Forza e ruolo del sindacato in un quadro politico incerto

C’è un soggetto sociale oggi in Italia che appare ancora solido, radicato nel territorio, con un ruolo non dismesso, anche se alle prese con una miriade di difficoltà. E’ il sindacato nelle sue diverse componenti, presenti in Cgil, Cisl e Uil. A queste sigle bisognerebbe aggiungere quella dell’Ugl, un sindacato di destra che però negli ultimi tempi ha intrapreso un collegamento con le altre centrali, raddrizzando i propri indirizzi tradizionalmente votati al corporativismo e al populismo.
Le caratteristiche di questa complessiva presenza organizzata acquistano ancor più valore se si pensa come esse si collochino in un paesaggio politico sconvolto ogni giorno da iniziative diverse, spesso destinate ad abbandonare antichi terreni per trovarne di nuovi. Alludo allo scioglimento di Ds-Margherita e al lancio del Partito Democratico, ma anche alla cosiddetta “cosa rossa” che dovrebbe unire i diversi spezzoni della sinistra. Per non parlare del Partito del popolo, ultima invenzione di Silvio Berlusconi e della fine della “Casa della libertà”. Sono scelte che in qualche modo pongono fine alle antiche radici politiche all’interno di Cgil, Cisl e Uil. Anche se le cosiddette “correnti” erano state superate già all’epoca di Bruno Trentin e formalmente non esistevano in Cisl e Uil.
Quel che conta è che i sindacati, in tale situazione di continua evoluzione, non sono andati allo sbando. Hanno saputo mantenere e qualche volta allargare la propria forza organizzata, ma anche affermare un ruolo importante ed una forte autonomia. Lo si è visto bene, ad esempio, nella vicenda del protocollo sul welfare. Qui hanno resistito alle pressioni sia delle componenti più moderate presenti nel centrosinistra, sia di forze collocate all’estrema sinistra, come Rifondazione Comunista e il Pdci. Hanno risposto alle critiche non solo discutendo nel merito delle singole misure concordate col governo, sia per quanto riguarda i pensionati, sia per quanto riguarda i precari. Hanno anche portato al vaglio del mondo del lavoro il testo del Protocollo, conquistando una larghissima adesione. C’è stata in questa vicenda, da parte dei sindacati, non una specie di accondiscendenza nei confronti di un governo “amico”, bensì la consapevolezza di un equilibrio politico assai delicato, appeso ad un filo. All’interno del quale era possibile sviluppare un movimento rivendicativo fatto anche di piccoli passi, purché inseriti in orizzonti più vasti. Senza vassallaggi nei confronti del centrosinistra, ma anche senza indifferenza. Ed è stato questo il nocciolo dello scontro con certe componenti della maggioranza della Fiom più votate all’”indipendenza” che ad un’autonomia costruttiva.
Non è stata una prova facile, soprattutto per la Cgil, dove una dialettica, anche collegata ai nuovi “contenitori” politici (PD, Sinistra democratica) sta già nascendo, ma che in quest’occasione non ha evidenziato crepe eclatanti. Certo il futuro, su questo terreno, è tutto da scoprire. Quel che è certa, per ora, è la presenza nei gruppi dirigenti sindacali, slegati da antichi lacci e lacciuoli con i partiti di provenienza, di una sommessa delusione. Nasce dal fatto che trovano una discreta fatica nel rintracciare interlocutori validi nella nuova strumentazione della politica. La verità è che i temi del lavoro appaiono se non abbandonati come sfocati nei primi passi del Pd e nella stessa formazione dei suoi gruppi dirigenti. Mentre nelle anime più a sinistra prevale spesso e volentieri la voglia della denuncia pura e semplice e del tentativo di scavalcare il sindacato. Brilla, in definitiva, nel panorama politico, l’assenza di un progetto (un’idea, una prospettiva) che trovi le radici nel lavoro (sia pure in tutte le sue trasformazioni) e nella sua emancipazione. Con la capacità di offrire, dare sbocchi positivi alle stesse istanze messe in moto dai sindacati. I quali, ad ogni modo, oggi più di ieri sono portati ad aumentare la propria autonomia e anche a consolidare i legami unitari.
Tali ragionamenti non portano a dimenticare le evidenti debolezze che albergano nel movimento sindacale italiano. E’ chiaro che le recenti sortite di tanti, a cominciare dal governatore della Banca d’Italia, su una pesante questione salariale, chiamano in causa anche l’operato di Cgil, Cisl e Uil. Non per aver privilegiato gli anziani rispetto ai giovani, come si è scritto da più parti. E’ vero che spesso le contrattazioni decentrate hanno assegnato punitivi salari d’ingresso alle nuove generazioni, così come il moltiplicarsi delle forme contrattuali hanno riservato a queste ultime meno diritti e retribuzioni inferiori. Ma la proposta, avanzata da più parti, di una revisione radicale del sistema contrattuale acquisito nell’accordo del 1993 sotto gli auspici del governo Ciampi, non supererebbe questa forbice. Anzi il dimagrimento del contratto nazionale aumenterebbe le distanze. Non è del tutto convincente nemmeno la proposta di puntare tutto sulla contrattazione dell’incremento della produttività, azienda per azienda. Una ricetta praticabile in poche unità produttive dove comunque la cosiddetta produttività non è facilmente misurabile, visto che è connessa a mille elementi: ad esempio l’organizzazione del lavoro e il sistema delle infrastrutture con le quali ha a che fare l’impresa.
Resta il fatto che i sindacati di fronte ad un malcontento profondo, emerso anche nella consultazione sul Protocollo, e ad una campagna aggressiva, spesso dalle caratteristiche antisindacali, ha reagito più rimanendo in difesa che avanzando proposte, passando al contrattacco. Magari affrontando con energia i temi di una nuova contrattazione aziendale (che l’accordo del ‘93 non proibiva) e anche della produttività, come modo per affrontare i problemi della condizione operaia, dell’organizzazione produttiva, di processi di lavoro innovativi, al servizio di una produzione di qualità. Facendo affiorare zone d’improduttività e agevolando l’efficienza, da considerare un bene da difendere e non un regalo agli imprenditori. Una svolta in tal senso potrebbe profilarsi in un’annunciata assemblea nazionale dei delegati di Cgil, Cisl Uil. Saranno chiamati a discutere di una vera e propria piattaforma generale, affrontando i temi del fisco che, appunto, taglieggia i salari e della contrattazione aziendale. Una contrattazione che oggi coinvolge solo il 30 per cento delle imprese. Le assenti, spesso piccole imprese, potrebbero essere invogliate da un sistema d’incentivi. Questo e altro dovrebbe contenere tale piattaforma. Una proposta e una sfida nello stesso tempo, capace di rilanciare davvero i temi del lavoro oggi. Un’indicazione dai tempi lunghi, quasi un patto sociale, da offrire a un governo di legislatura e allo sconvolto panorama politico. Solo che a questo punto s’incontrano le nebbie più folte e di giorno in giorno mutevoli.

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