Far fronte alla crisi dei rifugiati: una proposta per migliorare il sistema delle quote

Hillel Rapaport presenta un’originale proposta per allocare i rifugiati tra i paesi membri dell’UE. Dopo aver ricordato che nel 2015 è stato introdotto il sistema delle quote e che tale sistema ha incontrato molte difficoltà, Rapoport sintetizza la sua proposta, avanzata assieme a Moraga. Tale proposta è desunta dall’armamentario dell’economista e prevede l’introduzione di un sistema di quote negoziabili e il matching fra le preferenze dei migranti sui paesi di destinazione e quelle dei paesi riceventi sulle caratteristiche dei migranti.

Per fare fronte ai crescenti flussi migratori la Commissione Europea nel maggio del 2015 ha proposto un sistema di quote obbligatorie per ri-collocare i richiedenti asilo dai paesi del loro primo ingresso (principalmente Grecia e Italia) ad altri stati membri. Tale proposta, il mese successivo, è stata respinta dal Consiglio Europeo ma, anche per effetto delle tragedie che si sono verificate di lì a poco, la maggioranza dei leader europei, ha modificato le proprie posizioni e nel settembre successivo, si è espressa a favore delle nuove proposte della Commissione in tema di quote.

Tali proposte, più avanzate rispetto a quelle formulate a maggio 2015, includevano tre indicazioni principali. La prima era quantitativa: 120.000 richiedenti asilo (il che porta il totale a 160.000) avrebbero dovuto essere riassegnati, entro due anni, nei diversi paesi membri come parte del programma di riallocazione di “emergenza” e distribuiti sulla base degli stessi criteri precedentemente in essere (cioè, per il 40 per cento sulla base delle dimensioni della popolazione, per un ulteriore 40% sulla base del PIL e per il residuo 10% sul sulla base sia del tasso di disoccupazione sia del numero di domande di asilo prese in considerazione negli ultimi cinque anni).

La seconda concerneva l’introduzione di un sistema permanente di ri-allocazione, in grado, fra l’altro, di anticipare i flussi futuri. Tale sistema avrebbe dovuto essere accompagnato da una compensazione o una sanzione finanziaria (fissata al 0,002 per cento del PIL) nei confronti di paesi che non rispettassero gli obblighi. Infine, le proposte della Commissione richiedevano per la prima volta di tener conto dei desideri sia dei richiedenti asilo sia dei paesi riceventi in materia di ri-allocazione dei profughi. Solo il primo elemento di questo piano è stato realmente discusso e fatto proprio dal Consiglio europeo nel settembre del 2015, seppure con due importanti modifiche. In primo luogo, gli Stati hanno approvato il principio delle quote, ma ne hanno rifiutato il carattere obbligatorio, introducendo un principio di coordinamento volontario sulla base della griglia di distribuzione proposta dalla Commissione. Il secondo, significativo, cambiamento è che un certo numero di paesi ha preso le distanze dal resto dell’UE. Mentre la Polonia ha finalmente aderito alla maggioranza, il cosiddetto gruppo Visegrad (Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca) ha confermato il rifiuto nei confronti del sistema delle quote. A tale gruppo si è unita anche la Romania.In ogni caso, non è esagerato affermare che fino ad ora la Commissione, come i governi europei, hanno reagito alla crisi migratoria in modo affrettato,, talvolta sotto l’influenza dell’emozione e senza considerare sempre i pro e i contro delle diverse proposte. D’altro canto, il sistema delle quote ha trovato finora molte difficoltà nella sua attuazione. Vale allora la pena di cercare di contribuire alla discussione presentando una proposta che riflette la prospettiva di un economista. La questione non è tanto quella di considerare i costi economici e i benefici dei flussi di rifugiati (una questione complessa per cui non abbiamo punti di riferimento), né sapere se dobbiamo integrare 40, 160 o 800 mila profughi. Questa è una scelta politica complessa, basata principalmente su considerazioni umanitarie e su una valutazione della capacità di assorbimento (socio-culturale e economica) delle società interessate. Tuttavia, nelle altre due aree – la politica di compensazione/sanzione e l’attenzione alle preferenze dei rifugiati e dei paesi riceventi in materia di riallocazione – l’analisi economica può contribuire a sviluppare possibili soluzioni. Insieme al mio collega Jesus Fernandez-Huertas Moraga (Università Carlos III di Madrid) abbiamo recentemente proposto un sistema di quote per i rifugiati, all’interno dell’Unione Europea, che si caratterizza per due elementi. Le quote sono “negoziabili” e si accompagnano a un meccanismo di “matching“. Questa integrazione rispetto alle proposte della Commissione presenta diversi vantaggi: una riduzione dei costi attesi per i paesi ospitanti e quindi un aumento della probabilità che essi votino a favore di un sistema di quote e la presa in considerazione, nel massimo grado possibile, delle preferenze sia dei rifugiati sia dei paesi ospitanti. L’ultimo ma non meno importante elemento è che le proposte presentate permettono di evitare una corsa al ribasso tra gli Stati membri dell’UE in termini di standard umanitari. Vediamo perché.

