Eredità universale e concentrazione di ricchezza in Italia

Gabriele Letta esamina la concentrazione dei patrimoni in Italia e le potenziali implicazioni distributive di un’eredità universale. Dopo una sintetica descrizione delle differenze tra i trend di concentrazione che emergono dai dati amministrativi e da quelli statistici, Letta effettua alcune simulazioni statiche sui dati survey della Banca d’Italia (SHIW, 2016), comparando, in diversi scenari, gli effetti redistributivi di una patrimoniale e di un trasferimento universale di capitale ai giovani.

Siamo a più di un anno di distanza dalla patrimoniale suggerita dai deputati PD e LEU e a più di sei mesi dalla proposta di Enrico Letta di aumentare le aliquote dell’imposta di successione per pagare ai giovani un’eredità universale, una dotazione di capitale pari a €15.000 liberamente spendibile. Quest’ultima idea non è però farina del suo sacco, bensì mutuata dal manifesto programmatico del Forum Disuguaglianze Diversità (2019), che trae a sua volta spunto dal “Program of Action” del compianto Tony Atkinson (“Inequality: What can be done?”, Harvard University Press, 2015). Ma da cosa scaturisce un’idea così radicale? Quali fenomeni mira a contrastare?

Per rispondere bisogna guardare alla ricchezza e all’evoluzione della sua concentrazione, argomenti storicamente tralasciati in favore della disuguaglianza dei redditi. A ciò ha concorso la scarsità di dataset di qualità sulla ricchezza, oggi fortunatamente ricostruibili. La distribuzione di ricchezza è in genere più iniqua di quella del reddito, la sua mobilità inferiore e come proxy del benessere riesce a catturare componenti trascurate dal reddito. I trend ricostruiti a partire da Piketty (“On the Long-Run Evolution of Inheritance: France 1820–2050”, Quarterly Journal of Economics, 2011) mostrano poi che la frazione di capitale privato sul reddito nazionale pro-capite è cresciuta notevolmente nell’ultimo secolo nelle economie avanzate (Fig. 1). Dato che a ciò si accompagna un aumento dei flussi ereditari, risulterebbe che il fenomeno dipenda dall’accumulazione passata di risorse (poi trasferite intergenerazionalmente), invece che dalla capitalizzazione di risparmi intragenerazionali. Per molti, le economie sviluppate stanno rinunciando alla crescita della produttività del lavoro e alla mobilità sociale per abbracciare le rendite di posizione, l’accumulazione dinastica e un’alta persistenza intergenerazionale.

Fig.1: Trend 1870-2010 del rapporto tra ricchezza privata e reddito nazionale, Europa e U.S.A.

Fonte: Piketty T., Zucman, G., “Wealth and Inheritance in the Long Run”, in: “Handbook of Income Distribution – Volume 2B”, Atkinson, A., T., and Bourguignon, F., (eds.), 2015

In Italia, dove il livello di ricchezza privata svetta rispetto alla media europea, le cose non cambiano. Il Forum propone di livellare le condizioni di partenza dei giovani perché i trend citati, nel nostro paese, somigliano molto alle ripide “curve a U” osservate in U.K. e U.S.A. Tale paragone emerge dall’importante lavoro di Acciari et al. (Acciari, P., Alvaredo, F., Morelli, S., “The concentration of personal wealth in Italy 1995–2016”, NBER Chapters, 2021), e dal loro dataset sulla ricchezza italiana tra il 1995 e il 2016, elaborato a partire dalle successioni. Il dataset permette in primis di superare alcune problematiche legate ai dati survey sulla ricchezza della Banca d’Italia (SHIW), come le sottostime della ricchezza del top 1%; in secondo luogo, esso traccia le eredità, cosa non permessa dagli insufficienti elementi retrospettivi dei campioni Bankitalia.

