Disabilità e condizioni economiche di individui e famiglie: tra svantaggi molteplici e politiche insufficienti

Giuliana Parodi e Dario Sciulli illustrano lo svantaggio economico con cui si confrontano gli individui con disabilità e le loro famiglie, nella convinzione che una corretta identificazione dei meccanismi attraverso cui la disabilità determina la condizione di svantaggio sia indispensabile per disegnare e realizzare politiche di sostegno efficaci. Parodi e Sciulli ritengono particolarmente importante tener conto degli effetti che la disabilità ha sull’offerta di lavoro degli altri membri della famiglia e dei costi addizionali che essa pone a carico di questi ultimi.

Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità il 15% della popolazione mondiale vive una qualche forma di disabilità e il 4% incontra forti limitazioni nello svolgimento delle attività quotidiane. Il numero di persone con disabilità è peraltro in crescita anche in ragione dell’invecchiamento della popolazione, della maggior diffusione di malattie croniche e dei migliori strumenti di diagnosi. L’Italia non si discosta molto da questo quadro evolutivo; ad esempio, secondo i dati ISTAT, nel 2013, le persone con limitazioni funzionali gravi erano circa 3 milioni, di cui quasi 600mila di età compresa tra i 15 e 64 anni.

Partendo da queste premesse, non sorprende che l’ultimo decennio abbia visto crescere l’interesse legislativo e accademico verso il tema della disabilità e degli effetti che essa determina sulla vita degli individui, delle famiglie e della collettività.

A livello di individuo, la letteratura ha messo in luce l’importanza dell’accesso all’istruzione e, soprattutto, al lavoro, sia come strumenti utili a promuovere condizioni economiche soddisfacenti, sia come elementi di integrazione dell’individuo nella società, sia, infine, per gli effetti allocativi dell’offerta di lavoro. La condizione delle persone con disabilità, tuttavia, è spesso lontana dal raggiungere gli obiettivi desiderabili, anche alla luce di una debolezza delle politiche di supporto, non tanto per l’erraticità delle misure quanto per la scarsità degli investimenti finanziari ad esse dedicate. La realizzazione solo parziale di questo processo di inclusione determina spesso una condizione di svantaggio economico oltre che sociale.

In aggiunta agli aspetti di carattere individuale, è possibile identificare almeno altri due canali che contribuiscono allo svantaggio economico delle persone con disabilità: l’interrelazione della condizione di disabilità con la famiglia (costi indiretti) e l’esistenza di costi addizionali (costi diretti).

In primo luogo, va sottolineato come la comprensione dei meccanismi che influiscono sulle condizioni economiche delle persone con disabilità sia strettamente connessa al ruolo della famiglia. Da un lato perché l’unità di analisi primaria delle condizioni di reddito è proprio la famiglia, dall’altro perché la condizione di disabilità si lega a doppio filo con le attività del nucleo familiare, soprattutto nei casi in cui essa si manifesti con gravi limitazioni nello svolgimento delle attività quotidiane. In assenza di sostegni adeguati, di fatto, i compiti di cura delle persone con disabilità ricadono sui membri del nucleo familiare, spesso le donne, riducendone l’offerta di lavoro. Questo aspetto individua un secondo canale di svantaggio per le persone con disabilità e le rispettive famiglie. Un report dell’ISTAT (2018) sulla conciliazione vita lavoro, indica che quasi 3 milioni di persone di età compresa tra i 18 e i 64 anni si occupano di familiari disabili, anziani e malati e che il ruolo di cura è a carico principalmente delle donne.

Alla luce di queste riflessioni, non sorprende che l’analisi empirica mostri come, in Italia, la presenza di un membro con disabilità nel nucleo familiare si associ ad un divario in termini di partecipazione femminile al mercato del lavoro di quasi 20 punti percentuali (G. Parodi e D. Sciulli, in Applied Economics, 2008). Al netto dei possibili effetti di composizione, C. Mussida e D. Sciulli (in Journal of Family and Economic Issues, 2019), stimano che la presenza di un membro disabile con forti limitazioni riduca del 4% la partecipazione al mercato del lavoro delle donne conviventi nel medesimo nucleo familiare.

