Emergenza climatica e ambientale: lezioni dalla pandemia

Carmen Aina ed Enrico Ferrero ragionano sul legame fra lockdown e inquinamento urbano e, sulla base dei dati relativi a Milano e Torino, mostrano che durante questo blocco prolungato si è verificata una moderata riduzione in uno soltanto degli inquinanti più pericolosi per la nostra salute. Da ciò gli autori deducono che per affrontare emergenze globali, come le pandemie, l’inquinamento e i cambiamenti climatici, sono necessarie misure programmatiche da attuare con coraggio per tempi lunghi.

La diffusione del Covid-19 ha mostrato quanto è importante affrontare un’emergenza sanitaria con un’adeguata programmazione. La stessa riflessione può farsi in relazione ai cambiamenti climatici in corso da decenni, per i quali le poche azioni programmatiche concordate tra i vari Paesi stentano a divenire prassi consolidate e condivise. Mentre la comunità scientifica, salvo rare eccezioni, ha una visione unanime sull’emergenza climatica, parte dell’opinione pubblica è indifferente al rischio di catastrofi ecologiche, nonostante esse siano sempre più frequenti.

Cosa abbiamo imparato in questi anni? L’avversione alla programmazione di misure preventive è strettamente connessa al fenomeno noto in igiene pubblica come il “paradosso della prevenzione”. Gli interventi che portano ampi miglioramenti sulla salute della popolazione non vengono percepiti immediatamente come tali dagli individui. Questo “paradosso” rende le persone riluttanti nell’accogliere la prevenzione, anche perché in caso di successo delle misure adottate gli effetti non sono visibili.

I gas serra, ad esempio, non si vedono, non si sentono e non vengono percepiti come rischiosi per la salute. Diventa così difficile comunicare la necessità di ridurli e, a maggior ragione, convincere la collettività che occorre adottare azioni preventive, come sta accadendo per le misure di contenimento adottate per la pandemia in corso.

In queste settimane di lockdown del Paese, con la riduzione forzata del traffico nei centri urbani, si è spesso sostenuto che la qualità dell’aria fosse migliorata, facendo pensare di aver individuato la soluzione ad uno dei problemi che da tempo attanaglia le aree cittadine, specialmente nella Pianura Padana. Si è così diffusa l’illusione di aver trovato la soluzione alla questione dell’inquinamento urbano, con la conseguenza di ridurre la percezione della complessità di questo problema da parte degli individui.

È davvero così? In realtà questa conclusione è errata. Abbiamo, a tal fine, analizzato la variazione della qualità dell’aria dei centri urbani di due grandi città del Nord Italia: Torino e Milano, osservando l‘andamento di alcuni dei principali inquinanti. In particolare, ci siamo concentrati sul biossido di azoto (NO2) unitamente al particolato costituito da particelle di dimensioni minori di 2.5 μm (PM2.5) e minore di 10 μm (PM10).

Allo stato attuale gli studi sperimentali indicano che l’NO2 – a concentrazioni a breve termine superiori a 200 μg/m3 – è un gas tossico con effetti significativi sulla salute. Numerosi contributi epidemiologici hanno utilizzato l’NO2 come marker per il cocktail di inquinanti legati alla combustione, in particolare quelli emessi dal traffico stradale o da fonti di combustione interna (es. riscaldamento nelle abitazioni). L’NO2, in presenza di idrocarburi e luce ultravioletta, è la principale fonte dell’ozono troposferico e di aerosol di nitrati, i quali formano una frazione importante della massa di PM2.5 dell’aria.

Per quanto riguarda i particolati, i sistemi di monitoraggio della qualità dell’aria forniscono in generale dati basati sulla misurazione dei PM10, rispetto ad altre dimensioni più dettagliate. È opportuno precisare, però, che il PM10 rappresenta la massa di particelle che entra nel tratto respiratorio comprensiva sia di quelle più grossolane (dimensione tra 2.5 e 10 μm) sia di quelle più fini (PM2.5); queste ultime, per altro, sono le più impattanti sulla salute degli individui. Per tale motivo riportiamo nei grafici presentati in questo articolo anche queste sostanze.

Tra le tipologie di inquinanti menzionate, va ricordato poi che l’NO2 è quello che più rapidamente risponde alle variazioni delle emissioni, in quanto, come detto, viene prodotto da tutti i processi di combustione, compresi quelli derivanti dal traffico veicolare. Le variazioni delle polveri fini (PM10), invece, sono più articolate poiché una parte è emessa direttamente, mentre la restante è generata dalla trasformazione di altre sostanze reattive, quali l’ammoniaca, gli ossidi di azoto, i composti organici volatili.

I dati utilizzati nella nostra analisi coprono il periodo che va dal 1° febbraio 2020 all’8 aprile 2020, in modo da avere informazioni precedenti all‘emergenza CoVid-19 e durante le fasi del lockdown. La linea verticale blu evidenzia il primo blocco parziale implementato il 24 febbraio e quella rossa quello totale del 9 marzo. La linea orizzontale in ciascuna figura riporta il limite giornaliero previsto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per il PM2.5 (25 μg/m3 media giornaliera) e per il PM10 (50 μg/m3 media giornaliera). Per quanto riguarda l’NO2 il limite (200 μg/m3) non è invece riportato perché si riferisce alla media oraria, mentre qui rileviamo il dato medio giornaliero. Inoltre, per monitorare eventuali trend, i valori misurati nelle centraline di qualità dell‘aria sono stati confrontati con quelli dell‘analogo periodo dello scorso anno (tenendo conto che nel 2020 febbraio ha avuto 29 giorni). I grafici mostrano gli andamenti delle concentrazioni medie giornaliere al fine di rilevare se le misure di contenimento, determinando una riduzione del traffico e delle attività produttive, abbiano portato ad una diminuzione dell‘inquinamento atmosferico come di recente affermato, ad esempio, dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente in un comunicato stampa del 23 marzo scorso o dall’European Environment Agency (EEA) e dal Climate Change Service (C3S) presso l’European Centre for Medium-Range Weather Forecasts (ECMWF).