Quote negoziabili. La finalità del sistema di quote negoziabili è quello di raggiungere un obiettivo comune – ad esempio, nella lotta contro l’inquinamento o la protezione dei rifugiati – al più basso costo possibile, attribuendo agli attori dotati di un “vantaggio comparato” la possibilità di sfruttare quest’ultimo. Nel nostro caso, il sistema incoraggerebbe i paesi per i quali ricevere un maggior numero di rifugiati rispetto alla quota originale non ponga problemi economici o di identità troppo elevati,  ad estendere la propria accoglienza. Dal canto loro, i paesi più riluttanti a accettare la propria quota (per mancanza di capacità o per scelta ideologica) dovrebbero compensare i primi. Ciò significa lasciare a ciascuno la scelta della forma di solidarietà da perseguire: ricevendo rifugiati o finanziando altri che li ricevono, a un prezzo (fissato dal mercato dei diritti, in questo caso, per le quote di accettazione) che rende compatibili le diverse scelte (ad esempio grazie a doppie aste digitali volte a assicurare un funzionamento soddisfacente dei meccanismi di mercato anche in presenza di un numero limitato di attori).

Le proposte della Commissione europea in materia di compensazione/sanzione finanziaria sembrano, invece, piuttosto arbitrarie (come arrivarono alla cifra del 0,002% del PIL?) e non molto convincenti. Ad esempio, nel caso della Francia, il calcolo è semplice: 0,0002 per cento di 2.400 miliardi di euro (il PIL approssimativo della Francia) diviso per 24.000 (il numero di rifugiati che la Francia dovrebbe accettare secondo la categoria “urgente” dell’UE) è equivalente a 2.000 euro per rifugiato. A questo prezzo, è ragionevole temere che le sanzioni conducano a un risultato opposto rispetto a quello previsto, e alcuni paesi si sottrarranno ai propri obblighi pagando un piccolo prezzo.

Come il “matching” può tenere conto delle preferenze dei rifugiati e dei paesi d’accoglienza. I meccanismi di “matching” sono anch’essi noti. Negli Stati Uniti, sono stati introdotti in contesti così diversi come quelli dell’università, degli stage dei medici, della distribuzione dei reni. Proprio la proposta in materia di reni ha valso a Alvin Roth, professore alla Università di Stanford University, il premio Nobel per l’economia nel 2012.

L’applicazione ai rifugiati potrebbe essere realizzata nel modo seguente (sebbene se ne possano prevedere altri). Da un lato, i richiedenti asilo esprimono le proprie preferenze circa le destinazioni dove vorrebbero andare; quindi, un processo di scelta casuale ordina tali preferenze. Il primo nella lista può accedere alla destinazione che più preferisce, lo stesso vale per il secondo e così via fino a quando si arriva a un migrante la cui prima scelta non è più disponibile. Questi sarà allora assegnato alla sua seconda destinazione e così via, finché saranno esaurite le quote. Dall’altro lato, i paesi di destinazione possono anch’essi esprimere le proprie preferenze rispetto ai profili dei rifugiati cui darebbero priorità (secondo un insieme di criteri da definire – ad esempio, per paese di origine, professione, lingua, stato familiare, eccetera). Quanto più i paesi esprimono le proprie preferenze, tanto più diventa per loro possibile ricevere migranti con un profilo vicino alle loro richieste.