Le figure restituite dalle successioni sono più sconfortanti di quelle campionarie. Mentre i dati SHIW del 2016 riportano un indice di Gini ponderato della ricchezza pari a quasi 62%, Acciari et al. ritrovano tale valore (riferito in termini personali e non familiari) nel 1995, anno dal quale l’indice è salito di 14 punti. Secondo la Banca d’Italia, inoltre, e differentemente da Acciari et al., la distribuzione della ricchezza è rimasta relativamente costante per 20 anni. Come conciliare questo dualismo empirico? Innanzitutto, c’è motivo di pensare che il dataset amministrativo sia più fedele alla realtà, sia per la sua natura non campionaria, sia per le modifiche apportate dagli studiosi ai dati (aggiustamento dei valori catastali degli immobili al mercato, imputazioni per popolazione non identificata e ricchezze esentasse), poi allineati alla contabilità nazionale e triangolati con altre fonti (SHIW inclusi). Ma pur assumendo irrealisticamente che la disuguaglianza di Acciari et al. sia sovrastimata, l’accento va messo sul suo andamento, più in salita rispetto alle “miti” tendenze campionarie, e dunque simile a quello visto negli U.S.A., dove la concentrazione sta raggiungendo i livelli dell’Europa di inizio Novecento. In termini relativi, in 20 anni, lo 0.1% più ricco ha quasi raddoppiato la sua quota, mentre quella del 50% più povero è scesa dell’8%. In quanto a trasferimenti, il valore della ricchezza trasmessa in rapporto al PIL nazionale è raddoppiata, con un aumento fortemente concentrato nelle mani del top 1%. Ciò che porta a ipotizzare (ma non provare) che la ricchezza trasmessa possa essere d’ostacolo all’uguaglianza di opportunità dei giovani italiani, troppo legati alle risorse familiari.

Fig 2: Confronto tra trend di Gini 1995-2016: stime di Acciari et al. (in verde) e stime Bankitalia (in grigio)

Fonte: Acciari et al., 2021

Perciò ha senso parlare di eredità universale. Ci sono però poche (eufemismo per non dire “quasi nessuna”) evidenze utili a valutarne l’impatto distributivo. Per dare un’idea sui risultati da attendersi e gettare le basi su come trattare la faccenda, si può comunque simulare staticamente il trasferimento usando gli ultimi SHIW (2016). Come riportato sopra, l’indice di Gini ponderato della ricchezza è 0.616, contro lo 0.76 di Acciari et al. La Curva di Lorenz (Fig. 3) mostra come la distribuzione sia comunque poco omogenea e leggermente asimmetrica verso destra. Sempre secondo quanto è stato già specificato, i dati campionari a disposizione non permettono di tracciare le eredità; perciò, il finanziamento dell’eredità universale non può essere simulato con l’imposta sui vantaggi ricevuti. Per sopperire, si può ipotizzare una tassa patrimoniale con aliquote progressive – con un gettito in linea con il costo dell’eredità universale –, a partire da quelle sottoposte a novembre 2020 alla Commissione Bilancio (riportate nella Tab. 1).

Fig. 3: Curva di Lorenz della distribuzione della ricchezza (ponderata), stime campionarie

Visto che i dati SHIW forniscono dettagli sui membri delle famiglie, è facile identificare i 18enni. Fatto ciò, si può comparare la distribuzione dopo il trasferimento – e la patrimoniale, che precede la dotazione e che oltre al finanziamento fornisce alla policy un contributo redistributivo ulteriore, seppur modesto – con quella ex ante. Stando ai dati da me elaborati, una dotazione di €15.000 ai maggiorenni, con il meccanismo di finanziamento immaginato, ridurrebbe di soli 0,12 punti percentuali (p.p.) l’indice di Gini, mentre l’indice di entropia di Theil (spesso preferito al Gini dato che coglie meglio quello che accade negli estremi della distribuzione) diminuirebbe di 0,36 p.p. La quintile ratio (S80/S20) misura il rapporto tra la ricchezza del top 20% della distribuzione e quella del bottom 20%: attualmente il quinto più ricco detiene 743 volte la ricchezza del quinto più povero. Il fatto che il bottom 5% del campione abbia ricchezza nulla o negativa pesa probabilmente sull’entità di questa “distanza”. Dopo la policy, la S80/S20 ratio scende a 691 (-6.9%).

Tab. 1: Aliquote della patrimoniale simulata per classi di ricchezza (per scenario)

In generale, il dato campionario suggerisce che la riduzione di disuguaglianza dopo la dotazione universale (e l’imposizione patrimoniale) sarebbe limitato. Ecco qualche possibile ragione: 1) il trasferimento è universale, destinato quindi anche ai benestanti; 2) è flat, cioè di importo fisso, dunque non progressivo; 3) la platea di beneficiari è limitata. Il miglioramento distributivo potrebbe principalmente essere dovuto alla riduzione assoluta causata dalla fuoriuscita di una parte di popolazione dal debito (ipotesi plausibile ma che necessita di ulteriore verifica empirica).

