Da Roma a New York: Il keynesisimo eclettico del giovane Modigliani

Franco Modigliani (Roma 1908, Cambridge Massachusetts 2003) rimane un esempio di come sia possibile coniugare ricerca economica di alto livello, attenzione per i fatti concreti dell’economia, impegno nelle istituzioni, passione civile. Particolarmente significativo, in questo senso, l’interesse di Modigliani per l’Italia, il suo impegno nel formare generazioni di economisti italiani, la sua lunga collaborazione con la Banca d’Italia. La bibliografia su Modigliani si è arricchita, di recente, grazie al nuovo libro di Antonella Rancan (Franco Modigliani and Keynesian economics, 2020, Taylor and Francis). Combinando materiale d’archivio, scritti inediti e contributi importanti alla letteratura primaria e secondaria, Rancan ripercorre il percorso intellettuale del giovane Modigliani, dai suoi primi scritti fino ai contributi degli anni ’50 e 60, collocandoli nel quadro della sintesi neoclassica del pensiero keynesiano.

Fra i contributi principali in questa direzione, Modigliani sviluppa l’idea che la disoccupazione persistente sia dovuta a uno squilibrio di fondo tra offerta di moneta e salari nominali (rigidi verso il basso) (Modigliani, Liquidity preference and the theory of interest and money, Econometrica, 1944) e che in assenza di tale rigidità il sistema economico convergerebbe, almeno teoricamente, alla piena occupazione. La rigidità però è un fatto indiscutibile ed è per questo che spetta ad una politica economica giudiziosa, e in particolare alla politica monetaria, intervenire a sostegno dell’occupazione e in generale agire per stabilizzare l’economia, a fronte di shock dalla portata e dagli effetti inattesi. Le idee contenute nel saggio del 1944, uno dei contributi fondamentali allo sviluppo della macroeconomica mainstream contemporanea, formano ancora oggi oggetto d’insegnamento nelle aule universitarie e sono d’ispirazione nel formulare la politica economia di molti governi e di molte banche centrali nel mondo.

I primi scritti di economia di Modigliani, risalenti alla seconda metà degli anni ’30, affrontano il tema del controllo dei prezzi nell’interesse dei consumatori, contro i monopoli privati. Ispirandosi ad alcuni scritti pubblicati in tedesco, il giovane Modigliani, studente presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma ‘La Sapienza’, riflette sul ruolo costruttivo dello Stato che, attuando un sistema di controllo dei prezzi “completo, dinamico, continuo e formativo”, si dota di un metodo di coordinamento capace di assicurare lo sviluppo armonico dell’economia nazionale. Questi scritti si collocano nel contesto del tentativo del governo fascista di superare il capitalismo individualista e il laissez faire in nome di una “nuova economia”, dominata dalle grandi imprese e dal protezionismo.

Nel 1939, lasciata l’Italia delle leggi razziali, Modigliani si trasferisce negli USA insieme alla famiglia di Serena Calabi, che diventerà sua moglie, per trascorrere i nove anni successivi alla New School for Social Research di New York. Qui ottiene un dottorato in economia sotto la guida di Jacob Marschak, entrando in contatto con una vivace comunità scientifica di cui fanno parte molti economisti europei, fuggiti dalla guerra in Europa, tra cui Oskar Lange e Abba Lerner. Attraverso questi contatti, Modigliani affina la propria visione di Keynes, concentrandosi sulla rigidità verso il basso dei salari nominali e sul mismatch tra offerta di moneta e salari, come cause concomitanti della disoccupazione e sul ruolo stabilizzante della politica monetaria.

Quest’impostazione si differenzia profondamente da quella di Alvin Hansen, primo tra i keynesiani d’America, che identificava la debolezza degli investimenti e l’eccesso di risparmio come cause principali della disoccupazione persistente e la politica fiscale come strumento principale per contrastarla. Questo fatto, può spiegare il limitato impatto iniziale di Modigliani come economista keynesiano e la sua scelta di dedicarsi a temi di ricerca diversi.

L’interesse iniziale per il controllo dei prezzi e il razionamento, porta Modigliani nella seconda metà degli anni quaranta a interrogarsi sui principi he reggono un’economia socialista, argomento di grande interesse, nell’immediato secondo dopoguerra, oltre che questione controversa negli Stati Uniti di Truman e Eisenhower. Combinando l’analisi marginalista con l’inventiva nel conciliare pianificazione economica, libertà di scelta individuale e pluralismo politico, il giovane Modigliani trova alternative alla “nuova economia” dei grandi monopoli privati. Da questi scritti, così come dal piano, elaborato nell’autunno del 1947 per rispondere alla scarsità di carne e al conseguente aumento dei prezzi, traspare la fiducia di Modigliani nella capacità della “mano pubblica” di rendere più efficiente ed equa l’allocazione delle risorse. Questa fiducia lo accompagnerà negli anni successivi ed è uno degli elementi distintivi del suo approccio al pensiero keynesiano e alle sue implicazioni di politica economica.

L’insofferenza verso la prevaricazione intellettuale spinge Modigliani, nel 1952, a lasciare l’Università dell’Illinois dove era arrivato quattro anni prima. Era accaduto che alcuni accademici e amministratori dell’Università avessero accusato il direttore del Dipartimento di Economia H. Bowen di essere un keynesiano cripto-socialista impegnato a diffamare le libertà accademiche e a sostenere un gruppo di burocrati keynesiani a Washington. Queste accuse avevano portato alle dimissioni di Bowen, seguite da quelle dei membri più giovani del Dipartimento da lui reclutati, compreso Modigliani. In un contesto caratterizzato dall’opposizione alle idee keynesiane in molti ambienti accademici e dal sospetto che il Keynesismo fosse una forma occulta di socialismo, Modigliani preferisce allontanarsi dalle questioni macroeconomiche e concentrarsi su temi diversi, dalla teoria della scelta intertemporale al problema della formazione delle aspettative e delle decisioni sotto incertezza.

