Epidemia da CoVid-19: male pubblico globale, gestione locale e disastro totale

Filadelfo Coronarius ripercorre le tappe della diffusione del corona virus, cercando risposte a domande ricorrenti come queste: come siamo arrivati a questo punto? Era davvero impossibile contenere il virus? È questo un ulteriore tributo, dopo la Grande Recessione e l’impoverimento del ceto medio, da pagare alla globalizzazione? Nella ricostruzione di Coronarius un ruolo importante è assegnato alla mancata applicazione del Principio di Precauzione, che pure figura nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione, da parte della Commissione Europea.

Alla fine l’incubo peggiore si è materializzato: siamo in presenza di una Pandemia. L’11 marzo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato che epidemia da CoVid-19 si è trasformata in una pandemia, cioè un’epidemia che si diffonde simultaneamente in tutto il mondo. I casi di infezione da CoVid-19 sono 118.000, con 4.291 decessi, in 114 paesi.  Il bollettino quotidiano della Protezione Civile sulla diffusione dell’epidemia da Coronavirus in Italia riporta i seguenti dati: 12.462 positivi accertati, con 827 decessi. Dal 4 marzo e fino al 3 aprile sono state chiuse le scuole e le università, molte aziende applicano lo smart-working (telelavoro). Tutta l’Italia è considerata zona protetta, cioè sono vietati gli spostamenti non motivati dalla propria abitazione. Inoltre è attuata la sospensione delle attività di palestre, centri sportivi, piscine, centri natatori, centri benessere, centri termali (fatta eccezione per l’erogazione delle prestazioni rientranti nei “livelli essenziali di assistenza”), centri culturali, centri sociali, centri ricreativi e da ultimo, in Lombardia la regione italiana più colpita con 7.280 contagiati, la sospensione di tutte le prestazioni presso ospedali e cliniche private ritenute non essenziali. Infine alcune grandi catene commerciali come Decathlon, Coin, Calzedonia hanno deciso la chiusura di tutti i negozi sull’intero territorio nazionale.

I prossimi giorni diranno se queste misure che hanno portato alla quarantena di 16 milioni di persone, come nella città di Wuhan, sono state in grado di contenere l’esplosione incontrollata dell’epidemia o come sembra, di fronte a un’epidemia che non sembra arrestarsi, rappresentino solo delle misure di mitigazione della diffusione del virus, che ha saturato le terapie intensive della Lombardia e di altre province poste in quarantena.

Le domande che ci poniamo sono semplici e sulla bocca di tutti. Come siamo arrivati a questo punto? Era davvero impossibile contenere un virus che abbiamo iniziato a conoscere durante le vacanze natalizie quando le scene riprese nel mercato di Wuhan, dalle condizioni igieniche e sanitarie raccapriccianti, rimbalzavano su tutti i notiziari? E’ veramente, come molti affermano, l’ennesimo tributo, oltre a quello della Grande Recessione e dell’impoverimento del ceto medio, che l’umanità deve pagare alla globalizzazione?

Cerchiamo di capire meglio con cosa abbiamo a che fare.

Il Covid-19 o Sars-CoV2 è un virus della famiglia dei coronavirus come il comune raffreddore, ma anche come la MERS – Middle East respiratory syndrome coronavirus (2494 casi con 858 decessi e contagi in 27 paesi dal 2012) e la più famosa SARS – Severe Acute Respiratory Syndrome del 2004. Il CoVid-19 è un virus che si trasmette agli animali e all’uomo. La sua diffusione umana sembra sia stata determinata da un salto di specie, cioè si ritiene che l’infezione sia stata trasmessa da animali, forse pipistrelli, all’uomo. Il suo periodo di incubazione secondo il ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control) va da 2 a 12 giorni, con un massimo di 14 giorni. Uno studio di genetisti cinesi pubblicato su National Science Review (sull’origine ed evoluzione del CoVid-19 indica che il virus si è evoluto in due tipi principali indicati come S (30% dei casi) e L (70% dei casi). Il tipo S è il più vecchio e meno aggressivo, mentre il tipo L, più aggressivo e più infettante, sembra decrescere in diffusione da gennaio. La presenza di virus mutati spiegherebbe l’evidenza di contagiati, precedentemente guariti.

