Esclusione sociale ed emarginazione in India

Elisabetta Basile completa la sua analisi dell’esclusione sociale in India prendendo il esame gli aspetti della deprivazione non considerati nelle stime della povertà di reddito. Da tale esame risulta che le categorie sociali più vulnerabili sono sempre più marginalizzate. Basile sottolinea che la crescita del reddito non ha promosso, in India, lo sviluppo umano e ciò è confermato dalla modesta performance dell’India nel raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. In realtà emarginazione e deprivazione si rafforzano reciprocamente.

Le stime della Banca Mondiale, relative al 2009/10,  evidenziano che in India oltre un terzo della popolazione vive con meno di 1,25$ al giorno è ciò significa che  la  povertà è molto diffusa  malgrado l’elevata crescita degli ultimi due decenni. Ma queste stime forniscono una descrizione parziale del fenomeno perché prendono in considerazione solo la povertà di reddito (misurata sulla base del livello di consumo) mentre si può essere poveri – ossia esclusi dalla possibilità di avere una vita dignitosa – anche per cause diverse dalla mancanza di reddito, per esempio per le condizioni di  salute, mancanza di istruzione e di potere contrattuale, bassa qualità del lavoro o minacce di violenza. Questi aspetti devono essere considerati insieme alla povertà economica perché completano il quadro della deprivazione in India.

Povertà multidimensionale e disuguaglianze. L’idea che le caratteristiche personali e quelle dell’ambiente in cui gli individui vivono e lavorano siano all’origine di molteplici forme di deprivazione è alla base del metodo di analisi e di misurazione della povertà multidimensionale che Sabine Alkyre, seguendo l’approccio di A.K. Sen, ha sviluppato nell’ambito della Oxford Poverty & Human Development Initiative. L’applicazione del metodo Alkyre all’India (Cfr. S. Alkyre. e S. Seth, in OPHI Working Paper No. 60, Oxford Department of International Development, 2013) fornisce indicazioni preziose sulle principali dimensioni della povertà e sui gruppi sociali ad alto rischio di deprivazione.

Lo studio dimostra che in India i progressi nella riduzione della povertà multidimensionale sono stati minori di quelli nella povertà di reddito e i poveri continuano a subire forme di deprivazione che spesso si sovrappongono. Lo studio dimostra anche che la riduzione della povertà multidimensionale è imputabile all’intervento pubblico nelle infrastrutture – strutture abitative e di igiene, elettricità, acqua potabile – e che l’impatto su gruppi sociali e individui non è stato uniforme, con la conseguenza che i più poveri fra i poveri sono sistematicamente discriminati e il divario fra gruppi aumenta.

Il gap  tra le aree urbane e rurali continua a essere maggiore in termini di povertà multidimensionale piuttosto che di reddito e, inoltre,  gli Stati meno poveri hanno sistematicamente ridotto la povertà multidimensionale di più degli Stati più poveri.  Infine, la riduzione della povertà multidimensionale non è stata omogenea tra i vari gruppi castali, religiosi ed etnici e tra i diversi tipi di famiglia. Il gruppo che ha ridotto di meno la povertà multidimensionale è quello delle popolazioni tribali (le cosiddette Tribù schedate), mentre la performance di fuori casta (i Dalit, ossia le cosiddette Caste schedate) è stata relativamente migliore. Tra i gruppi religiosi, gli Indù e i Sikh hanno fatto molto meglio dei Cristiani, mentre le condizioni di vita dei  Musulmani mostrano una netta tendenza al peggioramento. Infine, la riduzione della povertà multidimensionale è maggiore nelle famiglie che hanno un uomo (e non una donna) come capofamiglia ed è correlata positivamente al livello di istruzione dei membri della famiglia e negativamente alla dimensione della famiglia. I più poveri fra i poveri sono localizzati nelle unità familiari più fragili

Così, l’analisi della povertà multidimensionale sostanzialmente conferma quanto emerge dalle stime sull’evoluzione del fenomeno della povertà economica. Nonostante si osservi una riduzione della povertà in tutte le sue dimensioni, in India è in atto un processo di marginalizzazione che porta all’esclusione di vasti gruppi sociali dai benefici della crescita economica. Ne consegue che la complessiva riduzione della povertà si  accompagna a una sostenuta crescita della disuguaglianza tra individui e gruppi, che si manifesta sia in termini di reddito sia – e soprattutto – in termini di progressiva esclusione dai benefici prodotti dalla crescita economica nelle varie dimensioni della convivenza civile, dalla salute, all’alloggio, all’istruzione, alla comunicazione.

