Disuguaglianze crescenti e persistenti: la dinamica dei redditi in Italia nel lungo periodo

Michele Raitano e Francesca Subioli leggono l’evoluzione della disuguaglianza dei redditi da lavoro degli ultimi 40 anni in Italia alla luce della sottostante dinamica dei redditi dei vari individui nel corso del tempo. Applicando una metodologia che attribuisce la disuguaglianza dei redditi annui a differenze permanenti, a mobilità “buona” o a mera volatilità, Raitano e Subioli mostrano che la disuguaglianza è largamente dovuta a differenze permanenti fra individui, peraltro acuitesi nel corso del tempo.

La ricerca accademica e il dibattito di politica economica si occupano ormai da anni dell’aumento della disuguaglianza dei salari e dei redditi, registrato a partire dagli ultimi decenni del XX secolo nella maggior parte dei paesi avanzati. Come documentato da una ormai vasta letteratura, tale aumento risulta per la maggior parte legato a quanto avviene sul mercato del lavoro, caratterizzato, in Italia e non solo, da una crescente dispersione delle opportunità lavorative, delle ore lavorate nell’anno e dei salari.

La Figura 1, tratta dal XVIII Rapporto Annuale INPS e riferita all’universo dei lavoratori dipendenti del settore privato, mostra, ad esempio, come in Italia dai primi anni ’90 dello scorso secolo in poi si sia registrata una dinamica stagnate dei redditi medi (a prezzi costanti) associata, però, a un’intensa crescita della disuguaglianza delle retribuzioni lorde annue.

Figura 1: Reddito medio e indice di disuguaglianza di Gini per l’Italia.

Tuttavia, nella letteratura internazionale, a causa della scarsa disponibilità di microdati longitudinali che consentano di seguire un campione rappresentativo di lavoratori per molti anni, la maggior parte delle analisi sulle tendenze della disuguaglianza dei redditi fornisce, così come fatto nella Figura 1, fotografie di ciò che è accaduto in vari punti nel tempo (tipicamente anni), trascurando come evolvono le disuguaglianze fra gli stessi individui osservati in punti diversi del tempo.

Indipendentemente dall’entità della disuguaglianza trasversale (espressa, ad esempio, dal valore dell’indice di Gini in un anno), osservare la dinamica dei redditi individuali è fondamentale per valutare le caratteristiche del processo che dà forma alla disuguaglianza e le sue conseguenze sul benessere individuale e sociale.

Come sottolineato da Jenkins (Changing Fortunes: Income Mobility and Poverty Dynamics in Britain, Oxford University Press, 2011) e dall’OCSE (A Broken Social Elevator? How to Promote Social Mobility, 2018), a parità di disuguaglianza trasversale, una società in cui gli individui ‘si scambiano’ le posizioni col passare del tempo e percepiscono redditi crescenti affronta sfide diverse rispetto a una in cui per tutta la vita ognuno mantiene la stessa posizione e il reddito complessivo ristagna. Questo tipo di considerazioni trova spazio nella letteratura sulla cosiddetta “disuguaglianza intragenerazionale” – che studia le differenze tra individui della stessa generazione in vari momenti della loro vita – e sulla “mobilità intragenerazionale” – che guarda alla mobilità rispetto al proprio punto di partenza e a quelli degli altri membri della stessa generazione.

Se, da un lato, la mobilità reddituale è parzialmente in grado di compensare la disuguaglianza trasversale rendendola transitoria, è anche vero che dal punto di vista del benessere individuale essa può non essere sempre desiderabile: se mobilità vuol dire frequenti movimenti reddituali, positivi e negativi, essa può essere motivo di insicurezza e precarietà per gli individui e le famiglie che non hanno la possibilità o le competenze per ‘pareggiare’ gli shock tramite il mercato del credito e il risparmio. A questo proposito, l’OCSE nel rapporto prima richiamato parla di “mobilità disuguale”, ovvero una situazione di movimenti reddituali frequenti e non previsti combinati con bassa crescita e concentrati nei gruppi più vulnerabili della società.

In questa nota (basata sui  risultati preliminari di un nostro progetto di ricerca), sfruttando la ricchezza di un dataset longitudinale costruito incrociando le informazioni amministrative raccolte dall’INPS con quelle campionarie dell’indagine IT-SILC dell’ISTAT, ci concentriamo sull’Italia e misuriamo quanto della disuguaglianza trasversale deriva da differenze “permanenti” e quanta, invece, è attribuibile alla mobilità reddituale degli individui nel corso del tempo. Riguardo a quest’ultima componente, distinguiamo, inoltre, la mobilità ‘buona’ – positiva e regolare – da quella ‘cattiva’ – frequenti e irregolari fluttuazioni di reddito.

Lo scopo dell’analisi è valutare se e in che misura la mobilità ‘buona’ abbia compensato la crescente disuguaglianza trasversale già documentata in molti studi per il nostro paese. Per farlo adottiamo una metodologia sviluppata da Austin Nichols (cfr. Nichols A., Income inequality, volatility, and mobility risk in China and the US, China Economic Review, 2010 e Nichols A. e Rehm P., Income Risk in 30 Countries, Review of Income and Wealth, 2014) che consente di scomporre la disuguaglianza trasversale in tre componenti: disuguaglianza permanente – differenze tra i redditi medi delle persone in una certa finestra temporale –, mobilità – intensità della crescita reddituale con andamento lineare – e volatilità – intensità delle fluttuazioni del reddito annuale rispetto al trend lineare. La cornice metodologica di questa scomposizione si chiama Income trend framework, e descrive il reddito individuale nell’anno come somma di una componente permanente (o di lungo termine), che è il reddito medio della finestra temporale considerata, di una componente direzionale, che può essere crescente o decrescente, e di una componente transitoria che è la deviazione dalla componente direzionale.