Per verificare queste supposizioni si possono simulare altri scenari, che differiscono sulla base della platea del beneficiari e di un’eventuale selettività nell’accesso al trasferimento (Tab. 2).

Tab. 2: Scenari, simulazioni e risultati

Fonte: elaborazione dati SHIW (Banca d’Italia) 2016

Aumentando i beneficiari (includendo, ad esempio, anche i 19/20enni), e modificando contestualmente allo scenario la progressività dell’imposta patrimoniale (Tab. 1), la riduzione è maggiore, ma sempre inferiore a un punto percentuale per Gini e Theil. Rendendo il trasferimento progressivo la policy diventa maggiormente redistributiva. La differenziazione è stata effettuata in due modi (Tab. 2): nel primo caso suddividendo intuitivamente le famiglie in scaglioni in base alla distribuzione percentile della loro ricchezza; nel secondo mediante la differenziazione dell’ISEE (calcolato approssimativamente a partire dalle informazioni presenti nel campione) prevista dall’assegno unico per i minori. Secondo il primo metodo – ed escludendo dal beneficio le famiglie “milionarie” (il top 3% circa) – il Gini scende di 0,57 p.p. e il Theil di 1,34 p.p. Il calo della S80/S20 ratio è ancor più sostanziale: quasi un terzo, un lampante esempio di redistribuzione dalla coda destra a quella sinistra della distribuzione. In generale, differenziare ed esentare i benestanti sarebbe più efficace, ma comporterebbe un trade-off etico tra le mere finalità redistributive e i presupposti del Forum, che ritiene l’universalità del trasferimento fondamentale per permettere a tutti, facoltosi o no, di emanciparsi dal contesto familiare.

Tab. 3: Struttura della differenziazione dei trasferimenti per ISEE

In ogni caso, mantenendo flat la dotazione, una conclusione forse tautologica ma importante è che estendere la platea dei beneficiari a giovani di altre fasce d’età ha senz’altro effetti equalizzanti, perché le famiglie con figli giovani sono meno ricche in media. Pagando, ad esempio, la somma ogni anno ai neo-maggiorenni, il solo fatto di avere più beneficiari nel tempo, pur prescindendo (forse un po’ banalmente) dalle risposte comportamentali di lungo periodo, contribuirebbe dunque a ridurre gradualmente la disuguaglianza.

Studi approfonditi sono assolutamente necessari, in virtù dei limiti di questo piccolo “esperimento”: in primis, la distribuzione post-policy è qui espressa in termini familiari, il che risulta incoerente con il fatto che il pagamento è fatto a individui, per “liberarli” dalle condizioni di partenza (ma non si è potuto procedere diversamente dal momento che i dati a disposizione non consentivano di calcolare la ricchezza individuale). Visto però che in Italia (dove lo stato sociale è poco “decommodificato”, per usare le parole del sociologo Esping-Andersen) i giovani vivono a lungo con la famiglia, pensare alla nuova ricchezza come parte del nucleo d’origine non sarebbe un’immagine distante dal reale. In secondo luogo, fermarsi all’analisi “meccanica” ignorando l’eterogeneità degli agenti è riduttivo. Studi sugli effetti statici dell’eredità sulla disuguaglianza (su tutti Wolff, E. N., Gittleman, M., 2014, “Inheritances and the distribution of wealth or whatever happened to the great inheritance boom?”, Journal of Economic Inequality) concludono come questa sia equalizzante nel breve termine, ma concordano che tale risultato sia distorsivo. La risposta comportamentale di individui eterogenei, infatti, impatta certamente la distribuzione nel lungo periodo: i poveri consumeranno il lascito, i ricchi lo capitalizzeranno. Allo stesso modo, senza analisi dinamiche è complicato capire quale sarebbe davvero l’effetto di un’eredità universale sulla concentrazione della ricchezza. Contributi recenti (Nekoei, A., Seim, D., “How do inheritances shape wealth inequality? Theory and evidence from Sweden”, CEPR Discussion Paper, 2021) presentano strumenti adatti a questo tipo di analisi, per i quali bisogna selezionare i dati appropriati. L’auspicio è che ricerche di questo genere prendano piede in Italia e aiutino a capire come ridurre le iniquità ed equalizzare le opportunità dei giovani, ad oggi per niente “pari”.

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