuiti.

Contestuale a tali caratteristiche del mercato del lavoro è l’esistenza di una vasta economia sommersa, che sì fornisce i mezzi di sussistenza a parte della popolazione, ma che limita l’accesso alla previdenza formale e riduce le entrate fiscali. L’economia informale è molto diffusa per diversi motivi (Krasniqi e Topxhiu, The Informal Economy in Kosovo: Characteristics, Current Trends and Challenges, Journal of Knowledge Management, Economics and Information Technology, 2012)

  1. la composizione demografica, anomala nel contesto europeo. Secondo il censimento del 2011, il 47% della popolazione aveva meno di 25 anni, il che genera un flusso di persone in età lavorativa che il mercato del lavoro non riesce ad assorbire;
  2. le caratteristiche tipiche delle economie in transizione (rapida trasformazione in un’economia di mercato e bassi salari nell’economia formale) che, unite agli effetti del conflitto etnico producono un’economia informale stimata attorno al 27-35% del PIL, in linea con il resto del Sudest europeo;
  3. deflussi su larga scala di persone in età lavorativa a causa del conflitto. Conseguentemente, gli aiuti finanziari percepiti attraverso la diaspora, anche se necessari, rendono ardua l’identificazione delle famiglie in difficoltà e distorcono la struttura delle entrate fiscali.

Sommando il contesto storico alla situazione sul mercato del lavoro, diventa chiaro perché il legislatore optò per un sistema pensionistico amministrativamente semplice, legato solo in parte all’esistenza di contribuzioni da precedenti rapporti di lavoro, e che garantisse la massima copertura della popolazione over 65.

Come sottolineato in precedenza, il Kosovo ha un sistema previdenziale universalistico di base peculiare. Pochi paesi – Australia (1973-78), Bolivia, Botswana, Brunei, Mauritius, Namibia, Nepal, Nuova Zelanda, Samoa e Trinidad e Tobago – forniscono prestazioni di vecchiaia senza ulteriori requisiti, a parte l’età, la residenza e la cittadinanza. Di questi, solo l’Australia e la Nuova Zelanda sono paesi ad alto reddito (si noti, invece, che le pensioni di base nei paesi Nordici e in Olanda non possono essere considerati strumenti simili, poiché dipendono dagli anni di residenza effettiva).

Per quanto riguarda i requisiti di idoneità, l’età minima per la fruizione varia in modo significativo: dai 60 anni in Brunei, nelle Mauritius e in Namibia ai 75 in Nepal, il che limita fortemente il numero di beneficiari ed i costi fiscali. Il Kosovo è l’unico paese in cui la residenza (attuale) è il solo requisito aggiuntivo. Negli altri paesi, il potenziale beneficiario deve anche dimostrare di aver risieduto per un certo numero di anni e/o di essere un cittadino a tutti gli effetti.

Guardando all’estensione della protezione previdenziale, la pensione di vecchiaia di base kosovara copriva circa il 7,4% della popolazione nel 2015, una porzione relativamente elevata se confrontata con gli altri paesi. A metà degli anni 2000, solo la Nuova Zelanda (12,0%) e le Mauritius (9,2%) registravano una quota di beneficiari più elevata, mentre il Nepal aveva la copertura più bassa, solo l’1,1% della popolazione.

In termini di generosità, le indennità kosovare vengono spesso indicate come le più generose al mondo, valutando il loro valore in rapporto al PIL pro-capite. Inizialmente, le prestazioni individuali ammontavano al 45% del PIL pro-capite, cifra di molto superiore alla raccomandazione della Banca Mondiale di non superare il 15-20%, per evitare di disincentivare la partecipazione attiva e il versamento dei contributi (Palacios e Sluchynsky, Social Pensions Part I: Their Role in the Overall Pension System, World Bank Social Protection Discussion Paper, 2006).

Tuttavia, questi calcoli si riferiscono ai primi anni del programma. Non essendo in Kosovo le prestazioni individuali indicizzate sistematicamente, ma determinate attraverso decreti legislativi, il loro valore ha oscillato sensibilmente, tra il 20% e il 29% del PIL-pro-capite, non distanziandosi eccessivamente dai valori raccomandati dalla Banca Mondiale (Tabella 2).

 

Tabella 2: Indicatori del sistema pensionistico in Kosovo

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                                                 Fonte: Kosovo Agency of Statistics

 

Per quanto riguarda i costi amministrativi, la previdenza kosovara, nonostante sia il programma meno costoso in termini assoluti, è comparativamente meno efficiente quando i costi sono rapportati al reddito pro capite (perciò in termini relativi). Come si argomenta di seguito, l’organizzazione del sistema previdenziale è infatti vittima di alcuni difetti di struttura ed è soggetto a pesanti ingerenze politiche.

