Flessibilità e nuovi interventi: la Commissione europea in azione per arginare la crisi pandemica

Alessandra Cataldi, Mattia De Crescenzo, Germana Di Domenico e Bianca Giannini esaminano in dettaglio le principali misure adottate dalla Commissione europea per fronteggiare la crisi da COVID-19 e sostengono che la Commissione è intervenuta tempestivamente per contrastare la crisi, ma, d’altro canto, gli strumenti di cui essa dispone presentano chiari limiti, legati principalmente alla ridotta entità delle risorse disponibili. Inoltre, molte azioni dipendono dalle scelte politiche degli Stati membri.

La sfida che la Commissione europea deve affrontare per contenere la crisi economica e sanitaria in corso è molteplice e copre un ampio orizzonte temporale: urgenza di forniture necessarie ai sistemi sanitari, di difendere i posti di lavoro e sostenere le imprese, nonché finanziare la ricerca scientifica per vaccini e terapie. D’altro canto, non va dimenticato che molte azioni dipendono dalla volontà e dai poteri degli Stati membri: non si può attribuire alla UE la mancanza di risposte in settori in cui essa non ha le competenze e gli strumenti per agire alla luce dei Trattati europei. Fatta questa premessa, ci si propone di illustrare sinteticamente e senza pretese di esaustività i principali interventi adottati dalla Commissione europea per limitare gli effetti della crisi da COVID-19.

L’attivazione della clausola di salvaguardia generale. Un primo intervento adottato dalla Commissione europea per il contrasto alla pandemia di coronavirus, e una delle misure più innovative, riguarda il ricorso alla clausola di salvaguardia generale (general escape clause) del Patto di stabilità e crescita, su cui i Ministri delle finanze dell’Unione hanno raggiunto l’accordo il 23 marzo. L’attivazione della clausola non comporterà una sospensione delle procedure di coordinamento e valutazione delle politiche di bilancio, bensì il pieno utilizzo di tutta la flessibilità prevista dal Patto di Stabilità. Ciò consentirà di deviare dal percorso di aggiustamento verso l’obiettivo di bilancio a medio termine (OMT), in modo temporaneo al fine di non mettere a rischio la sostenibilità fiscale a medio termine e, per i Paesi che hanno in corso una procedura per disavanzo eccessivo, di rivedere, sempre temporaneamente, il percorso di rientro del disavanzo e del debito in rapporto al PIL (come previsto rispettivamente dagli articoli 5(1), 9(1) e 3(5), 5(2) del Regolamento (EC) 1466/97). Si tratta di una novità assoluta nella governance economica europea: dalla sua introduzione avvenuta nel 2011, la clausola non è mai stata attivata, ed è quindi di difficile lettura il possibile impatto sulle finanze pubbliche dell’Unione e le ripercussioni per i Governi nazionali in termini di politiche di bilancio da attuare in futuro. Questo perché gli stimoli fiscali di natura temporanea saranno contabilizzati ai fini della flessibilità garantita dalla clausola di salvaguardia, con effetti sul debito pubblico che saranno da gestire nel periodo post-emergenza.

Il Quadro temporaneo sugli aiuti di Stato. Un secondo intervento riguarda l’allentamento delle regole in materia di aiuti di Stato. La disciplina europea considera come aiuto di Stato, e quindi proibisce, ogni intervento da parte dello Stato (nella forma di garanzie, sovvenzioni, etc.) che attribuisca al beneficiario un vantaggio economico in termini selettivi (ad esempio, un settore e un territorio specifico o una determinata impresa), in grado di alterare la concorrenza e con un impatto sul commercio intra-UE.

Tuttavia, sono previste deroghe a tale norma generale. L’articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFEU) stabilisce una casistica di aiuti ammissibili, tra cui gli aiuti per fronteggiare eventi eccezionali o porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di un Paese. In tale casistica rientra la crisi sanitaria ed economica scatenata dal COVID-19, che, tra l’altro, riguarda tutti i Paesi dell’Unione europea e tutti i settori economici.

