Etica del cibo

Francesca Rigotti affronta il tema dell'etica del cibo. Dopo aver premesso che essa si articola oggi soprattutto lungo le coordinate di «scarsità» ed «eccesso», «fame» e «spreco», «carestia» e «abbondanza», Rigotti chiarisce che l’etica del cibo abbraccia aspetti pubblici e privati, dalle questioni di scelta alimentare individuale alle decisioni di carattere istituzionale e sostiene che essa ingloba, oltre che questioni di quantità, problemi di qualità, nonché di attenzione all'impatto ambientale nel promuovere l'accesso globale al cibo sano, buono, giusto.

L’etica è fondamentale nelle nostre vite e persino sulla nostra tavola, e il pensiero morale ha sempre dedicato attenzione al cibo, in particolare alla sua distribuzione, benché soltanto di recente abbia preso corpo una vera e propria «etica del cibo». Oggi essa si articola soprattutto lungo le coordinate di «scarsità» ed «eccesso», o, con termini analoghi ma non identici, «fame» e «spreco», o anche «carestia» e «abbondanza», benché in questo caso il secondo termine della coppia presenti valenza positiva. Non così negli altri casi, dove entrambi i termini delle coppie sono negativi e evocativi del «male». Il «bene» starebbe invece nella medietà e indicherebbe una situazione equa nella quale la scarsità di cibo e le carestie siano domate, e, inoltre, siano controllati l’eccesso di opulenza raggiunta con mezzi non etici, da un lato, e lo spreco di cibo, dall’altro.

La questione dell’etica del cibo abbraccia aspetti pubblici e privati: si va infatti dal comportamento individuale delle persone (quale e quanto cibo è equo consumare; come procacciarselo, come trattarlo, come cucinarlo, dove e quando e con chi mangiarlo), fino al comportamento di una buona fetta del sistema sociale ed economico (quale e quanto cibo produrre e mettere in circolazione, come gestirne le condizioni di produzione e di vendita). Senza mettere in conto il problema dello smaltimento etico dei rifiuti, organici e no, legati al cibo, ultimo anello di una catena che comprende produzione, conservazione e imballaggio.

Di recente un forte impulso a pensare al cibo in maniera etica è venuto dall’Expo 2015, tenutasi a Milano e dedicata a «Nutrire il pianeta». Da tale iniziativa è nato il manifesto etico chiamato Carta di Milano, nel quale l’accesso a cibo sano viene proclamato diritto umano fondamentale. Anche in questo caso sono previste regole di comportamento equo da seguire sia da parte dei singoli in quanto membri della società civile, sia da parte di imprese, governi e istituzioni, nazionali e internazionali.

La problematica etica del cibo è un’idea relativamente recente che coincide con lo sviluppo commerciale e industriale della sua produzione e distribuzione; nei primi decenni del ‘900, quando è iniziato tale sviluppo, i consumatori erano piuttosto ignoranti intorno all’origine dei loro alimenti e, d’altro canto, non erano in grado di compiere scelte individuali e collettive su basi etiche. Fu solo nella seconda metà del secolo che si assistette a una rapida crescita della consapevolezza dell’adulterazione del cibo, grazie agli studi di Rachel Carson dei primi anni ’60 del Novecento sull’uso sconsiderato di pesticidi e le sue conseguenze sull’alimentazione.

Possiamo collocare la nascita consapevole di una nuova etica del cibo, non più legata prevalentemente alla quantità, come nel mondo preindustrale, bensì alla qualità, intorno alla seconda metà dello scorso secolo. Nello stesso periodo si iniziano a meglio comprendere i legami tra alimentazione e malattie e/o condizioni degenerative quali l’obesità. L’etica del cibo viene così a includere sia le questioni legate alle scelte individuali, sia quelle connesse alle politiche pubbliche; essa riguarda questioni legate alla capacità e alla volontà dei singoli, come pure questioni di rilievo istituzionale. Nel primo ambito si pongono domande del tipo: che cosa mangerò io? quando e come mi nutrirò (supponendo di possedere i mezzi materiali per farlo in maniera adeguata)? ovvero su questioni prevalentemente dietetiche; nel secondo caso, ci si interroga su che cosa mangerà, quando e come si nutrirà il pianeta terra, quindi sulle politiche agricole, industriali, ambientali etc. I due contesti sono indissolubilmente legati, soprattutto perché la possibilità che gli individui accedano al cibo sano, pulito e giusto, lento o veloce che sia, dipende per la maggior parte dalle politiche collettive. Infatti, sia che si segua un’etica utilitaristica, che presta attenzione alle conseguenze, sia che si aderisca all’approccio deontologico basato su diritti e doveri, le nostre azioni e le nostre scelte dipendono in gran parte dalle azioni del mondo che ci circonda.

