Di quanta fiducia abbiamo bisogno per uscire dal COVID-19?

Rino Falcone, Fabio Paglieri, Cristiano Castelfranchi, Elisa Colì, Alessandro Sapienza e Silvia Felletti, attingendo a una loro indagine, pubblicata su Frontiers in Psychology, sul rapporto tra cittadini e autorità pubbliche in Italia nella prima fase della pandemia sostengono, in particolare, che i cittadini hanno mostrato molta fiducia verso le autorità, in contrasto con la tendenza prevalente in precedenti periodi. Utilizzando tutte le informazioni provenienti dall’indagine, essi avanzano un’interpretazione di questo cambiamento, che considerano utile anche per comprendere meglio e per contrastare la seconda ondata in atto.

Nei giorni drammatici della prima fase della pandemia COVID-19 in cui il contagio si stava rapidamente diffondendo nel nostro Paese, in particolare dal 9 al 14 dello scorso marzo, una approfondita indagine, svolta dall’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione, ha interpellato oltre 4.260 cittadini italiani (57% donne e 43% uomini) per comprendere come stessero vivendo il rapporto con le Autorità ed in particolare quale affidamento facessero sulle indicazioni suggerite e le norme imposte alla loro vita ordinaria.

I risultati di questa indagine sono stati pubblicati in un nostro articolo (“All We Need is Trust: How the COVID-19 Outbreak Reconfigured Trust in Italian Public Institutions”) sulla rivista scientifica “Frontiers in Psychology”.

Mentre si rafforza la cosiddetta seconda ondata della pandemia può essere utile esaminare un aspetto cruciale del rapporto tra cittadini e Autorità Pubbliche (AP) come si è configurato nel corso del primo lockdown. Ciò potrebbe aiutare a comprendere e anticipare alcune dinamiche rilevanti per il contrasto della pandemia.

Le restrizioni imposte alla cittadinanza (divieto di spostamenti, di assembramenti laici e religiosi, chiusura di scuole e università, ristoranti, parrucchieri, bar, cinema, teatri, palestre, piscine, stadi; e così via) non avevano precedenti nell’era post-bellica e hanno determinato una completa riconfigurazione tanto della dimensione di rischio cui siamo sottoposti, quanto dello spazio relazionale in cui definire il rapporto con gli altri.

Lo studio ha riguardato, in particolare, una indagine sulla fiducia dei cittadini nei confronti delle AP seguendo un modello teorico già proposto dagli autori che si basa sulle componenti di base e sui precursori del fenomeno, e di cui si dirà meglio tra poco. In particolare: la competenza, l’intenzionalità trasparente e coerente del soggetto in analisi, le motivazioni che promuovono le intenzioni, la coerenza degli obiettivi, l’efficacia degli interventi, le condizioni contestuali in cui si applica, la capacità di coinvolgimento e gli strumenti per alimentarlo. Sono state anche rilevate le fonti di informazione cui normalmente gli intervistati hanno accesso e la percezione sugli scenari futuri di fiducia.

La fiducia. Il modello di riferimento (C. Castelfranchi e R. Falcone, Trust theory: A socio-cognitive and computational model, John Wiley & Sons, 2010; R. Falcone e C. Castelfranchi, “Social Trust: A Cognitive Approach”, in Trust and Deception in Virtual Societies, a cura di C. Castelfranchi e Y.-H. Tan, Kluwer Academic Publishers, 2001) considera la fiducia come un fenomeno socio-cognitivo complesso: uno stato e attitudine mentale di natura ibrida (tanto affettiva che cognitiva), con una struttura composita (fatta di differenti ingredienti: credenze, scopi, intenzioni, aspettative, etc.), orientato a differenti entità e dimensioni (la fiducia può avere per oggetto entità cognitive o non cognitive, semplici o complesse, dinamiche o statiche, individuali o collettive; e può riguardare specifici, aspetti, comportamenti, proprietà, atteggiamenti, funzioni, di queste stesse entità in relazione ad obiettivi di vario genere e natura che si devono raggiungere). Un fenomeno intrinsecamente ricorsivo: ci sono ragioni per avere fiducia e ci sono ragioni per avere fiducia di quelle stesse ragioni, e così via. Un processo tanto mentale quanto pragmatico: una valutazione, una decisione, un’azione. Un fenomeno dinamico, non solo perché si modifica nel tempo, ma anche perché fiducia può derivare da fiducia: reciprocità, transitività, categorizzazione, etc.. In queste note, per ovvie ragioni di spazio, ci concentreremo solo su alcuni risultati della nostra indagine.

