Distopie monetarie: se l’Italia esce dall’Euro

Paolo Paesani, riferendosi al recente volume di Sergio Rizzo “02.02.2020. La notte che uscimmo dall’euro”, sostiene che esso si colloca nel filone delle distopie monetarie, cioè di previsione di scenari futuri profondamente indesiderabili causati da eventi collegati alla moneta. Paesani fornisce altri esempi di distopie monetarie, ricorda che esse possono avere impreviste evoluzioni positive e presenta alcune sue riflessioni sul rischio di un futuro inquietante per il nostro paese in mancanza di profonde riforme delle istituzioni europee.

Il recente declassamento del debito italiano da parte di Moody’s, i dubbi sul quadro previsionale alla base della prossima legge di bilancio e la richiesta di una nuova manovra da parte della Commissione Europea, generano inquietudine e trepidazione. Molte famiglie s’interrogano su cosa fare dei propri risparmi. Acrimonia e confusione dominano il dibattito politico nel nostro paese e in Europa. Il rischio di un’uscita dell’Italia dall’euro, e le possibili conseguenze di un simile evento, sono oggetto di riflessioni allarmate, sui giornali e sugli altri mezzi di comunicazione, nonostante le smentite da parte del governo.

Al tema della possibile uscita dell’Italia dall’euro, Sergio Rizzo ha dedicato “02.02.2020. La notte che uscimmo dall’euro”, pubblicato di recente per i tipi della casa editrice Feltrinelli. Rizzo descrive un futuro prossimo, nel quale l’Italia, governata da un Partito sovranista, abbandona la moneta unica e l’Unione Europea, precipitando nel caos economico e monetario. Al di là dei riferimenti “liberamente ispirati ad accadimenti reali […] (al) solo scopo di conferire verosimiglianza all’espressione artistica e concretezza alla critica politica svolta dall’autore”, la storia di Rizzo si colloca in un filone che potremmo chiamare “distopia monetaria”, utopia negativa innescata da un evento di natura monetaria.

Secondo l’Oxford English Dictionary, il sostantivo “distopia” (definito come “un luogo immaginario o condizione in cui tutto è il peggio possibile”) appare per la prima volta a stampa nel 1952 e l’aggettivo distopico circa un decennio più tardi. In realtà, la prima citazione moderna dell’aggettivo distopico si trova in un discorso pronunciato il 12 Marzo del 1866 alla Camera dei Comuni inglese dal filosofo ed economista John Stuart Mill. Oggi, come allora, si rimanda alla distopia per prefigurare possibili ricadute negative di un azione intrapresa dal governo.  Nell’Italia immaginata da Rizzo, il deprezzamento della Nuova Lira apre la strada all’inflazione, al default, al fallimento del sistema bancario, al ritorno dell’IRI – ribattezzato Istituto per il Rinascimento Nazionale – per aiutare le molte aziende in difficoltà. Fuori dall’euro, l’Italia si trova ad affrontare le conseguenze l’ostilità degli ex-partner europei, nuove barriere commerciali e negoziati dall’esito incerto.  Tutti i personaggi che popolano il racconto di Rizzo recitano quello che ci si aspetta da loro, senza lasciare spazio ad alcuna sorpresa. Il leader del Partito sovranista, divenuto Presidente del consiglio, porta l’Italia fuori dall’euro nel giro di un fine settimana, forte del sostegno della Russia e dei paesi del gruppo di Visegrad. La Germania, messa di fronte al fatto compiuto, approfitta della situazione, rafforzando il suo controllo sulla Banca Centrale Europea e sulla altre istituzioni dell’Unione. Cade nel vuoto l’appello del Papa a evitare un futuro “argentino” all’Italia. L’Europa s’avvia verso la dissoluzione. Su questo sfondo si muovono i personaggi “minori”, lo speculatore italo-svizzero senza scrupoli, il politico corrotto, il vecchio banchiere esperto delle “cose del mondo”, la protagonista onesta e idealista, il magistrato e il colonnello dei carabinieri per bene.

Rizzo descrive una situazione che anche i sostenitori dell’uscita dall’euro dell’Italia, forse, sarebbero disposti a sottoscrivere, ferma restando la loro convinzione di riuscire a tenere sotto controllo la situazione, frenando l’inflazione e il deprezzamento della nuova valuta e ripristinando rapidamente condizioni di accessibilità ai mercati internazionali delle merci e dei capitali per l’Italia, magari con l’aiuto di potenze straniere diverse dai nostri alleati tradizionali degli ultimi settant’anni.

Il racconto di Rizzo richiama alla memoria un’altra distopia monetaria che immagina un futuro a tinte fosche per l’Italia e l’Europa. Nell’articolo, intitolato “I disgregati del 2003”, pubblicato sull’inserto della Repubblica “Affari e Finanza” il 18 settembre 1992, Marcello De Cecco immaginava un Occidente diviso in tre parti: un’Unione latina – che comprendeva l’Italia, la Francia e gli altri paesi dell’Europa mediterranea – un’Unione Mitteleuropea, dominata dalla Germania, e una Confederazione Anglo-Americana, qualcosa di simile al mondo immaginato da Orwell nel suo 1984, la più celebre distopia letteraria.

