Diritti e condizioni di salute dei “migranti forzati”

Luca Di Salvatore si occupa dei “migranti forzati” dal punto di vista della sanità. Di Salvatore dà conto delle condizioni di salute dei “migranti forzati” al loro arrivo in Italia; ricorda i diritti che il nostro ordinamento giuridico riconosce agli immigrati (regolari e irregolari) sotto il profilo dell’assistenza sanitaria e dell’accesso alle cure e, infine, illustra il funzionamento del sistema di accoglienza predisposto per i richiedenti asilo, nonché le sue criticità, e l’offerta sanitaria prevista nei vari centri governativi.

Il fenomeno migratorio e le implicazioni sul piano sanitario. Secondo dati recenti sono circa 244 milioni i migranti nel mondo, di cui 21,3 rifugiati e 3,2 richiedenti asilo; complessivamente sono 65,3 milioni i “migranti forzati”, compresi gli sfollati interni nei propri Paesi.

In particolare, l’Italia si caratterizza per una presenza straniera sempre più stabile e consolidata (nel nostro Paese si contano attualmente oltre 5 milioni di stranieri residenti che rappresentano l’8,3% della popolazione complessiva) nonché per essere diventata terra di accoglienza di persone in fuga (dal 2014 ai primi sei mesi del 2017 sono sbarcate in Italia 585.738 persone).

Le implicazioni di questo fenomeno sul piano sociale e sanitario sono considerevoli. I flussi migratori, che coinvolgono una moltitudine di popolazioni e di categorie di persone, consentono di misurare la capacità del sistema sanitario di dare risposte efficaci ai bisogni di salute emergenti. Una delle sfide per la sanità pubblica è riuscire a garantire l’assistenza sanitaria e l’accesso alle cure a tutti coloro che, per diversi motivi, si trovano in condizioni di fragilità sociale.

L’obiettivo di queste brevi note consiste nel valutare che tipo di assistenza sanitaria e di accesso alle cure è riconosciuto agli immigrati (siano essi regolari o irregolari) nel nostro sistema giuridico.

Lo stato di salute dei “migranti forzati” in Italia. I dati raccolti nel corso di numerose indagini epidemiologiche consentono di affermare in generale che lo stato di salute degli immigrati che arrivano nel nostro Paese è sostanzialmente buono, per lo meno nel senso che sono assenti patologie organiche o infettive. Al loro arrivo, infatti, i migranti in cattive condizioni di salute e che richiedono interventi urgenti hanno in genere problemi legati al viaggio (ipotermia, ustioni dovute alla commistione fra carburanti e acqua di mare, traumatismi, gastroenteriti) o di natura ostetrica. Molto bassa è l’occorrenza di patologie infettive. In Sicilia, ad esempio, durante il periodo 1° marzo – 31 agosto 2015, le uniche segnalazioni sono state per casi di malattie dermatologiche, come la scabbia, e qualche caso di morbillo e varicella (si veda il parere “Immigrazione e salute” del Comitato Nazionale per la Bioetica del 23 giugno 2017). A tale proposito si è parlato di “effetto migrante sano”, una sorta di selezione naturale all’origine per cui – anche considerando quanto impegnativo è, in genere, il percorso migratorio – decide di emigrare solo chi è in buone condizioni di salute. Nel tempo, tuttavia, questo effetto positivo tende a ridimensionarsi o addirittura a svanire del tutto, dando vita a quello che è stato definito “effetto migrante esausto”: la separazione rispetto al proprio contesto familiare e sociale, il ricovero in alloggi malsani e di fortuna, l’esistenza di barriere linguistiche e culturali, le difficili condizioni socio-economiche contribuiscono ad un drastico peggioramento delle condizioni complessive di salute. Senza contare che per la popolazione sopravvissuta a conflitti armati, a emergenze umanitarie e che fugge dal proprio Paese è più elevato il rischio di problemi di salute mentale.