I meccanismi evidenziati, sia a livello individuale che familiare, contribuiscono quindi a determinare condizioni di svantaggio economico rilevanti. In un libro di recente pubblicazione (Aspetti socioeconomici della disabilità: lavoro, reddito e politiche, Giappichelli 2020), M. Agovino, G. Parodi e D. Sciulli utilizzando metodologie standard e dati EU-SILC, suggeriscono che il rapporto tra il reddito equivalente degli individui che vivevano in famiglie senza membri con disabilità e coloro che vivevano in famiglie con membri con disabilità grave in Italia nel 2015 era pari a 1.16. Questa misura, tuttavia, rischia di sottostimare l’entità del problema poiché non tiene conto dei costi addizionali legati alla condizione di disabilità.

La quantificazione di tali costi non è semplice e le stime non sono univoche. A. Solipaca e altri autori (Rapporto Osservasalute, 2010) suggerirono la necessità di introdurre un assegno integrativo, aggiuntivo rispetto agli attuali trasferimenti, di 3200 euro annui a decrescere in ragione del reddito familiare, per far fronte ai costi addizionali della disabilità in Italia. Una review di S. Mitra e altri autori (in Disability and Health Journal, 2017) raccoglie i risultati relativi ad altri paesi europei (Spagna, Irlanda e Regno Unito). Le stime indicano importi maggiori rispetto al caso italiano, oscillanti tra il 30% e il 40% del reddito medio in presenza di disabilità moderata e tra il 30% e il 70% nei casi di disabilità grave.

Al di là delle differenze nelle stime, emergono alcune regolarità che suggeriscono come i costi addizionali varino secondo la gravità della disabilità, la fase del ciclo vitale e la composizione familiare. Al fine di tener conto dell’esistenza dei costi addizionali della disabilità, è stato suggerito l’impiego di scale di equivalenza ad-hoc per le famiglie in cui siano presenti membri con disabilità. Applicata tale metodologia, Agovino, Parodi e Sciulli (2020) trovano che il rapporto tra il reddito equivalente degli individui che vivono in famiglie senza membri con disabilità e coloro che vivono in famiglie con membri con disabilità grave in Italia aumenta fino a 1.6. Analogamente, una volta tenuto conto dei costi addizionali, essi evidenziano come le famiglie in cui sia presente una persona con disabilità grave corrano un maggior rischio di povertà rispetto alle famiglie in cui non sia presente alcuna persona con disabilità grave (38.5% contro 23.8% nel caso della diffusione della povertà relativa e 10.5% contro 5.3% nel caso della deprivazione materiale grave).

Lo svantaggio delle famiglie con membri con disabilità è confermato dal rapporto dell’ISTAT curato da M. Franzini e A. Solipaca (Conoscere il mondo della disabilità: Persone, relazioni e istituzioni, 2019). Tra le altre cose, si evidenzia come la percentuale di famiglie con membri con disabilità che sperimentano grande difficoltà ad arrivare a fine mese è quasi doppia rispetto alle famiglie senza membri con disabilità. Evidenze analoghe emergono rispetto ai costi sostenuti dalle famiglie per le spese sanitarie (visite mediche e accertamenti, spese per medicinali e visite dentistiche).

Riepilogando, sembra importante sottolineare come le politiche di supporto a favore delle famiglie in cui vivano membri con disabilità, debbano porsi l’obiettivo di fronteggiare i tre diversi canali di svantaggio economico. Il primo connesso alla condizione di disabilità dell’individuo, e quindi alla capacità che questi ha di realizzare reddito; il secondo connesso alla condizione lavorativa dei membri del nucleo familiare a cui sono eventualmente affidati i compiti di cura del membro non autosufficiente; il terzo connesso all’esistenza dei costi addizionali della disabilità.

I trasferimenti monetari di carattere assistenziale (le pensioni di invalidità civile e le indennità di accompagnamento) e quelli di carattere previdenziale (gli assegni di invalidità previdenziali e le pensioni indennitarie) contribuiscono a mitigare lo svantaggio economico connesso alla disabilità. Il rapporto ISTAT (2019), ad esempio, evidenzia come in assenza dei trasferimenti sociali, il rischio di povertà per le famiglie con membri con disabilità raddoppierebbe. Nonostante questo contributo positivo, tali trasferimenti non sembrano in grado di garantire il raggiungimento di livelli di benessere paragonabili con quelli delle famiglie senza membri con disabilità. I motivi di questa incompletezza sono molteplici.