Il primo caso di CoVid-19 è stato registrato in Cina, nella città di Wuhan nella provincia di Hubei, il 29 dicembre 2019. Il 12 gennaio 2020 l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) riceve dal ministero della sanità cinese la sequenza genetica del nuovo corona virus, isolato il 7 gennaio, per la preparazione dei kit diagnostici. Il 13 gennaio il ministero della sanità tailandese conferma il primo caso importato da Wuhan di coronavirus. Il 20 gennaio il ministero della sanità della Corea del sud conferma il primo caso di CoVid-19 importato da Wuhan. Il 20 gennaio l’OMS conferma che il CoVid-19 ha infettato 282 persone, di cui 51 in condizioni acute, 12 in situazione critica e 4 morti, in 4 paesi: Cina (278), Tailandia (2), Giappone (1) e Corea (1).

La prevenzione della pandemia è evidentemente un bene pubblico globale, come la mitigazione del riscaldamento climatico globale per prevenire i conseguenti sconvolgimenti climatici, la cui natura travalica i confini nazionali e impone azioni globali, non locali. A oggi, questa azione comune, nonostante i numeri dell’epidemia e l’allarme lanciato da Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS, secondo cui “questo virus è da considerare il nemico pubblico numero uno di tutto il mondo e di tutta l’umanità. È il peggior nemico che si possa immaginare…peggiore di qualsiasi attacco terroristico”, non è stata attuata.

Lo studio pubblicato sul New England Journal of Medicine condotto su 1099 pazienti cinesi contagiati da CoVid-19 riporta che: il periodo mediano di incubazione è di 4 giorni, l’età mediana dei pazienti è di 47 anni (meno dell’1% degli infettati ha al più 15 anni), di cui il 44% sono donne. I sintomi ricorrenti sono: febbre (44%) e tosse (68%), da segnalare che il 24% dei pazienti aveva altre malattie. La sindrome si è manifestata in forma non grave in 926 pazienti, ma in forma grave in 173 pazienti che risultano più vecchi (la mediana della loro età e superiore di 7 anni) e più spesso (39%) con pregresse malattie

Come è giunto il virus in Europa non è chiaro, ma forti indizi ricadono su di un uomo di affari tedesco che aveva avuto un incontro a Monaco con un partener preveniente da Shangai infetto, ma che risultava asintomatico. Il New England Journal of Medicine ha pubblicato una comunicazione scientifica che ricostruisce, presumibilmente, l’arrivo in Europa del Covid-19. Il 24 gennaio un uomo d’affari tedesco (paziente 1), dopo un meeting tenuto a Monaco il 20-21 gennaio con un partener commerciale proveniente da Shangai, infetto ma asintomatico, si ammala con i sintomi dell’infezione: tosse, febbre, dolori diffusi. Il 27 gennaio il paziente 1 torna al lavoro e informa del suo stato di salute la società e il Division of Infectious Diseases and Tropical Medicine di Monaco. Il 28 gennaio altri 3 impiegati della sua società si ammalano: uno di questi aveva avuto contatti con il partener cinese, gli altri solo con il paziente tedesco. Tutti e 4 i pazienti vengono ricoverati nell’unita di malattie infettive di Monaco.

Con quali mezzi è possibile contenere una simile epidemia? Essenzialmente limitando la trasmissione umana del virus e curando i malati.

Qual è la differenza rispetto all’ultima epidemia globale che è stata fronteggiata con successo, cioè l’influenza suina o A/H1N1 del 2009? Allora i medici avevano a disposizione degli antivirali specifici, come Tamiflu e Relenza, e soprattutto dopo poco tempo è stato prodotto un efficace vaccino.

Cosa si ha a disposizione contro il CoVid-19? Essenzialmente si stanno testando degli antivirali e il più promettente sembra essersi rivelato un antivirale preparato in origine per la cura di Ebola. Allo stato non è disponibile un vaccino.

