Dove sono i Progressisti?

La grande rilevanza mediatica data al “Vaffa Day” e i commenti privi di risposte o proposte concrete fanno parte del solito modo italico di affrontare le cose senza andare al cuore del problema con il risultato di “non disturbare”.

Peraltro la disaffezione alla politica, di cui la protesta di Grillo è un esempio, non è altro che segno di un forte desiderio di cambiamento

Cambiare. Cambiare che cosa, come? Si potrebbero citare molti settori specifici, ma quello centrale,di cui rigorosamente non si parla, è la inversione di trend che da vizioso, orientato al basso, deve diventare virtuoso, in crescita. Certamente economica, ed è quella di immediata evidenza, ma soprattutto culturale, morale, civile, sociale.

Per cambiare serve una nuova classe dirigente, ma a quali scuole si può formare? All’estero?

È sotto gli occhi di tutti la situazione della scuola italiana, martoriata da riforme che la svuotano progressivamente di contenuti e con scarse possibilità di premiare il merito. Una professoressa mi diceva che i programmi sono attualmente così livellati in basso che per stimolare i ragazzi meritevoli era necessario proporre argomenti supplementari e dare quesiti a risposta volontaria e compiti differenziati per garantire anche ai migliori un progresso intellettuale e una crescita culturale adeguata alle loro capacità.

Abbiamo appiattito verso il basso, invece di insegnare a tendere allo sviluppo e all’eccellenza, abbiamo preferito mortificare tutti offrendo e pretendendo il minimo.

Uno dei compiti rilevanti di un amico preside di una prestigiosa scuola inglese è quello di trovare fondi per assegnare ogni anno una ventina di borse di studio a ragazzi meritevoli che non hanno la possibilità di pagare la retta del suo istituto.

Immaginate cosa accadrebbe da noi in una selezione esclusivamente per meriti? Quanti nipoti o parenti di, sarebbero i prescelti? E come si può pensare ad una selezione per meriti in un paese che ha accettato, pressocchè in silenzio, una campagna mediatica imponente contro un presidente di commissione di maturità che ha avuto l’unica colpa di voler verificare che lo svolgimento delle prove fosse regolare? Non è forse meritocratico pretendere che gli esami vengano superati esclusivamente con i propri mezzi?

È così diffuso il timore del cambiamento che entrare nel merito dei problemi diventa estremamente difficile.

Se parli con la gente della situazione attuale dell’Italia, trovi generalmente un comune sentire sia riguardo al declino culturale, sociale e civile che sulla inadeguatezza di chi dovrebbe invertire il trend e riportare il Paese a competere con le grandi democrazie europee.

Quando poi chiedi perché noi cittadini non facciamo niente per invertire questa tendenza la risposta rassegnata è sempre la stessa: “Non c’è niente da fare perché gli italiani sono così e la situazione è irreversibile”

Eppure c’è ancora chi resiste, come quella studentessa che chiese al Presidente Napolitano una valutazione sulle apparizioni di politici in TV prive di contenuti.

Sono soprattutto i giovani che sentono questo disagio; Romano Prodi nella campagna elettorale aveva diffuso il dato che il 57% dei giovani desiderava andare a lavorare all’estero.

Perché? Per l’ incertezza del futuro non più legato nel nostro Paese all’impegno ed alla capacità professionale acquisita nel corso del periodo formativo, ma alle “conoscenze”: alla appartenenza a famiglie, gruppi, corporazioni, partiti.

C’è una larga fascia di popolazione che ancora oggi cresce i figli educandoli a correttezza, impegno, serietà, rispetto del prossimo, dedizione al lavoro ed alla famiglia mentre nel mondo della vita pubblica esistono altre regole, non scritte e codificate, che fanno valere le ragioni della forza e della prevaricazione. Secondo un mal inteso precetto machiavelliano che il fine giustifica i mezzi.

L’indiscriminato uso della prelazione di appartenenza fa sì che quando si concorre per un posto od un incarico hanno più probabilità di vincere coloro che appartengono a gruppi piuttosto che persone indipendenti o non schierate.

Un sistema che tende ovviamente ad autotutelarsi, emarginando ed impedendo l’ingresso ai “diversi”. E per diversi si intendono coloro che ritengono l’etica e la competenza valori prioritari e non negoziabili.

Il Partito democratico dopo lunga gestazione e con un parto un po’ precipitoso è oggi una realtà.

È veramente una svolta nel panorama politico italiano o è solo una riedizione imbellettata della solita minestra?

Antony Giddens su Repubblica considerava la situazione compiacendosi per il voto e non nascondendo i problemi; raffrontandola poi con quella inglese citava Tony Blair che aveva indicato nel suo programma tre priorità “education, education, education”.

Personalmente ero andato a votare con entusiasmo alle primarie per l’Ulivo ritenendo dovere dei cittadini dare una spinta al cambiamento. Non sono andato a votare per il P.D. poiché tutta l’operazione mi è apparsa principalmente una grande corsa alle poltrone, piuttosto che un movimento autenticamente innovativo, che finalmente cambia punto di vista, cioè non impone delle direttive, ma è capace di ascoltare le esigenze dei suoi elettori per riuscire in quel cambiamento di rotta da tutti agognato e palesemente richiesto. Spero comunque di essere smentito.

Nel mio ricordo richieste di cambiamento alla politica ne sono state fatte molte. Ne cito solo una, il referendum per l’uninominale, che non ha ottenuto i risultati sperati dai cittadini poiché la legge elettorale che ne è seguita ha prodotto le Coalizioni ed il Mattarellum in quanto nessuno ha avuto il coraggio di rischiare imboccando la strada indicata dagli elettori.