Il sistema pensionistico kosovaro mostra diverse incongruenze. La maggior parte delle inefficienze però non sono connesse al pilastro zero. Gli sforamenti di bilancio sono concentrati nei regimi addizionali: nelle prestazioni speciali (soprattutto agli ex combattenti), nelle pensioni famigliari (per esempio i benefici alle famiglie numerose) e nei programmi per l’invalidità (vista la semplicità di fruizione). I benefici che affluiscono ai veterani della guerra di indipendenza sono aumentati sproporzionatamente negli ultimi anni, e sono proprio questi gruppi d’interesse organizzati che premono per limitare le pensioni di vecchiaia di base e contributive.

In tal senso, il Ministero del Lavoro ha proposto di ridurre i benefici di base attraverso una prova dei mezzi (o, alternativamente, di limitarli a chi dimostri di aver contribuito anche minimamente) e di creare un dipartimento apposito per l’amministrazione del pilastro zero. Non ci sono motivi apparenti per trasformare radicalmente un sistema pensionistico tutto sommato adatto alla situazione kosovara. Sarebbe opportuno invece adottare una strategia mista, come raccomandato dalla Banca Mondiale, al fine di renderlo più efficiente (Holzmann, Robalino, e Takayama, Closing the Coverage Gap: Role of Social Pensions and Other Retirement Income Transfers, The World Bank Publications, 2009).

Viste le pressioni demografiche sarebbe auspicabile introdurre un’età pensionabile legata all’aspettativa di vita (com’è ormai prassi diffusa nei paesi UE), indicizzare sistematicamente i benefici evitando aumenti ad hoc e assoggettare le prestazioni all’imposizione fiscale ordinaria (non scoraggiando al contempo la partecipazione degli anziani al mercato del lavoro). Considerando i limiti della burocrazia kosovara, da evitare è invece la creazione di un dipartimento apposito: gli sprechi amministrativi sarebbero evidenti.

Nell’immediato, andrebbero però affrontate due problematiche. In primo luogo, il pilastro zero kosovaro dà spesso luogo ad abusi. In teoria, le sue due componenti sono mutualmente esclusive; in pratica, i conti non tornano. Nel 2015, i beneficiari totali sono stati 172,365 (132.000 per le pensioni di base e 40,365 per quelle contributive), a fronte di una popolazione over-65 stimata in circa 142.000 unità: quindi, circa 30.000 persone in eccesso. Il Fondo Monetario Internazionale adduce quattro possibili cause di tale incongruenza: i) pensionati che beneficiano sia delle pensioni di base e sia di quelle contributive (nonostante questo dovrebbe essere vietato); ii) stime della popolazione inaffidabili contenute nel censimento del 2011; iii) la mancata dichiarazione dei decessi al fine di poter continuare a ricevere le prestazioni; iv) difetti nel concetto di residenza, troppo semplice da comprovare. Al fine di migliorare la situazione, che potrebbe generare risparmi pari a 8-10 milioni di Euro l’anno, i requisiti di residenza dovrebbero essere resi più rigorosi ed i controlli più rigidamente applicati.

In secondo luogo, i costi amministrativi dovrebbero essere ridotti attraverso una graduale integrazione di tutti i pagamenti di previdenza sociale e dei controlli dell’amministrazione fiscale, come avviene ormai in molti paesi in via di sviluppo ed è, ad esempio, prassi consolidata in tutta la Scandinavia. L’introduzione di un numero di identificazione personale (come il danese CPR-Nummer) dovrebbe integrare lo scambio automatizzato di dati tra le istituzioni preposte alla previdenza sociale, l’agenzia delle entrate e i fornitori di servizi finanziari (il Kosovo ha adottato anche un pilastro a capitalizzazione privato obbligatorio per tutti i lavoratori dipendenti ed autonomi, inizialmente entro una soglia massima di età, con un tasso di contribuzione che può oscillare tra il 5% ed il 15%. Attraverso questi interventi si limiterebbe chiaramente la possibilità di ricevere prestazioni mutualmente incompatibili.

Il sistema pensionistico di base kosovaro, come tutti gli esperimenti pionieristici, ha bisogno di continui aggiustamenti. Visto che esso ha il potenziale di fungere da metro di paragone per l’istituzione di sistemi previdenziali amministrativamente efficienti ed a elevata copertura in paesi a basso e medio reddito, sarebbe uno spreco enorme stravolgerne sostanzialmente la forma e obbiettivi.

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