Il Centers for Desease Control and Prevention (CDC) di Atlanta (US) ha stimato che l’epidemia di A/H1N1 ha provocato 151.000-575.000 morti nel mondo (tasso di mortalità compreso tra 0,001% e 0,007% della popolazione mondiale), solo nel primo anno. Il tasso di mortalità della pandemia di A/H1N1 fu, comunque, inferiore a quello di altre influenze pandemiche come la Hong Kong o AH3N2 (1968) che registrò un tasso di mortalità globale dello 0,03% e dall’influenza spagnola (A/H1N1) che uccise una percentuale compresa tra l’1% e il 3% della popolazione mondiale, cioè centinaia di milioni di morti, nel 1918.

Come qualsiasi manuale di epidemiologia insegna, la misura più efficace per il contenimento dell’epidemia è il confinamento dei focolai e la quarantena dei possibili infettati.  Quindi, confinare i focolai accertati di CoVid-19 e soprattutto istituire una rigida quarantena per coloro che hanno potuto avere un potenziale contatto con il virus.

Il 7 marzo 2020 il numero dei contagiati ha raggiunto la cifra di 101.927 casi, di cui 3.486 decessi, in tutti i continenti (94 paesi), quindi con un tasso di mortalità attorno al 3%, che in Italia purtroppo raggiunge il 4%. Il tasso di riproduzione del CoVid-19 o R0 è stimato di 2,5-3, il che significa che due persone con il virus ne infettano altre 5-6 e quindi che il numero di malati cresce di 2,5-3 volte a ciclo. Per capirci l’influenza stagionale ha un tasso di mortalità attorno all’1% e un R0 di 1,3. L’epidemiologia ci dice che se R0>1 si ha un’epidemia. I modelli matematici presentati in un articolo pubblicato su Lancet Global Health il 20 febbraio 2020 sulla fattibilità del contenimento dell’epidemia da CoVid-19 mostrano che per ottenere il controllo del 90% dell’epidemia con un tasso di replicazione compreso tra 2-5, dopo 12-16 settimane dai primi casi accertati, occorre “tracciare e isolare l’80% dei contagiati”. Purtroppo in Europa e in particolare in Italia siamo ben lontani da questi numeri.

Ricapitolando: il 20 gennaio si ha la conferma della diffusione in altri paesi del coronavirus e della sua morbidità. Il 25 gennaio l’OMS nel rapporto quotidiano sull’epidemia afferma “l’assessment del rischio indotto dall’epidemia non è cambiato dall’ultimo aggiornamento fatto il 22 gennaio; molto alto per la Cina, alto a livello regionale e alto a livello globale”. Il 28 gennaio le autorità tedesche ricoverano 4 soggetti contagiati dal coronavirus in Germania. Il 31 gennaio il Governo italiano chiude i voli diretti dalla Cina e il Ministro della sanità Speranza richiede una riunione straordinaria dei ministri europei per la definizione di misure per il contenimento. La riunione si tiene l’8 febbraio e si risolve in un nulla di fatto. Putroppo gli arrivi dalla Cina continuano negli altri paesi e con triangolazioni anche in Italia, senza che ai viaggiatori vengano imposte misure cautelative e di quarantena. Il resto: zone rosse, chiusura delle scuole ecc. è cronaca.

Esiste una chiara responsabilità per la diffusione del CoVid-19 nell’UE e ricade sulla Commissione europea che già a gennaio aveva tutti i dati e le informazioni sufficienti per elaborare una strategia di difesa in applicazione del Principio di Precauzione. Una grave responsabilità ricade anche sulle autorità tedesche che, così solerti a richiedere il rispetto delle regole comunitarie, hanno omesso di comunicare ai partner comunitari quanto stava accadendo nel loro paese e soprattutto hanno peccato, quanto meno di superficialità e negligenza, omettendo di richiedere l’applicazione di norme restrittive alla circolazione delle persone nel territorio dell’Unione. Andava istituita la quarantena obbligatoria, anche in strutture protette, per tutti coloro che provenivano o avevano soggiornato nei paesi con il contagio. Una misura drastica e costosa, ma infinitamente meno costosa in termini di vite umane e di conseguenze sociali ed economiche di quella che ci troveremo ad affrontare nei prossimi mesi.