La prima osservazione è che le famiglie con membri con disabilità che percepiscono trasferimenti sociali legati alla disabilità sono inferiori al 50% (Rapporto ISTAT, 2019). Uno studio della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), inoltre, mostra che nel 2013 solo i 2/3 degli individui con limitazioni funzionali gravi erano titolari di indennità di accompagnamento erogate dall’INPS. Emerge, quindi, una discrasia tra percettori potenziali e percettori effettivi di tali trasferimenti.

La seconda osservazione è che l’entità dei trasferimenti per far fronte ai tre canali di svantaggio evidenziati è limitata. Seguendo il Rapporto ISTAT (2019) emerge che sui circa 4,5 milioni di beneficiari di pensioni legate alla disabilità, quelli che percepiscono solo pensioni legate alla disabilità sono circa la metà, con un reddito pensionistico mediano di 6185 euro annui ed importi che oscillano tra 3767 e 9818 euro annui, a seconda che percepiscano solo la pensione di invalidità civile o anche l’indennità di accompagnamento. Quest’ultimo gruppo, tuttavia, include solo il 10% di coloro che percepiscono un qualche trasferimento legato alla disabilità. L’entità dei trasferimenti assistenziali, quindi, tende a non compensare per il mancato salario della persona con disabilità, e trascura sostanzialmente i costi addizionali e il possibile impatto sull’offerta di lavoro del carer.

La terza osservazione riguarda il ruolo dei servizi di cura a favore delle persone con disabilità, che dovrebbero promuoverne l’integrazione e alleggerire le responsabilità a carico dei familiari, favorendone la partecipazione al mercato del lavoro. Come è noto, il sistema di welfare italiano è basato principalmente sui trasferimenti piuttosto che sui servizi. In Italia, il ricorso all’aiuto gratuito di persone non coabitanti e all’acquisto di servizi sul mercato è più frequente tra le famiglie con membri con disabilità che tra il totale delle famiglie (come emerge dal Rapporto ISTAT, 2019). Questo dato può essere letto come un sottodimensionamento della fornitura pubblica di servizi per la disabilità. I servizi pubblici per la disabilità sono demandati alle amministrazioni comunali, alle ASL e alle Cooperative convenzionate. La stima della quantità e della qualità dei servizi, come pure del loro controvalore economico, è piuttosto complessa; è possibile, tuttavia, abbozzare una quantificazione per grandezze aggregate. Ad esempio, i dati riferiti al 2016 mostrano una forte eterogeneità territoriale, poiché la spesa media annua per persona con disabilità erogata dai Comuni era di circa 870 euro nelle regioni del Sud e 5080 euro nelle regioni del Nord-Est (Rapporto ISTAT, 2019).

Il quadro delineato è poco soddisfacente ma di recente sono emerse alcune novità rilevanti circa il sostegno alla disabilità.

Partendo da una recente sentenza della Corte Costituzionale (23 giugno 2020), che rimarcava l’esiguità degli assegni mensili a favore delle persone riconosciute totalmente inabili al lavoro, l’art. 5 del Decreto-legge n. 104 del 14 agosto 2020, ha predisposto che la pensione di invalidità civile per persone con disabilità totale, ciechi assoluti e sordi di età superiore a 18 anni sia fissata a circa 650 euro mensili per 13 mensilità, purché sussistano determinate condizioni reddituali. Altri provvedimenti legislativi recenti vanno nella stessa direzione. Ad esempio, il Piano nazionale della non autosufficienza 2019-2021 mostra un impegno crescente nel corso del tempo, volto a promuovere il sostegno di persone con gravissima disabilità e di anziani non autosufficienti, per favorirne la permanenza presso il proprio domicilio evitando il rischio di istituzionalizzazione. Contestualmente, sono state aumentate le risorse del Fondo “Dopo di noi” per persone con disabilità prive di sostegno familiare e, a partire dal 2018, sono stati istituiti una serie di fondi di sostegno alla disabilità, quali il Fondo per il sostegno del ruolo di cura e assistenza del caregiver familiare (legge di bilancio 2018), il Fondo per l’accessibilità e mobilità delle persone con disabilità (legge di bilancio 2019), e il Fondo per l’inclusione delle persone sorde (legge di bilancio 2019).

Questo percorso fa intravedere una maggior presa di coscienza da parte del legislatore della serietà del fenomeno della disabilità e degli aspetti ad esso connessi. Sarà da valutare se i nuovi provvedimenti siano sufficienti, sia a livello quantitativo che qualitativo, per permettere il raggiungimento di standard di vita paragonabili a quello del resto della popolazione.

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