Un esempio del significato di tale metodologia è mostrato nella Figura 2, dove si immagina una finestra temporale di 5 anni, in cui i pallini neri indicano il reddito annuo, la linea tratteggiata rappresenta il reddito medio nel periodo, e la linea blu il trend lineare dei redditi nel periodo. I segmenti viola sintetizzano quindi lo scostamento dalla media attribuibile alla mobilità dei redditi, mentre quelli azzurri rappresentano la componente legata alla volatilità.

Figura 2: Esempio di scomposizione del reddito personale seguendo l’’Income Trend Framework’ in una finestra di cinque anni.

In questo lavoro scegliamo come finestra di osservazione degli individui gli undici anni della fase centrale della carriera (quando hanno età 35-45 anni), una fase in cui assumiamo che la maggior parte di essi abbia finito di studiare e sia stabilmente entrata nel mercato del lavoro. Si tratta di una finestra adatta ad approssimare il benessere complessivo lungo tutta la carriera, e sufficientemente lunga da consentire una stima accurata della componente direzionale e delle singole deviazioni da essa.

L’analisi è condotta su un campione di circa 20.000 lavoratori, uomini e donne – analizzati separatamente – suddivisi in sette coorti di nascita quinquennali: si parte dai nati tra il 1940 e il 1944 per arrivare ai nati tra il 1970 e il 1974. La scomposizione è operata all’interno di ogni coorte in modo da fornire un andamento temporale delle diverse componenti, e la dimensione di benessere utilizzata è il reddito da lavoro annuo reale, al lordo di imposte e contributi a carico del lavoratore e inclusivo della quota di retribuzione legata a indennità di malattia, maternità e CIG.

La Figura 3 riporta i risultati per il campione di uomini: per quanto riguarda la composizione della disuguaglianza complessiva, più dell’80% deriva da disuguaglianza permanente, ovvero dalle differenze di reddito medio tra i 35 e i 45 anni tra i lavoratori. Mobilità e volatilità si dividono il restante 20%, ma la percentuale si è largamente e progressivamente ridotta lungo le coorti. Per l’ultima coorte, infatti, la disuguaglianza permanente raggiunge il 90% (89% per le donne) del totale. Guardando all’evoluzione temporale delle tre componenti, notiamo che, al di là della seconda coorte che ha beneficiato di un notevole incremento di mobilità (non rilevato però per le donne), l’aumento della disuguaglianza permanente non è stato compensato da un corrispondente aumento della mobilità direzionale. La volatilità, invece, presenta un andamento lievemente decrescente pur con delle ciclicità.

Figura 3: Contributo alla disuguaglianza trasversale delle tre componenti ed evoluzione temporale.

Particolarmente rilevante per le sue conseguenze sul benessere è il risultato che riguarda la probabilità di sperimentare un andamento di reddito crescente e regolare – ovvero di avere un trend lineare con pendenza positiva. La Figura 4, infatti, ci mostra che di coorte in coorte tale probabilità è passata da circa l’85% dei casi a meno del 70% (65% per le donne), evidenziando una preoccupante situazione di aumento di diffusione di carriere insicure e discontinue, tali da non garantire una progressione continua verso l’alto, ma addirittura una complessiva perdita reddituale tra i 35 e i 45 anni.

Figura 4: Probabilità di avere un andamento lineare crescente tra i 35 e i 45 anni.

Queste dinamiche complessive nascondono al loro interno importanti eterogeneità: per le donne si registra un livello maggiore di volatilità, soprattutto quando nell’analisi si tiene conto dei periodi di non occupazione cui si attribuisce reddito pari a zero (pur non essendo in grado dai nostri dati di risalire al motivo della non occupazione). Come atteso, i più istruiti hanno maggiore probabilità di sperimentare andamenti crescenti, con progressione più rapida e più volatile degli altri. Tuttavia, nel passaggio alle coorti più recenti, il vantaggio dell’istruzione in termini di maggiore mobilità sembra essere scomparso quasi del tutto, mentre è aumentato il livello di volatilità dei redditi dei lavoratori a bassa istruzione anche a causa dei frequenti periodi passati fuori dal mercato del lavoro. Infine, differenze fra le macro-aree geografiche nelle dinamiche osservate emergono solo quando nell’analisi si includono anche eventuali anni trascorsi con redditi da lavoro pari a zero: i buchi lavorativi di almeno 12 mesi, infatti, innalzano il livello di disuguaglianza permanente dei lavoratori del Sud rispetto a quelli del Centro-Nord, e danno alla volatilità dei redditi del Sud un andamento crescente lungo le coorti.

Da questa analisi emerge, quindi, una società sempre più rigida, le cui disuguaglianze nel mercato del lavoro, almeno nella fase centrale delle carriere individuali, sono legate prevalentemente a differenze persistenti tra le persone. Nel complesso si è verificato un deterioramento della possibilità per gli individui di sperimentare mobilità ‘buona’, ma solo alcuni gruppi sociali hanno visto anche aumentare il proprio livello di insicurezza inteso come volatilità reddituale: si tratta di gruppi – donne, lavoratori meno istruiti, lavoratori del Sud – già vulnerabili in termini di basso reddito e scarso attaccamento al mercato del lavoro, ed è proprio quest’ultimo a trainare l’instabilità dei loro redditi.

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