Esperimenti monetari: Petro contro Superman

Paolo Paesani si occupa del Petro, la prima cripto-valuta di stato garantita dalle riserve petrolifere nazionali, lanciata il 20 febbraio del 2018 in Venezuela. Dopo avere descritto le caratteristiche dell’operazione, Paesani riflette su alcuni precedenti storici che possono fornire utili spunti per prevedere il futuro del Petro. La sua conclusione è che molto dipende dall’andamento del prezzo del petrolio, non tanto perché questo sia la garanzia della nuova valuta, ma perché da quel prezzo dipendono la solvibilità del governo venezuelano e la sua agibilità politica.

“Oggi nasce un bambino che sarà in grado di affrontare Superman”. Con queste parole, pronunciate il 20 febbraio di quest’anno, il presidente del Venezuela Nicolàs Maduro salutava la nascita del Petro, la prima criptovaluta di Stato garantita dalle riserve petrolifere nazionali. Superman è, ovviamente, il dollaro USA, architrave del sistema monetario internazionale e simbolo del potere finanziario degli Stati Uniti, il grande nemico.

Stretto fra una crisi economica e sociale gravissima, che dura oramai da più di quattro anni, e le sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione Europa sul commercio di armi e altri materiali sensibili, il governo venezuelano si affida oggi a un neonato, figlio di due genitori molto diversi fra loro: la tecnologia blockchain, base delle cripto-valute come Bitcoin ed Ethereum, e il petrolio denso estratto nel delta dell’Orinoco.

Secondo il libro bianco (pubblicato in occasione del lancio della nuova criptovaluta), un Petro equivale ad un barile di petrolio venezuelano, 60 dollari USA ai prezzi attuali. Il governo prevede di emettere 100 milioni di Petro, per un controvalore teorico di 6 miliardi di dollari. L’emissione avverrà in due fasi. Durante la prima fase, che si concluderà il 19 marzo, il governo collocherà 38,4 milioni di unità attraverso un meccanismo di prevendita che utilizza la piattaforma NEM. In questa fase, sarà possibile acquistare dei token (gettoni), con uno sconto iniziale pari al 60% e decrescente con l’avvicinarsi del 19 marzo. L’impiego di token agevola il collocamento iniziale della nuova moneta (ICO initial currency offer) in quanto permette di utilizzare protocolli informatici sperimentati come appunto la piattaforma NEM. Terminata la fase di prevendita e attivata la nuova blockchain, i token saranno convertiti in altrettanti Petro e inizierà il collocamento vero e proprio. Durante questa fase, che partirà il 20 marzo 2018, il governo prevede di emettere altri 44 milioni di Petro, fino ad esaurire l’offerta. I restanti 17,6 milioni rimarranno, almeno inizialmente, nella disponibilità del governo che agisce attraverso la Soprintendenza delle criptovalute.

Il governo venezuelano garantisce che accetterà Petro nel pagamento di tasse, tariffe, contributi e servizi pubblici nazionali, prendendo come riferimento il prezzo medio di un barile di greggio venezuelano, registrato il giorno precedente quello del pagamento. L’uso del Petro sarà promosso dalla compagnia petrolifera di Stato (PDVSA) e da altre società pubbliche e miste, così come enti pubblici nazionali, governi regionali e locali. Il governo venezuelano s’impegna infine a introdurre misure volte a prevenire che il Petro possa servire al riciclaggio di denaro sporco e al finanziamento del terrorismo e delle attività legali.

L’attribuzione al Petro dello status di moneta legale pone un problema di convertibilità fra la nuova moneta e il Bolivar, valuta nazionale del Venezuela. Una formula, riportata a pagina 15 del libro bianco summenzionato, è utile a chiarire la questione

Secondo quanto indicato dalla formula, il prezzo al quale lo stato venezuelano accetterà Petro in pagamento di debiti nei suoi confronti, denominati in Bolivar, è determinato dal prodotto di tre termini: il prezzo di un barile di petrolio venezuelano espresso in termini di Petro (Precio del crudo/Petro), il prezzo di un Petro espresso in termini di Bolivar (Petro/Bolivar) e un fattore di sconto fissato dal governo e comunque non inferiore al 10%.

Fin qui le informazioni di massima e le buone intenzioni, ma cerchiamo di capire meglio. Nell’immediato, l’emissione di Petro, che al momento si possono acquistare utilizzando valute forti o altre criptovalute ma non Bolivar (valuta nazionale), permette al governo Maduro di raccogliere valuta estera senza dover accendere prestiti o emettere titoli che sarebbe comunque difficile se non impossibile collocare data la situazione attuale del Venezuela e le sanzioni internazionali. In prospettiva, come indicato nel libro bianco, i proventi della vendita di Petro alimenteranno, per il 55%, un fondo sovrano e serviranno, per il restante 45%, a finanziare lo sviluppo dell’ecosistema Petro (15%), a promuovere la diffusione della nuova valuta in campo internazionale (15%) e a finanziare investimenti in tecnologia, infrastrutture, zone speciali e progetti che contribuiscano al progresso economico del Venezuela.

Durante la fase di prevendita, è verosimile che i capitali provengano da investitori dai paesi asiatici, dal Medio Oriente e dalla Russia. Russa, fra l’altro, è la società Zeus.exchange che assisterà il governo nella fase di emissione insieme alla società di consulenza Aerotrading. Nella seconda fase, il governo scommette che agli investitori esteri si aggiunga una parte dei 30 milioni di cittadini venezuelani, grazie anche agli incentivi fiscali che il governo intende mettere in campo per promuovere la diffusione del Petro.