Risultati. Il campione attribuisce alta competenza alle AP sia nell’assumere provvedimenti (79,3%) che nell’indicare linee guida (82,7%); in particolare non dubita che sia loro prerogativa farlo (91,8%); ritiene che abbiano utilizzato correttamente gli esperti (71,7%); critica (54,3%) alcune contraddittorietà evidenziate nella gestione; considera di aver saputo organizzare misure sufficienti di contrasto (44,8% favorevole, 21,7% contrario, 33,5 né favorevole né contrario).

Piena intenzionalità viene attribuita alle AP, per il contenimento della pandemia, sia attraverso norme (90,2%) che linee guida (89,1%); riguardo alle azioni conseguenti, trova sufficienti (55,9%) gli investimenti prospettati e ritiene (43,1%) che non ci siano altri interessi in gioco.

Su quale sia la AP più adeguata ad assumere decisioni in questo ambito, il campione si esprime nettamente (72,8%) a favore del Governo nazionale. È interessante però notare come al secondo posto ci sia la Protezione Civile, al terzo la Presidenza della Repubblica (di fatto un’autorità morale più che esecutiva/operativa) e solo al quarto posto il Governo regionale.

Sullo scopo che i provvedimenti perseguono, l’89% ritiene sia quello di contenere la diffusione del contagio. Vengono poco considerati altri obiettivi collaterali: creare allarmismo, tranquillizzare l’opinione pubblica. Sulla utilità delle azioni messe in campo, si evidenzia un giudizio molto positivo (85%).

Questo riconoscimento di utilità spiega anche perché gli intervistati mostrano di considerare limitato il disturbo prodotto da questi provvedimenti sulla loro organizzazione di vita coerentemente con la loro apparente sensibilità per il benessere collettivo oltre che personale.

Riguardo al comportamento che potranno tenere gli altri cittadini, si percepisce un senso di incertezza: gli intervistati escludono (59,6%) l’ipotesi più pessimistica (non saranno in numero sufficiente quanti si adegueranno alle norme) ma mostrano cautela su quelle più ottimistiche.
Come convincere gli altri ad uniformarsi? Il campione considera utile: avere spirito di condivisione (90%); fidarsi delle AP (83,8%); essere spaventati (80,6%); sapere che tutti si stanno uniformando (79,2%). Notare che le percentuali più alte si aggregano sullo spirito di gruppo e sui soggetti collettivi.

La fonte informativa più affidabile (92,6%) sono gli scienziati. La fiducia nelle AP è molto alta (75%).

Le ragioni? Le misure adottate (80,2%), l’informazione ricevuta (71,4%), il livello di imposizione che sono in grado di esercitare (52,2%).

Previsioni sul futuro: il 72,8% prospetta un incremento di fiducia nella scienza da parte dei cittadini; il 57% un incremento di fiducia reciproca e il 54,4% un incremento di fiducia nelle istituzioni. Dubbi sul “modello di sviluppo” che, evidentemente, viene considerato colpevole dei rischi cui ci troviamo esposti.

Qualche considerazione generale. Un elemento che salta agli occhi riguarda gli alti valori di fiducia (75%) che il campione ha espresso nelle varie risposte: un vero e proprio ‘boom della fiducia’ nelle istituzioni. Un dato in netto contrasto con i livelli relativamente bassi di fiducia istituzionale caratteristici dell’Italia, sia storicamente che in recenti indagini, come quelli pubblicati nel Rapporto Eurispes – Italia 2020, che indica la fiducia nelle istituzioni al 14,6% (6,2 punti in meno rispetto al 2019, comunque dato distantissimo da quello rilevato in questa indagine).

Una risposta così alta di fiducia può essere effetto non solo della percezione degli interventi in atto, della fiducia diffusa, del ritenere che è utile e necessaria ecc. ma anche di un processo – a volte inconscio – in cui sentiamo fiducia: ci orientiamo verso la fiducia per tranquillizzarci ed attivarci (C.D. Batson, The altruism question: Towards a social social-psychological answer, Erlbaum, 1991; N. Luhmann, Trust and Power, Wiley, 1979).