Questa procedura di matching crea anche un equilibrio tra il rifiuto totale di considerare le preferenze dei rifugiati sulla base del fatto che un “vero” rifugiato dovrebbe accettare di essere spedito ovunque (fintanto che la sua protezione sia assicurata) e la posizione di alcune ONG secondo cui permettere ai rifugiati di stabilirsi dove vogliono sarebbe la migliore garanzia per una futura integrazione.

 Fermare la corsa al ribasso nelle risposte alla crisi dei rifugiati. Un sistema di quote per rifugiati, siano esse negoziabili o no, presenta un rischio significativo di “dumping” umanitario. Per evitare questo, il matching è condizione necessaria ma non sufficiente. Prendiamo il seguente esempio: se l’Ungheria, sotto pressione dei vicini occidentali, accettasse finalmente il sistema delle quote, cosa le impedirà di prendere la sua quota di rifugiati (o, nel contesto di quote negoziabili, accettarne ancor di più rispetto alla propria quota, in cambio del pagamento), solo per condannare questi ultimi a condizioni di vita indecenti (o per negare loro una reale prospettiva di integrazione)?

Il processo di matching, secondo cui un paese riceve migranti solo tra coloro che l’hanno incluso nell’elenco delle destinazioni preferite, non è di per sé una garanzia contro il rischio di “corsa verso il basso” per gli standard umanitari. L’Ungheria – per proseguire con il nostro esempio – potrebbe essere tentata di dissuadere i richiedenti asilo rendendo loro note le pessime condizioni in cui verserebbero. Tuttavia, la combinazione dei due elementi della nostra strategia – quote e matching – consentirebbe di imporre sanzioni pecuniarie deterrenti “personalizzate” ai paesi che non attirano spontaneamente un sufficiente numero di richieste per l’asilo. In questa prospettiva, sarebbero, infatti, più penalizzati i paesi meno attraenti. Quindi, se i rifugiati non vogliono stabilirsi in Ungheria, ma vogliono andare solo in Germania (per parafrasare il primo ministro ungherese Viktor Orban), il problema diventerebbe dell’Ungheria. O, nei termini usati dalla sua controparte ceca, Bohuslav Sobotka, se “i rifugiati dell’Africa e del Medio Oriente non vogliono stabilirsi nella Repubblica Ceca perché è troppo fredda”, piuttosto che gioire, i cechi sarebbero incoraggiati ad esprimere più calore e compassione verso di loro.

Come appena detto, la nostra proposta di quote negoziabili unite a un meccanismo di matching ha alcuni evidenti vantaggi. Permette una distribuzione equa ed efficiente della solidarietà, richiedendo a ciascuno Stato di assumere la propria responsabilità grazie all’imposizione di un prezzo da pagare nel caso in cui non si vogliano accettare rifugiati. Comporta, altresì, un equo compromesso tra risposte strettamente legali e risposte strettamente umanitarie alla questione delle preferenze dei rifugiati, semplicemente riconoscendo che non è possibile assicurare a tutti i rifugiati la loro prima scelta. Infine, riduce sensibilmente il rischio della corsa al ribasso nelle nostre risposte alle crisi umanitarie, evitando di inviare rifugiati in paesi dove non siano benvenuti, ma al tempo stesso incoraggiando i paesi che lo sono poco a diventare più attraenti.

Tuttavia, il sistema proposto solleva alcune questioni etiche che sono allo stesso tempo evidenti e complesse: stiamo mercificando la vita umana (sebbene dovrebbe essere chiaro che la contrattazione coinvolge i visti per l’ingresso non le persone)? Poiché il meglio può talvolta essere nemico del bene, introdurre un mercato per le quote di accettazione dei rifugiati non rischia di minare quegli stessi valori di solidarietà che intende vedere realizzati, sottoponendoli a meccanismi di calcolo razionale? Domande come queste sono state formulate, a volte in modo virulento, quando strumenti quali quelli qui proposti sono applicati in altri contesti sensibili come l’ambiente (per le quote negoziabili) e le donazioni renali (per i meccanismi di matching). Queste esperienze, insieme a altre, dimostrano, però, che tra etica e economia può essere individuata una strada pratica e razionale. Nel contesto dell’attuale crisi dei rifugiati europei, stiamo ancora cercando questa strada.

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