Rimane da chiarire – e non è poco – in che senso il Petro sia garantito dal petrolio venezuelano. Non è chiaro se possedere Petro dia diritto a ricevere altrettanti barili di petrolio venezuelano (o il loro corrispettivo in dollari), secondo meccanismi simili a quelli che regolavano il funzionamento dei sistemi a tallone aureo (gold standard). Alcune dichiarazioni di Maduro, sul fatto di aver dato disposizione affinché le riserve contenute nel pozzo Ayachuco 1 sul delta dell’Orinoco siano riservate al sostegno del Petro, fanno pensare che sia così. In questo caso, l’emissione di Petro equivarrebbe di fatto a una vendita a termine di petrolio, come denunciato da alcuni membri dell’opposizione parlamentare al governo Maduro.

In assenza di un meccanismo formale di convertibilità, il petrolio rimarrà comunque a garanzia del valore del Petro, secondo quando indicato dalla formula discussa in precedenza. Se il prezzo di un barile di greggio venezuelano salirà al di sopra dei 60 dollari attuali e/o se il Petro si apprezzerà rispetto al Bolivar sulle piattaforme di scambio, prese a riferimento dal governo, il valore del Petro come mezzo per effettuare pagamenti verso lo Stato aumenterà, innescando un meccanismo endogeno di crescita dell’ecosistema Petro. Se invece il prezzo del greggio venezuelano dovesse diminuire e/o il Petro deprezzarsi rispetto al Bolivar accadrà il contrario.

Si tratta, evidentemente, di una doppia scommessa sulla tenuta del prezzo del greggio e sulla capacità del governo di far crescere l’ecosistema del Petro attraverso politiche ad hoc, come la concessione di incentivi fiscali alle imprese che si dichiareranno pronte ad utilizzarlo.

Tutto questa solleva molti dubbi e interrogativi per provare a rispondere ai quali può servire andare indietro nel tempo, ricordando come l’idea di legare il valore di una moneta a una o più materie prime, diverse da oro, argento o altri metalli monetari, non sia una novità.

I primi progetti moderni, in questa direzione, risalgono agli anni ’30 del Novecento e nascono dalla sfiducia nei confronti del sistema a cambio aureo. Benjamin Graham, economista e imprenditore statunitense, proponeva, per esempio, di costituire stock di materie prime da utilizzare come base per stabilizzare i tassi di cambio e il potere d’acquisto delle monete. Una proposta simile venne dall’economista austriaco Friedrich von Hayek. Nei primi anni ‘40, John M. Keynes, il cui nome viene evocato nel documento di lancio del Petro, propose l’istituzione del Commod Control. Si trattava di una nuova istituzione a cui era affidato il compito di gestire un sistema di scorte ufficiali di materie prime (buffer stock) con l’obiettivo di stabilizzare i prezzi delle materie prime e finanziata utilizzando la nuova unità di conto, il Bancor, di cui Keynes proponeva l’introduzione. Nel 1964, tre economisti, Nicholas Kaldor, Albert G. Hart e Jan Tinbergen proponevano alle Nazioni Unite l’introduzione di una valuta di riserva internazionale basata su panieri di materie prime (international commodity reserve currency).

In tutti questi casi, la proposta prevede di legare il valore della moneta a un paniere e non a una materia prima specifica, il cui prezzo può variare molto bruscamente in pochissimo tempo. Questo vale per tutte le commodities e in particolare per il petrolio, che in alcuni dei progetti testé richiamati veniva escluso dal paniere di riferimento. In questo senso, la scelta del governo venezuelano di ancorare il valore del Petro a una sola materia prima non pare del tutto rassicurante per i futuri investitori nella nuova valuta.

Rimanendo sul piano dei confronti storici, c’è un secondo episodio che la nascita del Petro fa tornare alla mente: la vicenda degli “assegnati” nella Francia rivoluzionaria. Anche allora, un governo a corto di liquidità, stretto fra un’economia in crisi, un bilancio squilibrato, una circolazione monetaria gonfiata dai biglietti della Cassa di sconto e l’ostilità delle altre nazioni, pensò di ricorrere a un nuovo strumento finanziario, gli assegnati, garantito dalle proprietà fondiarie confiscate alla Chiesa. Gli assegnati si acquistavano pagando moneta metallica e davano diritto a riscattare una porzione dei beni del clero pari al valore dei titoli stesso. Al momento del riscatto, gli assegnati rifluivano allo Stato e venivano distrutti. Inizialmente gli assegnati pagavano una rendita annuale del 5%, che venne soppressa dopo pochi mesi trasformandoli in moneta fiduciaria inconvertibile. La storia degli assegnati finì malissimo: inflazione, circolazione monetaria parallela, accaparramento della moneta metallica, controlli draconiani e leggi severissime.

Negli ultimi anni, tutto questo i cittadini venezuelani lo hanno già sperimentato ed è verosimile ritenere che siano mitridatizzati contro i rischi di nuove manipolazioni monetarie. Anche per questa ragione, oltre che per motivi tecnici, è probabile che il governo abbia deciso di adottare un meccanismo di collocamento che permette, in una prima fase, di raccogliere capitali esteri e in una seconda fase di attivare il circuito interno.

Molto dipende dall’andamento del prezzo del petrolio, non tanto perché questo sia garanzia della nuova valuta, ma perché da esso dipende la solvibilità finanziaria del governo venezuelano, la capacità di importare beni primari dall’estero e di finanziare i programmi sociali inaugurati nell’era di Chavez. Se il governo venezuelano resisterà alla tentazione di inflazionare il Petro e, cosa assai più importante, se riuscirà a porre un freno alla crisi economica e finanziaria e a recuperare un minimo di credibilità e agibilità politica è possibile che il Petro sopravviva. In caso contrario, il neonato soccomberà alla forza di Superman e la sua breve esistenza sarà registrata come un capitolo in più nella lunga storia degli esperimenti monetari falliti.

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