La crescita dell’emarginazione sociale in India è direttamente collegata alle molte forme di stratificazione che affondano le loro radici nella storia e nella cultura del paese. La società indiana è stratificata non soltanto per classe e reddito ma anche per genere, casta, religione ed etnia, e la stratificazione assume aspetti che sono specifici dell’India perché espressione delle istituzioni che regolano la sua vita sociale. Inoltre, a ogni stratificazione è associata una specifica forma di disuguaglianza che genera processi di emarginazione che si rinforzano e si alimentano a vicenda. Il risultato è una  crescente disuguaglianza multidimensionale.

L’evidenza empirica  sulla crescita della disuguaglianza – anche se solo quella relativa  al reddito – in India è abbondante e solida. Secondo stime dell’Ocse l’indice di Gini è aumentato da 0,33 a 0,39 dal 1990 ad oggi. Inoltre, la disuguaglianza prevalente in India è quella “cattiva”, cioè che esclude alcune categorie sociali dall’accesso al capitale (fisico e umano) e marginalizza individui potenzialmente produttivi, riducendo l’efficienza del sistema economico.

Esclusione e sviluppo umano. L’ultimo rapporto del Centre for Equity Studies di New Delhi Centre for Equity Studies  documenta la sistematica esclusione di molti ceti sociali dallo sviluppo economico dell’India con specifico riferimento a istruzione scolastica, qualità delle abitazioni, condizioni di lavoro e amministrazione della giustizia e in particolare  evidenzia la persistenza di forti discriminazioni nell’accesso alle strutture scolastiche nei confronti dei Dalit, dei Tribali e dei Musulmani. Anche le caratteristiche delle abitazioni sono correlate al gruppo sociale. Così la discriminazione riguarda, di nuovo, soprattutto i Dalit e i Tribali, mentre si osservano forme di auto-segregazione dei Musulmani in zone periferiche nel tentativo di sfuggire alle persecuzioni da parte degli Indù. Infine il rapporto documenta che tra i detenuti in attesa di giudizio per reati di terrorismo sono sovra-rappresentati i  Dalit, i Tribali e i Musulmani.

Ma è certamente il lavoro  l’ambito in cui è maggiore la discriminazione. Sebbene oltre 94% dei lavoratori in India sia occupato nel settore informale – dove la  manodopera non è registrata e non gode di protezione e assistenza sociale – sono forti le discriminazioni che operano lungo linee definite dalla gerarchia castale, religiosa ed etnica. Così, i Dalit e i Tribali sono le categorie sociali prevalentemente occupate nei lavori precari e di basso livello, e i Musulmani sono sotto-rappresentati rispetto agli Indù nei posti di lavoro a maggiore protezione. Categorie sociali discriminate in modo trasversale sono ovviamente le donne sia nel mercato del lavoro sia nell’istruzione – anche se l’India sostiene di avere realizzato l’istruzione universale a livello di scuola elementare. Anche le persone che hanno forme di invalidità sono sistematicamente discriminate nel mercato del lavoro. Infine, i lavoratori delle campagne sono sistematicamente sotto-remunerati rispetto a quelli delle città.

Dal rapporto del Centre for Equity Studies emerge che le disuguaglianze nel controllo sulle risorse e sul reddito si intrecciano con quelle relative all’accesso all’istruzione, alla nutrizione, alle strutture sanitarie e di igiene, e queste molteplici forme di disuguaglianza sono sostenute e rafforzate dalle disuguaglianze personali, che spaziano dalle caratteristiche fisiche e di genere a quelle culturali di religione, casta ed etnia. L’esito è un processo di esclusione cumulata che emargina gli individui a molti livelli e rende  l’India una società gerarchica e discriminante.

