Disuguaglianza e andamento del voto nelle regioni italiane: un’ondata populista?

Daniela Chironi basandosi sui risultati di un recente lavoro sulle determinanti economiche del voto nelle regioni italiane dal 1994 al 2018 sostiene che l’astensione dipende dalla disuguaglianza e dalla polarizzazione dei redditi, dalla precarietà e dalla disoccupazione. Il sostegno ai partiti di governo è, invece, sensibile alla crescita della ricchezza netta media; quello alla Lega all’impoverimento delle classi medie e quello ai Cinque Stelle all’aumento di povertà e precarietà. Queste ultime differenze rendono difficile parlare di ‘ondata populista’.

Gli studi sul comportamento di voto in Italia hanno evidenziato l’importanza del territorio come variabile esplicativa. Le aree geopolitiche sono state tradizionalmente quattro (il Nord-Ovest, il Nord-Est, il Centro e il Sud), caratterizzate da stabilità e alta prevedibilità della scelta di voto. La variabilità territoriale del voto è aumentata costantemente durante la Seconda Repubblica, ma il quadro è mutato in maniera radicale nel 2013 e nel 2018.

Le elezioni politiche del 4 marzo 2018 hanno restituito l’immagine di un paese fortemente diviso fra Nord e Sud. Il Movimento 5 Stelle (32,7%) si è affermato come primo partito nazionale, radicato soprattutto nelle regioni del Sud. La Lega (17,4%) è diventata il principale partito di destra, predominante nel Nord. Il Partito Democratico (18,8%) e Forza Italia (14%) hanno subito una pesante sconfitta, rimanendo forti esclusivamente nella cosiddetta Terza Italia e nelle regioni metropolitane. L’astensione ha superato il 27% ed è stata più alta al Sud e nelle regioni metropolitane.

In questo articolo non terrò conto degli ulteriori cambiamenti avvenuti a seguito delle elezioni europee del 26 maggio 2019, perché mi riferirò esclusivamente alle sette elezioni politiche tenutesi dal 1994 al 2018. Presento infatti i risultati emersi da uno studio condotto con Francesco Bloise e Mario Pianta (Inequality and elections in Italian regions) che indaga come è cambiato il voto nelle regioni italiane dal 1994 al 2018 alla luce di alcune variabili economiche: disuguaglianza, variazioni nei redditi, patrimonio netto, precarizzazione del lavoro e disoccupazione. Nella ricerca ci siamo concentrati su quattro variabili dipendenti: la quota di elettori che ha votato per l’insieme dei partiti mainstream, che comprende Forza Italia, Partito Democratico e i loro partner di centro, ossia le forze politiche che hanno avuto responsabilità di governo dal 1994 al 2018; la quota di elettori che si è astenuta; la quota di elettori che ha votato per la Lega; la quota di elettori che ha votato per il M5S. Riferendoci alla quota di elettori, anziché a quella dei votanti, abbiamo potuto tenere conto degli effetti dell’aumento dell’astensione su ogni variabile dipendente della nostra analisi.

L’analisi è basata su un nuovo dataset regionale, creato integrando i risultati elettorali delle elezioni politiche per la Camera dei Deputati con i dati amministrativi sui redditi dei lavoratori dipendenti forniti dall’INPS (LoSai database) e con l’indagine della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane (Survey on Household Income and Wealth, SHIW).

Per semplificare la descrizione degli andamenti regionali, abbiamo effettuato una tripartizione fondata sulle similitudini della struttura economica e sulle dinamiche della disuguaglianza:

  • le regioni metropolitane (Piemonte, Lombardia, Liguria e Lazio), contraddistinte dalla presenza delle grandi metropoli produttive (Torino, Milano, Genova e Roma) e caratterizzate dai più alti livelli di reddito e alta disuguaglianza;
  • la Terza Italia (Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Marche), caratterizzata da livelli di reddito medi e disuguaglianza più bassa rispetto alle altre aree;
  • il Sud (Abruzzo-Molise, Campania, Puglia, Basilicata-Calabria, Sardegna e Sicilia), caratterizzato dai redditi più bassi e dalla maggior disuguaglianza.

La figura 1 mostra l’evoluzione dell’astensione e del voto per i partiti mainstream nelle tre aree. Nelle regioni metropolitane e nella Terza Italia, l’astensione era al 10% nel 1994. Da allora è cresciuta costantemente, soprattutto nelle regioni metropolitane dove nel 2018 ha raggiunto il 25%. Nel Sud, invece, l’astensione era alta già all’inizio del periodo e ha continuato ad aumentare fino all’attuale 32%.

