Evviva la classe operaia!

Si  sono scritti saggi e saggi per accertare se oggi, nel 2011, sia ancora corretto parlare di “classe operaia”. La maggior parte dei saggisti propende per il no e soffre o gode per questo approdo consono ad una generazione che aveva già scoperto la “fine della storia”. Invece è arrivata la smentita ed è arrivata da quella stessa fabbrica che con un suo sciopero aveva annunciato nel 1943 la sconfitta dei nazisti e la liberazione dell’Italia. Viene in particolare da quella “catena di montaggio di cui i segretari di commissione interna negli anni cinquanta, in barba a Vittorio Valletta, controllavano la velocità con una riga di gesso per terra. Operazione che, se scoperta, comportava l’immediato trasferimento da Mirafiori al capannone abbandonato dove venivano deportati tutti i “sovversivi:  comunisti italiani  che si chiamavano Piero Mollo, Michele Pugno o Vacchetta, tutti iscritti alla sezione di Santa Rita, giudicata “di sinistra” da un vetero comunista come Antonio Rosaio, l’uomo che aveva guidato il centro interno del P.C.I. dopo Giuseppe Berti. La classe operaia c’è hanno detto ed ha partecipato al 90 per cento al referendum voluto dal Berlusconi dell’economia (il richiamo a Berlusconi vale solo per ciò che riguarda la concezione del potere) e dal ministro Sacconi – che per ironia porta il titolo di ministro del Welfare – oltre il 90 per cento degli aventi diritto e la maggioranza ha votato no (sono andati in minoranza solo a causa del voto del seggio n. 5, riservato agli impiegati). Gli operai della Fiat non sono stati piegati dalla minaccia, folle ma reale ed avallata dai segretari di Cisl e Uil, di trasferimento della Fiat fuori dall’Italia: non sono stati piegati dalla resa di Fassino, D’Alema, Chiamparino, sindaco della Città che fu governata da Roveda e Celeste Negarville.

Abbiamo tutti plaudito alla lotta democratica degli studenti. Possiamo e dobbiamo, a maggiore ragione, dato il grado di rischio che il no a Marchionne comportava, plaudire agli operai di Mirafiori e al sindacato – la FIOM – che li ha guidati con saggia fermezza e dignità e formulare sinceri ringraziamenti per la sicurezza che ci dà il no da essi consegnato alle urne e che non è solo un no all’innovazione concepita come distruzione di tutti i contropoteri su cui poggiano libertà e democrazia ma è anche un no alla sostituzione dell’egoistico io al “noi” con cui eravamo stati educati da chi nel 1945 affermava che “la socializzazione della politica è assai più importante della socializzazione dell’economia” (Palmiro Togliatti, agosto 1945).
Un ringraziamento particolare a tutti gli operai della catena di montaggio di Mirafiori che hanno votato, anche ufficialmente, in maggioranza, no. Ci auguriamo che una nuova edizione della Varsavianka li ricordi nel canto allo stesso modo in cui sono stati ricordati e celebrati in Europa, lungo cento anni, i protagonisti di altre lotte per la libertà.

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