Proprio le c.d. “ferite invisibili” costituiscono il reale problema sanitario su cui occorre concentrarsi ai fini di un qualsivoglia progetto di integrazione. Molte delle persone che arrivano in Italia sono rifugiati provenienti da zone di conflitto o da Stati fortemente repressivi e la loro vulnerabilità può essere accresciuta oltre che dai traumi vissuti prima e durante il percorso migratorio, dall’essere vittime di condotte discriminatorie (razziali e non) nel Paese ospitante e dalla più generale mancanza di opportunità. Secondo evidenze scientifiche recenti (si veda, in particolare, il Report “Traumi Ignorati” di Medici Senza Frontiere, 2016 e il documento “Linee guida per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione nonché per il trattamento dei disturbi psichici dei titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale”, pubblicato dal Ministero della Salute il 24 maggio 2017) è alta l’incidenza di sintomi di disagio mentale e di fenomeni psicopatologici tra i soggetti immigrati (disturbi post-traumatici da stress, disturbi della personalità e di carattere cognitivo, stati di ansia, episodi depressivi) associati a violenze subite in passato e/o alle precarie condizioni di vita nei Centri di accoglienza.

I fondamenti giuridici del diritto alla salute. Nella fase storica attuale, il problema del fondamento giuridico del diritto alla salute risiede in concreto nella differente applicazione, nei contesti regionali e locali, delle politiche sociali e sanitarie per gli stranieri definite a livello centrale.

In Italia, il diritto alla salute è garantito (ex art. 32 Cost.) a chiunque si trovi sul territorio nazionale, indipendentemente dal modo, regolare o meno, con cui è giunto nel nostro Paese, e dal fatto che siano profughi, richiedenti asilo o c.d. migranti economici.

Tale approccio di forte garanzia della salute degli stranieri, anche irregolari, è specificato dal d.lgs. n. 286 del 1998 e s.m.i. (c.d. Testo unico sull’immigrazione). Le disposizioni contenute nel decreto includono a pieno titolo gli immigrati in condizione di regolarità giuridica nel sistema delle garanzie di tutela sanitaria, a parità di condizioni e di opportunità con il cittadino italiano. Il diritto all’assistenza sanitaria è esteso anche ai cittadini stranieri presenti in Italia in condizione di irregolarità giuridica, assicurando loro sia le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o, comunque essenziali, ancorché continuative, sia i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva.

Tuttavia, l’impostazione inclusiva data dal legislatore ha dovuto misurarsi con le differenti interpretazioni normative a livello locale e con la discrezionalità da parte delle Regioni nel rendere operative le politiche sanitarie definite per gli stranieri dal legislatore nazionale. Al fine di superare la marcata eterogeneità applicativa, è stato siglato in data 20 dicembre 2012 l’Accordo Stato-Regioni e Province Autonome recante “Indicazioni per la corretta applicazione della normativa per l’assistenza sanitaria alla popolazione straniera da parte delle Regioni e Province Autonome”. Le potenzialità dell’Accordo sono state solo in parte sfruttate; ad oggi, secondo i dati forniti dalla Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM), solo tredici Regioni e la Provincia Autonoma di Trento hanno provveduto al formale recepimento di quanto stabilito nel dicembre 2012. Altre Regioni, pur in assenza di ratifica, applicano l’Accordo in parte. Ci si trova così di fronte ad un’applicazione disomogenea delle concrete indicazioni previste dall’Accordo, a cominciare da quella concernente l’iscrizione al Servizio Sanitario Regionale (SSR) dei minori con genitori privi di permesso di soggiorno.

L’offerta sanitaria nei centri di accoglienza. Il sistema di accoglienza per richiedenti asilo in Italia è molto complesso ed è costituito da strutture che nel tempo si sono affiancate e sovrapposte a quelle già esistenti, in ossequio ad una serie di norme nazionali e internazionali.

Dopo il primo soccorso in mare, che già prevede un’assistenza sanitaria d’emergenza (cioè una prima valutazione sanitaria da parte dei team sanitari che operano a bordo), i migranti vengono ospitati in Centri di primo soccorso e assistenza (CPSA) o in Centri di accoglienza (CDA). Queste strutture governative localizzate in prossimità dei luoghi di sbarco hanno lo scopo di fornire un primo soccorso ai migranti e di accoglierli per il tempo necessario a stabilire la loro identità e la legittimità o meno della loro permanenza sul territorio nazionale (indicativamente 24/48 ore).