La Destra e la Sinistra che siedono nel nostro Parlamento sembrano avere come interesse preminente quello di mantenere la loro situazione di privilegio o di potere e nessuno è in grado di cambiare nulla secondo l’antico detto “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”.

La Politica italiana dai tempi dell’IRI e forse anche da prima ha sempre privilegiato i consensi ottenuti in linea diretta con lo scambio dei favori a quelli più incerti e lontani ottenuti dal giudizio positivo sull’operato. Nei tempi di boom economico e di bilanci con inflazione a due cifre tutto era facile, ma con il rigore imposto dai criteri di Maastricht e dalla apertura dei mercati vengono a mancare le risorse per distribuire caramelle a tutti. Le partecipazioni statali, smantellate a livello nazionale, sono riprodotte in tutti gli enti locali con aziende municipalizzate o regionali che mantengono vivo l’intreccio tra politica ed affari, spostando il metro di giudizio dei cittadini.

Così il V-day, in questo conservatorismo dilagante che pervade anche i mezzi di informazione, ha avuto grande risonanza come notizia di folclore, ma scarsissime o nulle risposte al disagio che rappresentava. È stato inventato un movimento di antipolitica per poter eludere il merito delle questioni e cioè che i cittadini sono stufi di questa politica recitata in politichese, priva di idee e di progetti concreti per affrontare i problemi che la globalizzazione pone o porrà al Paese di qui a breve; una politica basata su campagne mediatiche e non su fatti concreti che continua a moltiplicare i centri di potere e di responsabilità producendo costi rilevanti e ritorno quasi nullo per la società. Come ciascuno di noi nella vita ha necessità di avere prospettive a medio e lungo termine e non può occuparsi solo di quello che si mangerà a pranzo e a cena oggi, così la Politica deve dare ai cittadini e soprattutto ai giovani prospettive di medio e lungo termine, saper prevedere scenari ed immaginare le possibili soluzioni. Invece sembra di assistere a diatribe tra persone che, rammentando i capponi di Don Abbondio, battibeccano su argomenti di rilevanza formale, apparentemente ignari di ciò che potrebbe accadere loro.

Entrare nel merito richiede rigore e certezza del rispetto delle regole, cosa che appare estremamente difficoltosa in Italia. E certamente fa gioco al trasversale partito conservatore che tutti siano appiattiti o rassegnati alla preminenza dell’appartenere sull’essere.

I progressisti dove sono finiti? Per dirla con Nanni Moretti, chi è che è in grado di dire una cosa di sinistra?

Le pensioni ed i diritti acquisiti non si toccano! C’è voluto un paio di anni di discussioni per trasformare lo scalone in una scala a gradini, ma nessuno entra nel cuore del problema: non è possibile continuare a pagare pensioni per un valore tre o quattro volte maggiore di quello che si è riscosso in contributi.

È necessario a mio avviso che i progressisti si ritrovino e si riuniscano per cercare di incidere realmente sul cambiamento. Continuando ad agire in ordine sparso verranno fagocitati dal sistema e resi inoffensivi. E per progressisti si intendono coloro che credono che la Politica debba:

a) disegnare la cornice e dettare le regole sulla base di analisi della situazione attuale e previsioni della sua evoluzione, immaginando per ciascuna le diverse possibili soluzioni;

b) controllare che gli attori rispettino le regole di comportamento concordate

c) verificare che il ritorno delle attività di pubblica amministrazione e servizi pubblici corrisponda all’interesse generale e non ad interessi privati;

e che:

d) il giudizio sulla attività di amministratori pubblici e politici debba derivare dalle scelte fatte, dai comportamenti tenuti e dai risultati raggiunti piuttosto che dai problemi risolti per singoli individui:

e) chi ha sbagliato o manifesta incompetenza per il ruolo svolto deve potere essere mandato a casa.

La “Politica” è scienza seria e rigorosa che in democrazia richiede la compartecipazione del popolo per decidere obbiettivi e percorsi prima di chi sarà indicato come responsabile della realizzazione. Ora è ridotta a spettacolo e colpi ad effetto ed il popolo, messo in secondo piano, è rappresentato da sondaggi per lo più opinabili.

Oggi il voto è una delega in bianco data a uomini che debbono scegliere la via da seguire, i programmi indicazioni di massima ed il loro mancato rispetto un banale incidente di percorso per la contingenza sfavorevole o la protervia dell’opposizione.

Recentemente mi è capitato di sentire per radio una ascoltatrice che in una trasmissione di confronto con un parlamentare commentava la grande affluenza al voto alle primarie del partito democratico; era a suo dire una pressante richiesta alla Casta politica di cambiamento da parte della gente comune stufa di questo modo di gestire la cosa pubblica: non governare e non decidere ma essere unicamente interessati al mantenimento dei privilegi attuali. È come chiedere alla volpe di smettere di mangiare le galline.

E se i Palazzi sono trasformati in comitati di affari ove è preminente l’interesse alla conservazione, restano le piazze, i posti di lavoro, la Rete come luoghi di incontro ove costruire un’alternativa progressista che arrivi al confronto forte e motivata. Il desiderio di cambiare il sistema, così come la famiglia, non è un valore attribuibile alla destra od alla sinistra, ma un’istanza etica che proviene dalla parte più sensibile e onesta della società italiana.

Roma 31.10.2007

Andrea Levi Della Vida

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