Un articolo pubblicato su Science indica che già il 23 gennaio l’epidemia si era diffusa in molte città della Cina, evidenziando come la restrizione ai viaggi da Wuhan abbia solo ritardato in modo modesto, da 3 a 5 giorni, la diffusione del virus a livello nazionale, ma “ha avuto un effetto molto più marcato su scala internazionale, dove i casi importati si sono ridotti di circa l’80% fino a metà febbraio” rispetto alla diffusione prevista da modelli come il Global Epidemic and Mobility Model (GLEAM).

L’evoluzione dell’epidemia da CoVid-19 nell’UE impone una seria riflessione sull’applicazione delle leggi di cui la stessa UE si è dotata.

L’articolo 191 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione (Treaty on the Functioning of the European Union – TFEU) cita esplicitamente il Principio di Precauzione come un approccio alla gestione del rischio anche in presenza di un rischio solo potenziale. In una comunicazione successiva (COM2000) del 2/2/2000, la Commissione interviene per chiarire come e quando il principio di precauzione può essere invocato nella gestione del rischio.

La Comunicazione COM2000 riporta:

Il principio di precauzione non è definito dal Trattato che ne parla esplicitamente solo in riferimento alla protezione dell’ambiente. Tuttavia, in pratica, la sua portata è molto più ampia ed esso trova applicazione in tutti i casi in cui una preliminare valutazione scientifica obiettiva indica che vi sono ragionevoli motivi di temere che i possibili effetti nocivi sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante possano essere incompatibili con l’elevato livello di protezione prescelto dalla Comunità.

La Commissione ritiene che la Comunità, come gli altri Membri dell’OMC, ha il diritto di stabilire il livello di protezione – in particolare per quanto riguarda l’ambiente e la salute degli esseri umani, degli animali e delle piante – che ritiene appropriato. Il ricorso al principio di precauzione costituisce una parte fondamentale della sua politica e le scelte che essa effettua a tal fine continueranno a influenzare i punti di vista che la Commissione difende internazionalmente sui modi di applicare il principio in questione.

Il principio di precauzione dovrebbe essere considerato nell’ambito di una strategia strutturata di analisi dei rischi, comprendente tre elementi: valutazione, gestione e comunicazione del rischio. Il principio di precauzione è particolarmente importante nella fase di gestione del rischio.

Il principio di precauzione, utilizzato essenzialmente dai responsabili per quanto riguarda la gestione del rischio, non deve essere confuso con l’elemento di prudenza cui gli scienziati ricorrono nel valutare i dati scientifici.

L’attuazione di una strategia basata sul principio di precauzione dovrebbe iniziare con una valutazione scientifica quanto più completa possibile, identificando in ciascuna fase il grado di incertezza scientifica.

I responsabili debbono essere pienamente consapevoli del grado d’incertezza collegato ai risultati della valutazione delle informazioni scientifiche disponibili. Giudicare quale sia un livello di rischio “accettabile” per la società costituisce una responsabilità eminentemente politica. I responsabili, posti di fronte ad un rischio inaccettabile, all’incertezza scientifica e alle preoccupazioni della popolazione, hanno il dovere di trovare risposte. Tutti questi fattori devono quindi essere presi in considerazione.

Le domande che poniamo sono semplici.

Perché la Commissione non ha adottato il principio di precauzione nel caso dell’epidemia di coronavirus? Esiste una matrice dei rischi strategici per la UE? Cosa propone la Commissione per arginare l’epidemia? Davvero, nel silenzio imbarazzante della Presidente von der Leyen e della Commissaria alla Salute Kyriakides, dobbiamo prendere per buone le risposte al Ministro Speranza dei ministri della sanità dei paesi UE che, negando l’invio di medicali di prima necessità, mascherine essenzialmente, dicono che il contrasto dell’epidemia è un problema nazionale? Si tratta di negligenza, disattenzione, incapacità di comprensione degli eventi, superficialità, calcolo o semplice ignoranza?

Comunque la si guardi la storia della diffusione del CoVid-19 in Europa proietta un’inquietante ombra sulle istituzioni comunitarie.

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