Diseguaglianze spaziali e salute mentale, l’effetto moltiplicatore della pandemia

Franco Bonomi Bezzo e Laura Silva esaminano il ruolo che il quartiere di residenza ha avuto nel determinare gli effetti della pandemia sul benessere soggettivo. Basandosi sui risultati di un’indagine svolta in Inghilterra, e distinguendo tra salute mentale e soddisfazione per la vita, gli autori mostrano come le misure di confinamento siano state sofferte maggiormente da coloro che abitano in quartieri più deprivati e come ciò abbia ulteriormente ampliato le diseguaglianze spaziali già esistenti.

Nell’ultimo anno, a seguito dello scoppio della pandemia da Covid-19, si è parlato molto di salute fisica, di mortalità e di difficoltà socioeconomiche. Tuttavia, l’emergenza sanitaria ha conseguenze devastanti anche su vari aspetti di salute mentale. In un lavoro recente con Maarten Van Ham analizziamo in che modo le caratteristiche del quartiere di residenza hanno influenzato gli effetti che la pandemia ha avuto su due misure di benessere soggettivo.

La dimensione dell’area di residenza risulta particolarmente importante dato che, in risposta alla diffusione del virus, sono state adottate misure di contenimento che hanno ridotto gli spostamenti degli individui, limitandoli, appunto, alla prossimità dell’abitazione. Di conseguenza, le misure di confinamento durante la pandemia hanno anche probabilmente portato gli individui a sperimentare più profondamente le caratteristiche dei propri quartieri di residenza. Vi sono prove crescenti che il Covid-19 abbia esacerbato le disuguaglianze spaziali già prima esistenti. Nell’aprile 2020, poche settimane dopo il primo dilagare del virus, un articolo su The Guardian osservava come il Covid-19 avesse notevolmente peggiorato la situazione di coloro che vivevano nelle aree urbane più povere di Parigi come Seine-Saint-Denis.

Nel nostro lavoro consideriamo due diverse dimensioni del benessere, salute mentale e soddisfazione riguardo la propria vita. La salute mentale è il risultato di sentimenti positivi e negativi, che possono essere derivati ​​da condizioni ed esperienze quotidiane come il proprio stato di salute immediato. La soddisfazione riguardo la propria vita, invece, è il risultato della valutazione della propria vita complessiva e tendenzialmente include un elemento di confronto tra la propria condizione e quella di un gruppo di riferimento. Mentre la prima tende a concentrarsi maggiormente sul breve termine, la seconda è solitamente correlata a obiettivi e opportunità a lungo termine.

Abbiamo provato a capire quale sia stato l’effetto di vivere in un quartiere più o meno deprivato durante i mesi di confinamento. La nostra ipotesi di partenza è che gli individui che vivono in quartieri più svantaggiati, che tendono ad essere più densamente popolati, con case più piccole e condizioni di vita, complessivamente, meno desiderabili, abbiano sperimentato l’effetto della pandemia in maniera più severa rispetto a coloro che vivono in aree meno svantaggiate. Durante il confinamento, le persone non hanno avuto, infatti, le stesse opportunità di “fuggire” dal quartiere come in “tempi normali”. Al contrario, essi, sono stati costretti a trascorrere più tempo nella loro residenza, potendo solo spostarsi all’esterno nelle immediate vicinanze della loro abitazione ed avendo tendenzialmente interazioni “dal vivo” solo con i propri vicini. Pertanto, ci aspettiamo che vivere in un quartiere più svantaggiato abbia avuto un effetto di aggravamento delle ineguaglianze preesistenti. Inoltre, ci aspettiamo anche che il calo maggiore del benessere si sia verificato durante i mesi del confinamento totale (in Inghilterra, i mesi di aprile e maggio, coperti dall’indagine), e che con il passare del tempo questo effetto sia tornato alla normalità (giugno e luglio nel nostro caso).

Già prima dello scoppio della pandemia, le due misure di benessere che ci interessano erano negativamente correlate con la deprivazione del quartiere. Le restrizioni imposte durante il confinamento sembrano, però, aver avuto un effetto diverso sulle due correlazioni. Mentre l’effetto negativo di vivere in un quartiere più svantaggiato sulla salute mentale di breve termine si è ulteriormente rafforzato, per quanto riguarda la soddisfazione sulla propria vita l’effetto negativo preesistente sembra non cambiare.

A prima vista, questi risultati sembrano sorprendenti e contro-intuitivi. Tuttavia, guardando più in dettaglio, si può vedere che, mentre per quanto riguarda la salute mentale gli individui tendono a concentrarsi principalmente su se stessi e sulla segnalazione dello stato di salute quotidiano, le considerazioni sulla soddisfazione di vita spesso portano gli individui a confrontare se stessi e la loro situazione con quella degli altri. Pertanto, nel caso di un evento inaspettato e tragico come l’attuale crisi del Covid-19, gli individui possono provare un livello maggiore di sentimenti intensi e di angoscia nell’approccio alla vita quotidiana, mentre la crisi potrebbe essere meno rilevante nelle valutazioni di lungo periodo e nella comparazione con le persone vicine.