Con riferimento ai valori dei PM2.5 e PM10, nelle Figure 3, 4, 5 e 6 non sembrano evidenziarsi, per entrambe le città, scostamenti rilevanti tra gli andamenti nei due anni considerati. Per quanto riguarda l’NO2 si osserva, invece, un lieve calo (Figure 1 e 2). Tali tendenze sono peraltro in accordo con gli studi recentemente effettuati, per esempio, dall’ARPA della Toscana e dal Centro Meteo Lombardo.

Se avessimo rappresentato il trend di questi inquinanti solo per il 2020 saremmo stati indotti, erroneamente, a pensare che l‘applicazione delle misure di contenimento avesse portato ad una riduzione ben più consistente dei livelli di inquinamento nei centri urbani. In realtà, una contrazione di questi parametri si riscontra sempre nel passaggio stagionale. Il fatto di aver osservato solo un lieve decremento nei valori rispetto all’anno precedente può essere legato a svariate situazioni concomitanti, tra le quali, ad esempio, l‘aumento delle ore in cui sono stati accesi gli impianti di riscaldamento a causa della maggior permanenza a casa, che può aver compensato in parte la riduzione delle emissioni da traffico veicolare. Rimuovere gli inquinanti è infatti un processo complesso che dipende da diversi fattori, in primis dalle condizioni meteorologiche. Il dato meteo ha un ruolo cruciale soprattutto nella Pianura Padana, dove la conformazione orografica e la conseguente scarsa ventilazione rendono la rimozione degli inquinanti più difficoltosa. Questo accade soprattutto nei mesi invernali, caratterizzati da prevalenti condizioni di stabilità atmosferica e inversione termica. Tale aspetto è confermato nelle figure riportate dove, per il mese di febbraio, i livelli di inquinamento sono tendenzialmente più elevati in entrambi gli anni analizzati, e risultano spesso al di sopra dei livelli massimi prescritti dall’OMS.

Pertanto, per valutare le concentrazioni in aria degli inquinanti è necessario prendere in considerazione diversi fattori congiuntamente, quali le condizioni meteorologiche, le possibili trasformazioni chimiche e il contributo delle diverse sorgenti sui vari inquinanti. Infatti, se da un lato la causa dell’inquinamento sono le emissioni, dall’altra il contributo dei singoli inquinanti alla qualità dell’aria può essere molto differente, sia per l’incidenza di ciascuna sorgente sugli stessi sia per i processi coinvolti nel fenomeno della dispersione degli inquinanti. Non si può quindi cadere nella tentazione di risolvere il problema dell’inquinamento atmosferico, in maniera definitiva, senza adottare misure che tengano in considerazione più elementi in contemporanea. Le politiche di riduzione devono necessariamente affrontare questa complessità che va oltre le semplici rilevazioni, ovvero utilizzare metodi più sofisticati, come ad esempio la simulazione modellistica in grado di fornire previsioni su futuri scenari emissivi, sulla base di cambiamenti nelle varie sorgenti.

Quale lezione dalla pandemia? Il periodo di lockdown, riproducendo una sorta di esperimento naturale, ha consentito di evidenziare che i blocchi prolungati al traffico, abitualmente applicati nei fine settimana dopo giornate di sforamento consecutivo dei livelli massimi stabiliti, hanno prodotto una moderata riduzione di uno solo degli inquinati più pericolosi per la nostra salute. Nelle domeniche ecologiche, infatti, si rileva che le concentrazioni di inquinanti subiscono generalmente un calo nelle ore di blocco del traffico, per poi risalire dalle ore successive alla sua conclusione. Pertanto, come emerso nello studio presentato per le due città analizzate, le azioni richiedono almeno continuità per avere benefici persistenti nella qualità dell’aria.

Il tema dell’inquinamento atmosferico, così come quello dei cambiamenti climatici, è complesso e farsi trovare impreparati, come è accaduto per l’emergenza sanitaria, non è più una opzione plausibile perché le conseguenze potrebbero essere irreversibili. La collettività deve prendere coscienza del problema dell’inquinamento, chiedendo di prestare maggiore attenzione e di dedicare maggiori risorse alla prevenzione perché di inquinamento, al pari di Covid-19, si può morire.

Nella fase di ricostruzione post-pandemia si dovrà avere il coraggio di adottare strategie di lungo termine, orientate al raggiungimento della sostenibilità. Sarà, pertanto, necessario un coordinamento tra governi, enti di ricerca ed individui, per realizzare un modello di sviluppo sostenibile, capace di fornire nuove opportunità e risposte alle varie sfide in corso, come quella climatica. Lo dobbiamo a noi, ma soprattutto alle generazioni future.

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