Disuguaglianze metropolitane: Roma, Milano e Napoli a confronto

Keti Lelo, Salvatore Monni e Federico Tomassi, confrontano le tre più popolose città metropolitane italiane: Roma, Milano e Napoli, analizzando le suddivisioni sub-comunali dei capoluoghi e gli altri comuni dell’hinterland. Da tale confronto emerge, seppure con diverse intensità, la presenza di disuguaglianze in termini di istruzione, occupazione e reddito in tutte e tre le aree metropolitane. Gli autori sostengono che tali evidenze sollecitano la necessità di politiche specifiche e territorialmente diversificate nelle aree metropolitane.

Dopo aver mostrato nello scorso numero del Menabò le principali evidenze sul comune di Roma emerse nel progetto #mapparoma, in questo articolo intendiamo comparare le tre più popolose città metropolitane italiane: Roma, Milano e Napoli. A questo fine, facciamo uso delle suddivisioni sub-comunali dei capoluoghi e degli altri comuni dell’hinterland: per Roma 155 zone urbanistiche e 120 comuni, per Milano 88 nuclei di identità locale e 133 comuni, per Napoli 30 quartieri e 91 comuni. Come nell’articolo precedente i dati, di fonte censuaria, sono resi disponibili in formato aperto (open data) e liberamente riutilizzabili.

Roma, Milano e Napoli, pur paragonabili in termini di popolazione residente, non lo sono in termini di superficie, forma urbana e performance economica. Rappresentano infatti bene lo storico divario tra il Nord e il Sud del Paese (Tabella 1). Le tre aree metropolitane hanno diverse dimensioni territoriali: Milano e Napoli raggiungono insieme 274mila ettari, la metà dell’estensione di Roma (536mila ettari), un dato ancora più evidente a livello comunale, dove la somma dei capoluoghi Milano e Napoli rappresenta solo il 23% del territorio di Roma Capitale. Roma è caratterizzata dall’eccezionale dimensione del comune capoluogo, il cui limite amministrativo include ampie porzioni di campagna, mentre le aree urbane di Milano e Napoli superano i limiti delle rispettive città metropolitane, andando a saldarsi con le province confinanti.

 

Tabella 1. Caratteristiche delle città metropolitane italiane

In questa sede ci concentriamo su tre dimensioni essenziali dello sviluppo economico: reddito medio per abitante, istruzione e occupazione, rimandando per un’analisi più dettagliata, comprendente anche altre dimensioni, al nostro lavoro Disuguaglianze metropolitane: un confronto con Milano e Napoli pubblicato nel volume curato da Ernesto d’Albergo e Daniela De Leo Politiche urbane per Roma: le sfide di una capitale debole, Sapienza Università Editrice, 2018.

Per quanto riguarda il reddito medio annuo per contribuente (Figura 1) è interessante osservare, da un lato, come quasi l’intero territorio della città metropolitana di Milano si collochi nella fascia di reddito superiore a 20.000 euro e, dall’altro, che Milano (30.600 euro) non è il comune più ricco essendo scavalcato da cinque comuni dell’hinterland i cui redditi medi superano i 31.000 euro (Basiglio, Cusago, Segrate, San Donato e Arese). Nella città metropolitana di Roma gli unici due comuni che superano, di poco, 25.000 euro di reddito medio sono Formello e Grottaferrata, situati nella prima cintura, mentre Roma rimane poco al di sotto (24.700 euro, un valore probabilmente “appiattito” per effetto della variabilità interna all’esteso territorio comunale) e la maggior parte dei comuni dell’hinterland si colloca nella fascia tra 15 e 22.000 euro. Ben diversa si presenta la situazione della città metropolitana di Napoli dove, ad esclusione di Capri, San Sebastiano al Vesuvio, Procida e Sorrento, il resto dei comuni non supera i 20.000 euro di reddito medio; Napoli è leggermente al di sotto (19.900 euro), e numerosi comuni hanno un reddito medio per contribuente inferiore ai 15.000 euro.

 

Figura 1 – Reddito Medio per Contribuente

La distribuzione della popolazione residente con più di venti anni per titolo di studio è fra le caratteristiche socio-demografiche che maggiormente condizionano la composizione socio-economica delle diverse aree urbane. Se a Roma e Milano la quota di laureati più elevata si osserva nei quartieri più centrali e in pochi altri comuni dell’hinterland, a Napoli il disagio socio-economico di parte del centro storico fa sì che i titoli di studio più elevati siano concentrati soprattutto nelle zone benestanti semicentrali (Figura 2).

A Roma, come già descritto nello scorso numero del Menabò, la distanza dal centro è anche una distanza sociale. Infatti, i laureati ai Parioli (49,2%) sono ben otto volte quelli della periferia di Tor Cervara (6%): la loro percentuale supera il 42% nei quartieri benestanti a nord, mentre scende sotto al 10% soprattutto nelle periferie esterne o prossime al GRA a est, e anche nell’hinterland i laureati non superano mai il 25%.

Anche a Milano le differenze tra centro e periferia sono nette, poiché i laureati a Pagano e Magenta-San Vittore (entrambi 51,2%) sono sette volte quelli di Quarto Oggiaro (7,6%). La quota di residenti laureati supera il 42% in tutto il centro all’interno della cerchia dei Bastioni e nei quartieri limitrofi, mentre è inferiore al 12% in numerose periferie in tutti i quadranti. Nell’hinterland i valori sono più bassi, come nel caso romano, poiché – con una sola eccezione – i laureati non superano mai il 27%.