L’India e gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. La diffusa deprivazione e la crescente disuguaglianza spiegano le difficoltà dell’India ad avvicinare  gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (OSM). Secondo il Rapporto delle Nazioni Unite sugli OSM per il 2014 (UN, The Millennium Development Goals Report 2014) la zona del mondo dove i progressi sono stati  minori è l’Asia del Sud, e all’interno di questa area l’India è il paese con il ritardo maggiore. Infatti, è certo che l’India mancherà i principali obiettivi con l’unica possibile eccezione per l’obiettivo 2 (l’istruzione primaria universale).  L’obiettivo 1 (sradicare la fame e la povertà e garantire condizioni di lavoro dignitoso per tutti) non sarà raggiunto: a un anno dalla scadenza degli OSM, l’India ospita ancora 1/3 dei bambini malnutriti del mondo, 1/3 dei poveri del mondo, e registra un’amplissima diffusione di rapporti di lavoro vulnerabili. L’obiettivo 3 (promuovere la parità dei sessi) si scontra con l’emarginazione sistematica delle donne di cui si è detto. Sarà mancato l’obiettivo 5 (migliorare la salute materna),  perché la mortalità delle donne nel parto continua a essere più alta del livello fissato dalle Nazioni Unite, e così  anche l’obiettivo 7 (garantire la sostenibilità ambientale), visto che i 2/3 della popolazione non ha accesso a servizi igienici, mentre oltre il 17% della popolazione indiana vive in slums e  negli ultimi 10 anni la tendenza è stata all’aumento.

Il quadro è ancora più preoccupante se si considera che  dal 1990 l’India ha fatto progressi solo in termini di reddito pro-capite, mentre la maggior parte degli indicatori di sviluppo umano sono peggiorati. Il confronto con gli altri paesi in via di sviluppo ed emergenti – sia in Asia sia in altre aree geografiche – è illuminante. Come mostrano J.Drèze e A.K. Sen (An Uncertain Glory. India and Its Contradictions, Penguin, 2013), i paesi con una performance migliore dell’India sono non soltanto quelli ricchi ma anche quelli poveri. Così, si collocano in una posizione migliore rispetto all’India sia la Cina sia il Vietnam che, con un reddito pro capite più basso, ha un risultato migliore per tutti gli indicatori non economici. Anche il Nepal, che ha ridotto la povertà di oltre il 4% all’anno tra il 2006 e il 2011 e che era sotto l’India per tutti gli indicatori, adesso la ha raggiunta e superata in alcuni casi (pur essendo il suo  reddito pro capite 1/3 di quello indiano); allo stesso modo il Bangladesh, che ha ridotto la povertà del 3,2% all’anno negli ultimi 15 anni, ha superato l’India per la speranza di vita (69 anni contro 65). La performance dell’India non è molto diversa da quella dell’Africa Sub-Sahariana, malgrado il reddito pro capite sia più alto del 50%:  l’alfabetizzazione delle donne è pressoché uguale (rispettivamente 50% e 55%), mentre la quota dei bambini sotto peso è nettamente più alta in India che in Africa Sub-Sahariana (oltre il 40% contro il 25%).

L’evidenza empirica che abbiamo commentato suggerisce che molte trappole impediscono all’India di uscire dalla povertà. La disuguaglianza è certamente un aspetto che spiega molto della situazione attuale – in particolare la disuguaglianza determinata dalle stratificazioni sociali radicate nella cultura e nella storia del paese, come il sistema castale e la pluralità religiosa ed etnica. Uscire da queste trappole è indispensabile per raggiungere un adeguato livello di sviluppo umano ma non è facile, perché l’ostacolo è rappresentato da vari aspetti della cultura e delle istituzioni indiane, La crescita economica, anche se dovesse  procedere a un tasso a due cifre, come alcuni prevedono, non basterebbe.

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