Nelle regioni metropolitane e nella Terza Italia, il voto complessivo per i partiti mainstream si è mantenuto al di sopra del 50% fino al 2008; poi ha cominciato a calare, crollando al 25-30% nel 2018. Al Sud, il voto per i partiti mainstream è sempre stato al di sotto del 50% ed è ulteriormente calato dopo il 2008. Nel 2018 è sceso al di sotto del 25%.

La figura 2 presenta l’andamento del voto per la Lega e per il M5S. Il consenso per la Lega ha oscillato fra il 5 e il 15% nelle regioni metropolitane e fra il 5 e il 10% nella Terza Italia, mentre nel Sud ha raggiunto il 5% unicamente nel 2018. Il M5S ha raccolto il 20% dei voti nelle regioni metropolitane, come anche in quelle della Terza Italia, sia nel 2013, sia nel 2018, e ha raggiunto quasi il 30% al Sud.

 

Figura 1. Quota di elettori che si è astenuta e quota che ha votato per i partiti mainstream nelle tre macro-aree italiane (1994 al 2018)

Figura 2: Quota di elettori che ha votato per la Lega e per il Movimento 5 Stelle nelle tre macro-aree italiane (1994-2018)

A partire da questi dati descrittivi, abbiamo stimato un modello econometrico ad effetti fissi per analizzare l’associazione tra gli esiti elettorali nelle regioni italiane, la disuguaglianza e altri importanti fattori economici.

Dai risultati delle stime, emerge una relazione negativa fra il voto per i partiti mainstream e la disuguaglianza di reddito misurata dall’indice di Gini: un aumento della disuguaglianza di 10 punti percentuali è associato a una diminuzione di 6 punti percentuali del voto per i partiti mainstream. Il patrimonio netto medio delle famiglie è il fattore che più chiaramente orienta il voto per i partiti mainstream, i cui governi hanno in effetti favorito politiche di riduzione della tassazione sulla ricchezza (come la liberalizzazione degli investimenti finanziari, l’eliminazione della tassa sulla prima casa, ecc.).

La crescita dell’astensione si associa alla disuguaglianza di reddito, alla presenza di un’elevata quota di lavoratori dipendenti che si collocano nel 10% più ricco dei redditi nazionali e di un’elevata quota di lavoratori poveri (con redditi sotto il 60% della retribuzione mediana nazionale). L’astensione è associata anche alla compressione verso il basso dei redditi medi.

La precarizzazione del lavoro e la disoccupazione sono correlate sia all’aumento dell’astensione, sia alla diminuzione del voto per i partiti mainstream, confermandosi fattori che incidono sulla sfiducia nel sistema politico.

Il voto per la Lega aumenta nelle regioni in cui diminuisce la presenza di italiani ricchi e dove si assottiglia la distanza fra le classi ricche e le classi medie. La Lega cresce soprattutto dove è più marcato l’impoverimento delle classi medie, ossia dove i redditi mediani si avvicinano a quelli del 25% più povero della popolazione. Infine, la Lega raccoglie più ampi consensi fuori dalle aree metropolitane, nelle regioni in cui è minore la variazione del patrimonio netto medio delle famiglie.

L’aumento della quota di lavoratori dipendenti sotto il livello di povertà è associato a un aumento dei voti per il M5S, che infatti ottiene i maggiori consensi nelle regioni del Sud. Sembra dunque che gli elettori in condizioni economiche svantaggiate abbiano teso ad affidarsi al partito che ha proposto il reddito di cittadinanza. Anche la precarizzazione del lavoro è un fattore importante per spiegare il successo elettorale del M5S e in parte della Lega. La quota di lavori part-time è aumentata rapidamente nel periodo considerato e risulta positivamente associata alla scelta di voto per entrambi i partiti.

La nostra ricerca evidenzia che la disuguaglianza e le condizioni economiche sono importanti per comprendere l’evoluzione del comportamento di voto in Italia, con conseguenze anche sulla geografia del sostegno ai partiti.

La sfiducia nella rappresentanza che si riflette nel non-voto è guidata dalla disuguaglianza, dalla polarizzazione di redditi e da alti tassi di precarietà e disoccupazione.

All’opposto, l’appoggio ai partiti che hanno governato nel periodo dal 1994 al 2018 è consistente solo nelle regioni in cui cresce la ricchezza netta media, mentre la concentrazione di lavoratori poveri e la presenza di redditi medi più bassi, lavori part-time e maggiore disoccupazione sono fattori che allontanano gli elettori dai partiti mainstream.

Dinamiche economiche differenti sono alla base della scelta di voto per il M5S e per la Lega. La Lega ha infatti maggiori consensi dove i redditi delle classi medie vengono spinti verso il basso, mentre il sostegno per il M5S si associa soprattutto a povertà e precarietà. La considerazione finale è che la diversa composizione sociale dei due elettorati metta in dubbio la diffusa tesi secondo cui un’ondata populista spiegherebbe l’ascesa dei due partiti.

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