Dopo la fase di primo soccorso, i migranti richiedenti asilo vengono trasferiti in strutture di prima accoglienza ovvero Centri-Hub Regionali e/o Interregionali. Nel 2016 hanno presentato richiesta d’asilo 123.600 migranti (nel 2015 le richieste sono state 83.970). Coloro che invece non fanno richiesta di protezione internazionale o non ne hanno i requisiti sono trattenuti nei Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) al fine di evitare la dispersione sul territorio e consentire l’esecuzione del relativo provvedimento. L’assistenza sanitaria offerta in questa fase dovrebbe comprendere una visita medica completa volta alla ricerca attiva di segni e sintomi di specifiche condizioni morbose, al fine di garantire un adeguato e tempestivo accesso alle cure.

Dai centri di prima accoglienza, i migranti in attesa di conoscere l’esito della loro richiesta d’asilo vengono trasferiti in tutto il territorio italiano in centri di seconda accoglienza (strutture fornite dagli enti locali che aderiscono al Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati – SPRAR – o Centri di Accoglienza Straordinaria – CAS -). In tale fase i richiedenti protezione internazionale sono, per legge, obbligatoriamente iscritti al SSN e godono degli stessi diritti spettanti ai cittadini italiani.

Conclusioni: gli aspetti critici. Nonostante a livello normativo sia assicurata la parità di trattamento tra cittadini italiani e migranti sotto il profilo dell’assistenza sanitaria e dell’accesso alle cure, permangono alcune criticità.

Innanzitutto, l’eterogeneità di applicazione delle norme sanitarie a livello regionale e locale.

Il ruolo crescente assunto dalle amministrazioni locali in materia di salute e assistenza sanitaria (art. 117 Cost., come modificato dalla legge cost. n. 3/2001) ha prodotto confusione e difficoltà interpretative che, come accennato, permangono anche dopo la sottoscrizione dell’Accordo Stato-Regioni e Province Autonome del 20 dicembre 2012. Oggi, pertanto, la principale esigenza è quella di superare l’estemporaneità delle soluzioni adottate nei diversi contesti regionali e locali sviluppando linee generali di policy in grado di offrire risposte “di sistema” ai bisogni emergenti; ciò al fine di evitare disomogeneità nell’applicazione delle norme destinate a tutelare la salute degli stranieri.

Altre criticità si riscontrano nel sistema di accoglienza predisposto in Italia per far fronte allo straordinario flusso migratorio. In primo luogo, la rete creata è ancora insufficiente a fronte degli sbarchi. Ciò comporta situazioni di sovraffollamento e di promiscuità anche tra soggetti vulnerabili.

Inoltre, è eccessiva la presenza dei Centri di Accoglienza Straordinaria. I CAS, nati allo scopo di supplire temporaneamente alla congestione del sistema SPRAR, sono ormai circa 3.100 su tutto il territorio nazionale, ed ospitano il 73% dei richiedenti asilo, contro il 7% nei centri governativi e il 20% negli SPRAR (dati aggiornati a dicembre 2015). Tali Centri, a vocazione emergenziale (i migranti sono ospitati in strutture di varia natura quali alberghi, case private, scuole, palestre, ecc.), si limitano a garantire i servizi di base senza un chiaro progetto volto all’inclusione. Sul piano sanitario, molte di queste strutture non dispongono di un servizio di supporto psicologico. Al contrario, bisognerebbe prevedere la presenza di team multidisciplinari e multiculturali (medici, psichiatri, psicologi, mediatori culturali, ecc.) capaci di identificare i fattori di rischio specifici su cui calibrare approcci adeguati di sostegno psicologico.

Infine, il (rapido) trasferimento dei richiedenti asilo da una struttura all’altra non è accompagnato da un sistema che permetta di tracciare i dati sanitari del singolo individuo. Ciò può comportare che alcune procedure (screening medico, profilassi, ecc.) vengano effettuate più di una volta sulla stessa persona, con notevole dispendio di risorse e disagio per il paziente.

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