A Napoli le differenze sono ancora più marcate rispetto a Roma e Milano, in quanto i laureati a Posillipo, Chiaia e Vomero (circa 40%, dato comunque inferiore rispetto ai valori massimi delle altre due città) sono nove volte quelli di Scampia, San Giovanni a Teduccio e Miano (4,5%). Anche nell’hinterland i laureati sono pochi, al massimo il 15-17% della popolazione residente – è il caso di Nola e di alcuni comuni a est e nella penisola Sorrentina – una quota comunque inferiore a quella rilevata nelle città metropolitane di Roma e Milano. In un grande numero di comuni del napoletano – tra cui, considerando solo quelli più popolosi, molti a nord (il più popoloso è Afragola) e a sud-est – la quota di laureati è inferiore al 7%.

 

Figura 2 – Quota di popolazione laureata

Per quanto riguarda il tasso di occupazione rispetto alla popolazione con più di 15 anni (figura 3), a Roma supera il 55% solo nei nuovi insediamenti periferici con coppie giovani a sud-ovest (tra cui Malafede e Vallerano Castel di Leva) e ad est (tra cui Ponte di Nona e Casal Monastero), mentre è di poco superiore al 40% nei quartieri popolari della periferia storica a nord (Tufello) ed est (Torrespaccata, Casilino, Don Bosco, Gordiani), oltre che a Ostia Nord sul litorale. Nell’hinterland il tasso di occupazione risulta più basso: è intorno al 50-52% solo in alcuni comuni a nord nella valle del Tevere e a Monterotondo, e a sud-est (soprattutto Pomezia), oltre che a Fiumicino sul litorale, mentre è di poco superiore al 40% (guardando solo ai comuni più popolosi) nel litorale sud (Nettuno e Anzio) e a sud-est nei Castelli Romani.

A Milano il tasso di occupazione è mediamente più alto che a Roma, poiché, a parte tre nuclei poco popolosi, è compreso tra il 55 e il 60% nel centro storico e in vari quartieri limitrofi al centro stesso o più periferici a nord ed est. Il tasso rimane comunque inferiore al 45% in alcune periferie in tutti i quadranti (tra cui Gallaratese, Quarto Oggiaro e Niguarda Cà Granda). Anche nell’hinterland sono numerosi i comuni di media grandezza il cui tasso di occupazione è compreso tra il 55 e il 60%, quindi al di sopra dei valori romani, mentre è inferiore al 50% in tutta la popolosa cintura nord tra Milano e Monza (in particolare Sesto San Giovanni, Cinisello Balsamo e Cologno Monzese).

A Napoli i tassi di occupazione sono più bassi di quelli dell’area romana e le differenze tra quartieri molto più marcate, con il tasso di occupazione del 43% a Posillipo che è il doppio rispetto al bassissimo 22% di Scampia. Il tasso raggiunge valori intorno al 40-43%, tipici delle zone popolari di Roma, solo nei quartieri occidentali del ceto medio-alto (Posillipo, San Giuseppe, Chiaia, Vomero e Arenella), ed è inferiore al 30% nelle popolose periferie nord (tra cui Scampia e Secondigliano), est (in particolare Ponticelli e Barra) e ovest (Soccavo), oltre a Mercato e Pendino in centro. Anche nell’hinterland il tasso di occupazione supera il 40% esclusivamente nelle isole e nella penisola Sorrentina.

 Figura 3 – Tassi di occupazione

In conclusione, dal nostro lavoro emergono evidenti forme di esclusione sociale e di polarizzazione tra le periferie scarsamente dotate di opportunità e i quartieri centrali e benestanti, in una sorta di crescita a due velocità. Questo fenomeno è più evidente a Napoli e Roma, ma è presente anche a Milano, capitale dell’opulento Nord. Le città metropolitane escono dalla crisi più profonda che il nostro Paese abbia mai conosciuto con una classe di esclusi presenti peraltro non solo nelle periferie e nelle classi sociali meno abbienti, ma anche in quella che era un tempo la classe media. Le parti deboli della società non sono riuscite a cogliere i benefici apportati dalla crescita del settore terziario avanzato che si è verificata nell’ultimo decennio, sia pure con intensità diversa, a Milano, Napoli e Roma. Insufficiente attenzione è stata data alle aree periferiche, la povertà non è stata ridotta, e ampie fasce di popolazione soffrono l’esclusione sociale, essendo anche fisicamente lontane dalle zone più dinamiche delle città, dove sono maggiormente frequenti le interrelazioni sociali e l’offerta culturale. I ceti medi subiscono l’aumento del costo della vita e dei prezzi degli immobili che, nonostante il calo degli ultimi anni, rimangono spesso proibitivi.

Queste evidenze, emerse anche nella Relazione finale della Commissione parlamentare sulle periferie, suggeriscono la necessità di politiche specifiche non solo per le diverse aree metropolitane, ma anche internamente ad esse. Per combattere le disuguaglianze nelle realtà metropolitane è importante mettere al centro delle politiche gli individui, ossia ripartire innanzitutto dai loro bisogni. Per poter fare questo nella maniera più efficace, per non cadere nella trappola dei luoghi comuni, è indispensabile una migliore conoscenza del territorio nelle sue varie sfaccettature. Solo così può migliorare la capacità delle amministrazioni di elaborare politiche in grado di contrastare le diverse e nuove forme di marginalità ed esclusione sociale.

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