La situazione è vista con gli occhi di un professore universitario che racconta ai suoi studenti la fine del progetto di unificazione europea a seguito della bocciatura dei Trattato di Maastricht da parte degli elettori francesi. L’Italia è un paese impoverito in cui molta gente va a piedi e in bicicletta a causa del “razionamento della benzina, che ha portato i prezzi di mercato nero alle stelle”. Il professore narra la fine del Sistema Monetario Europeo, caduto sotto i colpi della speculazione innescata dalla difficoltà degli altri paesi europei di reggere gli effetti dell’aumento dei tassi tedeschi dopo l’unificazione. Con l’implosione dello SME finisce l’Europa e tornano il protezionismo, il razionamento, l’inflazione, la povertà.

Il racconto, si chiude con il professore che s’incammina mestamente verso casa, dopo essere stato minacciato da un funzionario ministeriale che, arrivato in aula per registrare la sua lezione, non gradisce che dalla cattedra di un’università di Stato si diffonda “una visione distorta e tendenziosa, che può solo corrompere le menti e gli animi dei giovani e istigarli all’eversione dei confronti del governo”.

L’eversione sta nel denunciare la scelta dell’Italia di imboccare la strada del protezionismo e dell’autarchia, tornando agli anni Trenta e a una situazione imputabile all’unilateralismo tedesco, anche quando questo vada a scapito dell’Europa e della Germania stessa. A dannare la Germania e l’Italia sono la miopia, l’egoismo nazionale, l’incapacità di vedersi parte di una stessa unità organica in cui – come avrebbe sostenuto Keynes sulla scorta del filosofo Moore – “il tutto non è uguale alla somma delle parti, piccoli cambiamenti producono grandi effetti e le ipotesi di uniformità e omogeneità non sono rispettate” (R. Marchionatti, Keynes, Editore Corriere della Sera 2014)

L’incapacità di riconoscere i vantaggi di fare il proprio interesse facendo l’interesse dell’altro e l’illusione di bastare a sé stessi portano ineluttabilmente verso il disastro. Per sfuggire al senso d’angoscia evocato dalle distopie monetarie, può servire un terzo racconto che dobbiamo a un giornalista, per tanti anni in forza allo stesso quotidiano su cui scrivono e hanno scritto Rizzo e De Cecco. Il giornalista, Carlo Clericetti, è l’autore di una breve fiction finanziaria, una distopia monetaria che si trasforma in utopia, dal titolo “I sette giorni che cambiarono la Finanza”.

Anche Clericetti, immagina un’Italia in preda al caos politico ed economico. Sotto i colpi dello spread e della sfiducia parlamentare, l’Italia si avvicina verso il baratro del default quando all’improvviso, una sorpresa ribalta la situazione, trasformando l’imminente disastro in un’occasione di riscatto per l’Italia, l’Europa e il mondo intero e ponendo un argine alla disuguaglianza e allo strapotere della finanza, manipolata dai grandi evasori e da tecnocrazie divenute insensibili di fronte alle richiesta di sicurezza sociale da parte dei cittadini. Senza guastare la sorpresa a nessuno, invitiamo a leggere con attenzione il racconto di Clericetti e a riflettere sul suo messaggio e sugli effetti benefici che possono derivare da una serio contrasto dei paradisi fiscali e dall’adozione di misure capaci di contenere lo shadow banking e l’uso improprio dei rating e dei derivati. Il potere della finanza, gli squilibri, le ingiustizie, la disuguaglianza che ciò ha comportato, rendono lo status quo insostenibile, nel nostro paese come nel resto del continente europeo.

Da questa situazione d’insostenibilità si può uscire in tre modi, tentando di preservare lo status quo, fino alla prossima crisi, rinchiudendosi in una rancorosa e conflittuale autarchia o immaginando soluzioni coraggiose e innovative, capaci di sorprendere e di spiazzare i nemici della società aperta, della democrazia, della libertà. Al momento, i primi due scenari sembrano i più probabili ma non possiamo non continuare a sperare nel terzo.

A questo servono le distopie monetarie. A ricordarci che il mondo come lo abbiamo conosciuto può finire all’improvviso, lasciando il posto a un futuro più povero, ancora più diseguale, pieno di rancore, di ostilità, di paura. Può davvero accadere? Sì, può accadere. Senza arrivare all’estremo d’immaginare scenari di guerra, la recente esperienza della Grecia e di altri paesi europei è un esempio di come l’aggiustamento fiscale e finanziario possa essere realizzato senza tener conto dell’impatto sul benessere dei cittadini e sulla tenuta degli equilibri sociali.

E’ inevitabile che ciò accada? No, non è inevitabile. La resipiscenza tardiva di fronte agli errori commessi nel “salvataggio” della Grecia da parte del Fondo Monetario Internazionale e delle Istituzioni europee fa sperare che quegli errori non si ripetano più.

Ma perché lo scenario distopico non si verifichi, serve molto di più che un mea culpa sugli errori passati. Serve che l’Italia receda dallo scontro frontale, accettando una soluzione di compromesso. Serve che i paesi del gruppo di Visegrad si ricordino cosa ha significato per loro l’Europa e cosa l’ha preceduta. Serve che la Germania e la Francia riflettano su sé stesse e sul legame tra il loro proprio benessere e quello dei paesi con cui condividono passato, presente e futuro. E serve che l’Europa tutta, cominci seriamente a riflettere su una riforma profonda delle sue istituzioni, basata sul riconoscimento che il modo migliore di fare il proprio interesse è promuovere (anche) l’interesse di chi sta accanto, in un’ottica di cooperazione aperta e leale invece che di concorrenza, sfiducia e rancore.

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