Il 20 marzo, la Commissione, riconoscendo la necessità di un sostegno pubblico adeguato all’economia, ha predisposto un “Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato” per consentire agli Stati membri di sostenere l’attività delle imprese (soprattutto PMI). Nel “Quadro temporaneo”, in vigore fino alla fine di dicembre 2020, la Commissione definisce le condizioni affinché gli aiuti concessi dagli Stati per fronteggiare la crisi siano ammissibili, pur nel rispetto dell’obiettivo di mantenere condizioni di parità nel mercato interno. Gli aiuti ammissibili riguardano: 1) sovvenzioni e agevolazioni fiscali; 2) garanzie di Stato per prestiti bancari; 3) prestiti pubblici agevolati; 4) garanzie per le banche che veicolano gli aiuti di Stato; 5) assicurazione dei rischi all’esportazione.

La Commissione ha già approvato numerosi provvedimenti di sostegno alle imprese nella forma di aiuto di Stato da parte di diversi Stati membri. L’Italia ha attuato misure di sostegno finanziario alle PMI con il decreto “Cura Italia” del 17 marzo e, più estesamente, con il decreto “Liquidità” del 9 aprile.

Il potenziamento degli investimenti. Il 16 marzo la Commissione ha anche lanciato la Coronavirus Response Investment Initiative (CRII), che libera 37 miliardi dai fondi delle politiche di coesione per fornire supporto al sistema sanitario e liquidità alle PMI. Ciò avviene attraverso modifiche dei regolamenti dei fondi europei già esistenti, che ne ampliano le possibilità di utilizzo. Le risorse provengono dalla rinuncia della Commissione al rimborso di una somma di circa 8 miliardi (di cui 800 milioni per l’Italia) di fondi di coesione non spesi precedentemente e che gli Stati membri potranno utilizzare in luogo della quota di cofinanziamento nazionale per sbloccare, si stima, 29 miliardi di finanziamenti strutturali. Non si tratta certo di risorse ingenti, ma ciò è dovuto (oltre che alla dimensione del bilancio UE, pari a circa 153 miliardi nel 2020), soprattutto al fatto che tale crisi capita nell’ultimo anno della programmazione finanziaria 2014-2020, mentre il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 è ancora lungi dall’essere approvato.

L’efficacia di questo strumento dipenderà soprattutto dalla capacità amministrativa degli Stati membri. Da par suo, la Commissione il 2 aprile ha introdotto ulteriori modifiche ai regolamenti dei fondi strutturali, sotto il nome di CRII+, per rendere meno burocratico e dunque più veloce, flessibile ed efficiente l’utilizzo di queste risorse. Nel concreto, è ora possibile trasferire risorse sia tra i tre fondi della politica di coesione (il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo sociale europeo e il Fondo di coesione) che tra le diverse categorie di regioni ed è temporaneamente sospesa la clausola della concentrazione tematica, per cui gli Stati membri dovevano concentrare l’utilizzo dei fondi nelle iniziative a più alto valore aggiunto. Un aspetto particolarmente innovativo prevede che, per l’esercizio finanziario 2020-2021, vi sia la possibilità di finanziamento UE al 100% dei programmi della politica di coesione per le misure connesse alla crisi.

Inoltre, la Commissione utilizzerà i fondi disponibili del bilancio della UE del 2020 (circa 3 miliardi) per acquistare materiale sanitario per conto degli Stati membri, coordinare il trasporto transfrontaliero di apparecchiature e pazienti e sostenere l’allestimento di ospedali da campo.

La cassa integrazione europea. Lo strumento di mitigazione del rischio di disoccupazione, (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency, SURE), proposto dalla Commissione europea il 2 aprile scorso, dovrebbe, infine, agire come una sorta di “Cassa integrazione europea”. L’obiettivo della Commissione è raccogliere fino a 100 miliardi sui mercati attraverso l’emissione di obbligazioni garantite per 25 miliardi di euro dagli Stati membri in proporzione al loro peso sul PIL dell’Unione europea (l’Italia dovrebbe concorrere con 3,184 miliardi).