Ci sono varie caratteristiche sociali e ambientali dei quartieri socioeconomici svantaggiati che possono essere responsabili della diminuzione della salute mentale degli individui a seguito dello scoppio della pandemia. La mancanza di spazi verdi, ad esempio, contribuisce in modo rilevante al deterioramento della salute mentale. Nel campione che utilizziamo il numero di individui che menziona di godere di un giardino o simile spazio esterno a casa è di circa il 20% più alto per coloro che vivono nel 20% più agiato dei quartieri rispetto a quelli nel 20% più svantaggiato. Inoltre, è probabile che anche le condizioni abitative siano importanti. Poco prima dello scoppio della crisi, le case di coloro che abitavano nel 20% più agiato dei quartieri hanno in media due stanze in più rispetto a quelle del 20% più svantaggiato. Tuttavia, nelle zone più svantaggiate la dimensione media del nucleo familiare è 3,05 contro 2,76 nelle zone meno svantaggiate. Pertanto, condizioni di sovraffollamento relativo, in cui vi è un numero maggiore di persone in una casa più piccola, possono diventare significativamente più difficili da sopportare nei periodi di confinamento rispetto ai tempi normali. In aggiunta a ciò, visto che, specialmente nel Regno Unito e specialmente nei quartieri piu svantaggiati, la pandemia Covid-19 è stata associata a una minore coesione sociale, i dati ci confermano che proprio gli individui che abitano nelle aree caratterizzate da maggiore deprivazione socio-economica, insieme alle minoranze etniche e alle persone di età inferiore ai 35 anni, sono quelli che hanno sofferto maggiormente del declino delle relazioni di vicinato.

È anche interessante esplorare ulteriormente la ragione dietro l’effetto nullo delle condizioni più sfavorevoli del quartiere residenziale sulla soddisfazione di vita di lungo periodo durante la pandemia. In tempi di crisi, gli individui possono essere più inclini a vedere la loro situazione di vita complessiva in una luce più positiva, a seconda del tipo di giudizio che hanno espresso e della misura su cui basano il confronto sociale con gli altri. Eventi imprevisti come quello in corso potrebbero spingere le persone, soprattutto quelle che hanno già meno degli altri, a guardarsi intorno e pensare più spesso “nel complesso, potrei stare peggio” e questo potrebbe riflettersi nella loro percezione della soddisfazione complessiva per la vita. In secondo luogo, è probabile che le persone che risiedono in aree meno svantaggiate dispongano di più risorse, sia finanziarie che interpersonali e quindi abbiano “più da perdere” nel corso di una crisi. Nella nostra analisi, circa il 50% delle persone che abitavano nel 40% dei quartieri più benestanti hanno sempre lavorato da casa durante il confinamento, mentre oltre il 60% di coloro che abitano nel 40% dei quartieri più svantaggiati non ha mai lavorato da casa nello stesso periodo. Potrebbe essere, quindi, che le persone che hanno lavorato sempre da casa siano anche quelle che hanno avvertito la perdita maggiore in termini di risorse interpersonali, una perdita potenzialmente duratura se pensiamo in termini di networking e future opportunità lavorative.

Infine, un elemento significativo di percezione della malattia è l’esposizione alle notizie e alla conoscenza del Covid-19. Nel nostro campione, possiamo vedere che più del 31% degli individui con un basso livello di istruzione vive nel 20% più svantaggiato dei quartieri, mentre circa il 50% degli individui con un alto livello di istruzione vive nel 40% più agiato dei quartieri. Potremmo quindi presumere che gli individui in quartieri più svantaggiati tendano ad avere meno esposizione alle notizie e alla conoscenza del Covid-19. Poiché sono meno informati, tali individui potrebbero essere meno preoccupati per le conseguenze a lungo termine della crisi e quindi non soffrire alcun cambiamento significativo nel loro punteggio di soddisfazione di vita.

Per riassumere, i nostri risultati evidenziano, da un lato, che il benessere soggettivo a lungo termine potrebbe non essere influenzato negativamente dalle sfavorevoli condizioni socio-economiche dei quartieri dove si abitava durante la pandemia ma, dall’altro, chi vive nelle aree più svantaggiate di Inghilterra ha visto la propria salute mentale di breve termine peggiorare significativamente durante la crisi. Considerato che anche nel mondo pre-Covid-19 vivere in aree più svantaggiate era negativamente correlato con il benessere soggettivo individuale, i nostri risultati sollecitano i responsabili politici ad agire rapidamente per ridurre il ruolo dei quartieri come causa di disuguaglianza e, più in generale, per evitare che le già gravi disuguaglianze spaziali si aggravino ulteriormente a causa della pandemia.

Schede e storico autori