Democrazia e progresso nella “società della conoscenza”: un recente saggio di Fabrizio Rufo

Lo sviluppo di un paese dipende sempre più dalla sua capacità di innovare il proprio contesto socio-economico attraverso la generazione e l’uso di nuove conoscenze. Infatti, il mondo in cui viviamo è ormai il riflesso della cosiddetta “società della conoscenza” che segna un passaggio fondamentale della civilizzazione umana rispetto alla storia della prima rivoluzione industriale. Ma quali sono i meccanismi che hanno permesso alla dimensione della conoscenza di entrare a far parte della vita dell’uomo contemporaneo e quali sono le principali implicazioni di questo cambio di paradigma culturale per il progresso? Che ricadute ha la “società della conoscenza” sulla democrazia e forse anche sull’equità sociale? Queste domande sono al centro delle riflessioni di  Fabrizio Rufo  nel recente saggio “Scienziati, politici, cittadini” (Ediesse, 2014). Rufo, che è docente di Bioetica alla Sapienza, prende le mosse dalla rivoluzione epistemologica che l’opera di Charles Darwin sull’evoluzione della specie e il successivo sviluppo delle scienze della vita hanno determinato nell’ambito del sapere scientifico, creando le premesse di un rapporto sempre più complesso tra scienza e società.

Il nucleo della questione – ricorda Rufo – è già stato magistralmente individuato da Ludovico Geymonat, quando ha affermato che “il fatto nuovo che ha radicalmente mutato la situazione odierna rispetto a quelle passate è il seguente: le conoscenze scientifiche hanno perso il carattere di assolutezza ad esse per l’innanzi attribuito, cosicché non ha più senso né cercare una giustificazione metafisica di tale presunta assolutezza, né dare per scontata l’assolutezza delle ‘verità scientifiche’ già note e cercare, partendo da esse, di estendere il campo del ‘nostro sapere assoluto’. Il problema è ora un altro: è quello di determinare il posto spettante alla scienza nell’ambito generale delle conoscenze umane” (p.157).

Il fatto nuovo è dunque rappresentato dall’abbandono della concezione di una conoscenza come ‘specchio della natura’ – immutabile – per approdare ad una visione dinamica del mondo in cui sono centrali la dimensione storica della ricostruzione dei fenomeni naturali – portata alla ribalta nell’opera di Darwin – e il rapporto di interazione tra soggetto e oggetto della conoscenza. Quest’ultimo aspetto risulta particolarmente evidente nei tratti della ricerca biologica, nell’ambito della quale l’entità vivente è al tempo stesso oggetto e laboratorio dell’indagine.

Con gli sviluppi delle neuroscienze (p.77), – a partire dalla seconda metà del secolo Diciannovesimo – la funzione cognitiva dell’uomo viene poi caratterizzata da molteplici piani di interazione con la realtà e il quadro acquista ulteriore complessità. Si tratta di un passaggio decisivo, che vede entrare “nella disponibilità della conoscenza scientifica oggetti epistemologici quali il linguaggio, gli stati emotivi e le abilità cognitive, che rimandano tutti ad una visione del soggetto, del suo specifico hic et nunc ma anche del suo essere inserito in una prospettiva temporale.” In particolare “Se assumiamo lo sviluppo degli studi scientifici come la costruzione di un sapere attraverso processi che si dispiegano nella storia…possiamo indicare la scienza nel suo complesso come un sistema adattivo.”

Lo sviluppo delle neuroscienze assume quindi un valore epistemologico fondamentale per la “società della conoscenza”, che ci consente di guardare al di là di una generica visione di progresso alimentato dalla sempre più vasta disponibilità di sapere scientifico. Dobbiamo, infatti, essere in grado di comprendere la straordinaria rilevanza e la capillarità degli effetti dell’accumulo di conoscenze scientifiche sulla trasformazione dei processi socio-economici, ed il riflesso che tale trasformazione a sua volta esercita sull’ulteriore sviluppo delle conoscenze.

La conoscenza – che non può più essere considerata “come l’apprendimento di regole e concetti che descrivono il mondo” – è soprattutto il “risultato di un processo di costruzione collettivo, sociale, dove sapere e saper fare diventano un processo unico e quindi l’unica forma di apprendimento efficace è la partecipazione a tale processo.” (p.86)

Siamo, insomma, di fronte a una sorta di “ecosistema” della conoscenza, in cui l’elaborazione del sapere scientifico può essere finalizzata al raggiungimento di particolari obiettivi di progresso e le innovazioni tecnologiche trainanti per lo sviluppo non sono più il frutto occasionale di una qualche invenzione rilevante, come ai tempi della prima rivoluzione industriale. Ma se così stanno le cose (ed è qui che si manifesta tutta la tensione del saggio di Rufo), bisogna prendere atto della forte valenza politica che la conoscenza viene ad assumere nel mondo attuale e capire gli equilibri che regolano l’“ecosistema” della conoscenza, in termini di coinvolgimento e responsabilità di tutti gli attori del sistema socio-economico, a cominciare dagli scienziati.

Benché le nuove conoscenze godano del beneficio della diffusione attraverso i mezzi di comunicazione e di informazione,  sarebbe riduttivo credere nella validità di un semplice “modello ‘diffusionista’, basato sull’idea che sia sufficiente implementare costantemente il trasferimento d’informazioni sulla scienza per avere un’opinione pubblica scientificamente educata.” L’informazione non è conoscenza – ci ricorda Rufo – ed è dunque necessario che si formi una reale consapevolezza dell’impatto delle conoscenze scientifiche sul contesto socio-economico, e che ciò porti all’esercizio di una sorta di cittadinanza scientifica.

Tutto questo rimanda inevitabilmente a una valutazione degli spazi di democrazia che la “società della conoscenza” è in grado di generare, e diventa perciò sempre più essenziale valutare la facilità di accesso alle diverse fonti di conoscenza e agli strumenti che ne consentono un’acquisizione piena. Siamo chiamati, in definitiva, a confrontarci con una nuova “frontiera dell’equità sociale, che può e che deve essere inserita in un più generale ampliamento della sfera dei diritti di cittadinanza” (p. 153).

Si tratta di una sfida culturale a tutto campo, e ancora in gran parte da affrontare, dove il senso di una maggiore “responsabilità sociale” da parte della comunità scientifica può rappresentare solo un primo – ancorché assai importante – stadio di avanzamento. Più in generale lo sviluppo della conoscenza dovrà, infatti, essere il risultato di un vasto processo di condivisione culturale e di inclusione sociale, sul quale plasmare una nuova e più forte idea di democrazia. Non ci sono per questo ricette pre-costituite, ma partire da queste considerazioni è indispensabile per evitare le molte semplificazioni correnti e per comprendere fino in fondo quale sia la posta in gioco in nome del progresso quando si parla di “società della conoscenza”.

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