Trattandosi di obbligazioni garantite dall’insieme dei Paesi europei, il tasso d’interesse sarebbe più basso di quello che, per un’analoga emissione, uno Stato come il nostro otterrebbe sul mercato. I 100 miliardi raccolti verrebbero prestati ai Paesi più in difficoltà e andrebbero a finanziare l’aggravio di spesa pubblica direttamente connesso all’istituzione o all’estensione di regimi di riduzione dell’orario lavorativo per i lavoratori dipendenti e di misure analoghe per i lavoratori autonomi a causa della pandemia. Un tale meccanismo di prestiti con vincolo di destinazione può rappresentare senza dubbio un primo passo verso una consapevole condivisione del rischio tra Paesi: quelli “forti” metterebbero di fatto a disposizione la loro maggiore reputazione di solvibilità per ridurre il costo dell’indebitamento degli altri maggiormente indebitati. Emergono tuttavia alcuni caveat, a partire dalle garanzie immediatamente esigibili che tutti gli Stati membri devono versare alla Commissione, condizione necessaria affinché lo strumento entri in funzione. In ogni caso, non risulta alcun limite all’importo massimo dei prestiti in un anno, non è indicato un termine massimo per la scadenza degli stessi e non sono previste condizionalità macroeconomiche legate all’attuazione di specifiche riforme. Si ricorda, infine, che lo strumento ha carattere temporaneo, in quanto concepito come un meccanismo di tipo emergenziale e non di carattere strutturale, motivo per cui non si prevede supporto finanziario per oneri a regime come sarebbero, ad esempio, i sussidi di disoccupazione. D’altro canto, il meccanismo in sé non preclude la possibile istituzione di un regime permanente di riassicurazione contro la disoccupazione che rappresenterebbe, più utilmente, un elemento di convergenza delle azioni nel lungo periodo.

Le iniziative fin qui descritte non esauriscono di certo il ventaglio di interventi a livello europeo per tentare di arginare l’impatto economico e sociale della pandemia e, infatti, ulteriori misure sono al vaglio. Si deve certamente riconoscere che la Commissione europea è intervenuta tempestivamente per contrastare la crisi, dando conto della pluralità di iniziative assunte ai fini della mobilitazione del bilancio UE. D’altro canto, come detto, gli strumenti esistenti hanno chiari limiti, in primis legati alla non sufficiente entità delle risorse stanziate per il quadro finanziario pluriennale. Molte azioni, inoltre, dipendono dalla volontà e dai poteri degli Stati membri.

Nei giorni scorsi i Ministri delle Finanze dell’area dell’euro hanno raggiunto un primo compromesso su un pacchetto di misure basato su tre reti di sicurezza: per i lavoratori (il già descritto SURE), per le imprese (fondi BEI da 25 miliardi, per 200 miliardi di finanziamenti), per i Paesi (Meccanismo europeo di stabilità – MES – “senza condizioni” per sostenere l’assistenza sanitaria diretta e indiretta così come i costi relativi alla cura e alla prevenzione dovuti alla crisi provocata dal Covid 19; l’accesso concesso sarà il 2 per cento del PIL del Paese alla fine del 2019). Oltre  a ciò, è stata accolta la proposta (della Francia, supportata dall’Italia) di lavorare ad un Fondo finanziato da obbligazioni comuni per il rilancio dell’economia, cosiddetto “Fondo per la ripresa economica”, temporaneo, mirato e commisurato ai costi straordinari dell’attuale crisi, concepito per emettere obbligazioni a lungo termine e che potrebbe essere dotato di risorse di bilancio e di una governance dedicata. Si spera che la strada da percorrere per far convergere efficacemente le posizioni nazionali non sia troppo lunga. In ogni caso, su queste misure e i loro sviluppi ci soffermeremo in un prossimo intervento sul Menabò.

La conclusione, al momento, è che le risposte europee alla nuova crisi dipenderanno, in modo cruciale, anche da come saranno sciolti alcuni nodi politici che condizionano i prossimi passi e la celerità delle risposte e che, inoltre, potrebbero influire sulla stessa futura architettura dell’Unione europea.

 

 

*Le posizioni espresse sono degli autori e non rappresentano l’Amministrazione di appartenenza.

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