Potremmo dire che di fronte ad un evento tanto rischioso per le nostre vite e per la nostra stessa società, ci sia stato un fenomeno tipico e assai studiato in psicologia e scienze cognitive, quello dello scambio tra causa ed effetto, caratteristico del motivated reasoning (Z. Kunda, “The case for motivated reasoning”, Psychological Bulletin 1990) e dei nostri tentativi di ridurre la dissonanza cognitiva (L. Festinger, A Theory of Cognitive Dissonance, Peterson & Co., 1957).

Avendo la necessità di fidarci delle AP (le uniche con possibilità di operare per salvarci: a chi altri potremmo delegare questo compito) ci siamo imposti un’alta fiducia in esse come una necessità, uno scopo, capovolgendo il rapporto mezzo-fine. Data l’obbligatorietà del fine (la nostra salvezza), ci siamo imposti la necessità del mezzo (la fiducia in chi poteva tutelarla). In pratica, in casi così eccezionali, dove non ci sono alternative possibili (o almeno non si ritiene ce ne siano altre praticabili), avere fiducia nelle AP diviene uno scopo dei cittadini.

La fiducia, o almeno una volontaria attitudine e spinta verso questo sentimento, si trasforma quindi in precursore, precondizione (spesso inconsapevole) della stessa valutazione sul fidare AP.

Nel caso in esame è interessante notare come, in parallelo con quanto rilevato dalla nostra indagine, si sia determinato un analogo processo dalle AP verso la cittadinanza. In pratica, per operare e sperare di ottenere risultati adeguati contro la pandemia, le stesse Autorità Pubbliche hanno avuto la necessità di fidarsi dei cittadini e dei loro comportamenti: solo un atteggiamento responsabile e conforme alle norme avrebbe potuto soddisfare i risultati attesi di contrasto alla diffusione del virus, come poi è successo. Va sottolineato come l’istituto del sanzionamento a tutela di norme -e a maggior ragione di linee guida e di indirizzo comportamentale-, non avrebbe potuto essere, da solo, di sostanziale efficacia. Era perciò necessario fare conto sulla responsabilità individuale, collettivamente assunta e quindi affidarsi ad essa da parte delle AP.

È come se si fosse realizzata una sorta di ‘accordo tacito’ tra cittadini e Autorità Pubbliche, un patto, in cui ciascuna delle parti ha sentito il bisogno di fidarsi dell’altro ben oltre i valori abituali, quali sono stati rilevati in situazioni fuori pandemia.

La seconda ondata: quali sviluppi? È bene sottolineare che quanto si è sin qui detto si riferisce al periodo della “prima ondata” e assume valenza rilevante in quel contesto.

In questi giorni assistiamo alla cosiddetta “ondata di ritorno” della pandemia che sta introducendo nuove variabilità e influenze nelle opinioni dei cittadini, anche dovute alle rinnovate restrizioni in corso di applicazione, alle preoccupazioni per una ricaduta prevedibile ma non sufficientemente creduta, alle recriminazioni su quanto poteva o non poteva essere fatto da parte delle autorità nel mettere in opera alcuni presidi ancora carenti, da parte degli scienziati nel tenere alto l’allerta senza aprire divisioni interne sulla ridotta pericolosità del virus, degli stessi cittadini nei loro comportamenti diffusi e spesso superficiali rispetto a quei segnali di attenzione che continuavano ad essere indicati loro. Sarebbe in questo senso necessario ora, oltre che assai interessante, confrontare i nostri dati di qualche mese fa con nuove rilevazioni e indagini su questi differenti fattori.

Non è pensabile offrire ipotesi su queste analisi senza una chiara e approfondita evidenza sull’evoluzione dei precursori della fiducia (ad esempio: come è cambiato il giudizio sulla competenza, intenzionalità, coerenza delle AP? Quale attribuzione di responsabilità valuta oggi la popolazione sulle proprie e altrui azioni; quale è il grado di sopportazione delle restrizioni ad una seconda fase di applicazione? e così via), su come questi possano essere stati modificati dal processo di sviluppo della pandemia, dalle molteplici interazioni di cause ed effetti che questa ha prodotto. La fiducia è infatti un’attitudine straordinariamente dinamica e rappresenta uno degli strumenti più efficaci per leggere il mondo e adeguarsi ai suoi cambiamenti.

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