L’etica del cibo va considerata nei termini dell’organizzazione del nostro sistema alimentare;, nonché nei termini nei quali tale organizzazione definisce il nostro particolare posto all’interno di tale sistema. Il sistema alimentare globale si è trasformato a partire dalla rivoluzione industriale con l’introduzione di nuove tecnologie per la produzione, il trasporto, la lavorazione e la distribuzione del cibo. Le tecniche di refrigerazione permettono una conservazione eccezionale ma anche manipolazione e adulterazione. La Rivoluzione Verde determinata dall’uso di fertilizzanti chimici e pesticidi ha mostrato tutto il suo potenziale di riduzione della deprivazione e della fame. Abbiamo dunque l’obbligo morale di supportare queste tecniche? E lo abbiamo fino al punto di accettare e diffondere la coltivazione e il consumo di OGM (organismi geneticamente modificati) o altri metodi emergenti in agricoltura? D’altra parte l’agricoltura è sempre alterazione intenzionale di un ecosistema naturale, a partire dal disboscamento e dall’aratura del campo che causa danni alla piccola fauna che vive sul e nel terreno; ogni insetticida o funghicida uccide organismi che vivono nell’ambiente naturale. Deve tuttavia essere possibile tracciare una linea tra un impatto ambientale accettabile/sostenibile e uno non accettabile e l’etica non dovrebbe mai dimenticarlo.

Si potrebbe dire che l’accesso al cibo faccia parte di quelli che John Rawls chiama beni primari. Ma il cibo è diverso da altri beni sociali primari perché indispensabile alla sopravvivenza. Secondo le statistiche della FAO il numero di persone che soffrono di denutrizione oggi nel mondo è di poco inferiore al miliardo. La crisi dell’obesità (di cui soffrono più di un miliardo di persone al mondo) deriva dal cibo (malsano/ingiusto) in eccesso, ma siamo molto più adusi all’idea dell’etica del cibo come un problema di scarsità, ossia di deprivazione cronica di nutrimento che provano i poveri della terra.

L’idea che i popoli sazi abbiano una sorta di dovere morale di assistere gli affamati data dai tempi biblici se non prima ed emerge in alcuni precetti religiosi e filosofici. I mali associati alla denutrizione sono legioni. Oltre a patire la sensazione di fame, le persone denutrite sono vulnerabili di fronte a malattie e disagi cronici, mentre i bambini denutriti sono inclini a subire danni permanenti nella crescita corporea e nello sviluppo cognitivo. Sulla scorta dell’eredità dell’opera di Malthus, Marx e Mill, Peter Singer scrisse nel 1972 un saggio antesignano nel quale si chiedeva di intervenire a soccorrere le persone colpite dalla carestia nel Bangladesh con l’argomento utilitarista esposto nei seguenti termini: se puoi fare qualcosa a basso costo per prevenire e curare un grave disastro, fallo. Tra l’altro il dibattito si evolse intorno alla questione – già affrontata da Cicerone nel De officiis – se sia moralmente accettabile, e sulla base di quali argomenti, dare priorità ai prossimi (famiglia, vicinato, città, nazione) e trascurare i lontani.

In anni successivi si leverà la voce di Amartya Sen che arriva a parlare di un food entitlement per tutti, quasi un diritto o comunque una sicurezza di accesso al cibo che apre la via a questioni più complesse che non la proposta fatta da Singer di convincere i benestanti ad aiutare i poveri. L’estensione della carità di prodotti alimentari ai poveri taglia infatti le risorse dei piccoli produttori che producevano cibo in loco e che fino a quel momento lo vendevano ai concittadini, e spinge i contadini poveri, ulteriormente impoveriti da queste misure caritative, a diventare lavoratori salariati, trascurando e perdendo quelle che sono, nel linguaggio di Sen e di Martha C. Nussbaum, le loro preziose capacità. E’ questo uno dei problemi fondamentali dell’etica del cibo.

* Una versione più estesa di questo contributo si trova nel volume collettaneo Guida alle etiche applicate, curato da Adriano Fabris e edito da Carocci, in programmazione per la fine del 2017.

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