Prima all’Università dell’Illinois e poi al Carnegie Institute of Technology (1952-1960), Modigliani, da solo e in collaborazione con altri, tra cui H. Simon, A.J. Cohen, E. Grunberg e J. Muth, è autore di importanti contributi che apriranno la strada alla teoria del ciclo di vita del risparmio sviluppata in collaborazione con A. Ando. Il problema di pianificare scelte economiche in condizioni di incertezza si combina – nel pensiero di Modigliani – con il problema di come affrontare la variabilità dei prezzi di mercato, uno dei temi principali che legano i primi contributi teorici di Modigliani, compreso l’articolo del 1944, alla sua produzione scientifica più matura. È proprio seguendo questo filo che Modigliani, alla fine degli anni ’50, torna a occuparsi di questioni macroeconomiche e monetarie.

È la sua reputazione di economista keynesiano, conquistata con il fondamentale articolo del ’44, insieme al desiderio di trasferirsi in un dipartimento di economia più tradizionale, a portarlo da Carnegie al Massachusetts Institute of Technology (MIT) nel 1962, con il sostegno di P. Samuelson. Tra i primi contributi all’MIT, troviamo un importante articolo del 1963 (The monetary mechanism and its interaction with real phenomena, Review of economics and statistics») che riprende l’articolo del ’44, chiarendo la distinzione tra variabili reali e monetarie, nell’ambito di un modello di equilibrio economico generale costruito per cogliere l’interazione tra dinamiche monetarie, produzione e occupazione, sotto ipotesi diverse sul funzionamento del mercato del lavoro. L’articolo, sintesi delle riflessioni di Modigliani impegnato a preparare un corso di teoria monetaria avanzata per l’MIT, rappresenta un secondo contributo fondamentale nella direzione della sintesi neoclassica del pensiero di Keynes.

Al MIT, Modigliani si dedica a numerosi progetti fra cui supervisionare la creazione del modello macroeconometrico dell’economia USA Fed-MIT-Penn (FMP) con A. Ando e D. de Leeuw (Federal Reserve). Questa esperienza sarà fondamentale per indurre l’allora governatore Ciampi, a chiamare Modigliani come consulente della Banca d’Italia, impegnata con la squadra di economisti del Servizio Studi a costruire il primo modello econometrico dell’economia italiana.

Dalla ricostruzione della genesi e della struttura del modello FMP, emerge ancora una volta la specificità del contributo di Modigliani, con la sua fiducia nell’econometria come strumento al servizio della politica economica. I contributi di Modigliani in questa fase ruotano intorno all’identificazione dei circuiti di trasmissione della politica monetaria e al dibattito sulla curva di Phillips, sulle cause e sui rimedi contro l’inflazione e sulla scala mobile soprattutto negli anni settanta.

È nell’affrontare questi temi, che Rancan tratta molto sinteticamente nell’ultima parte del suo libro, e nel confronto con il monetarismo, che la reputazione di Modigliani come economista keynesiano si consoliderà definitivamente, affiancandolo agli altri grandi keynesiani statunitensi, tra cui P. Samuelson, J. Tobin e R. Solow. Modigliani stesso si è sempre considerato un economista keynesiano, convinto che un’economia basata sulle imprese private che utilizza una moneta intangibile “ha bisogno di essere stabilizzata, può essere stabilizzata, e quindi dovrebbe essere stabilizzata”. Il suo ultimo saggio, intitolato “Il vangelo keynesiano secondo Modigliani” rivisita ancora una volta il nesso tra rigidità nominale, offerta di moneta e disoccupazione keynesiana.

D’altra parte, secondo Rancan, le connessioni di Modigliani con la teoria keynesiana appaiono di secondaria importanza fino all’inizio degli anni ‘60, quando arrivò all’MIT. Escludendo l’articolo del 1944 e la sua tesi di dottorato, gli anni più creativi di Modigliani lo vedono impegnato in ricerche saldamente radicate nel terreno non keynesiano dell’economia neoclassica, con un focus sulle scelte intertemporali in condizioni di incertezza, l’economia matematica, l’econometria e la finanza aziendale. Sono questi i contributi che la Commissione menziona nell’attribuirgli il premio della Banca Reale di Svezia in Scienze Economiche in memoria di Alfred Nobel nel 1985.

Al netto della possibile influenze del clima culturale dei primi anni ’80 sulle motivazioni per il Nobel dell’accademia svedese (premiare un Keynesiano, sia pur molto moderato, era visto come una eresia; bisognava premiarlo per qualcosa d’altro), l’analisi di Rancan invita a riflettere sulla possibile contraddizione di un economista keynesiano che deve gran parte della sua prima reputazione scientifica a contributi nei campi non keynesiani della scelta intertemporale, dell’economia matematica e dell’econometria. Una via d’uscita da questa apparente contraddizione è riflettere su cosa significava essere keynesiani negli Stati Uniti negli anni ’40 e cosa è cambiato da allora agli anni ’60.

Essere keynesiani negli Stati Uniti negli anni ’40 significava essere impegnati a capire le cause della disoccupazione di massa e della miseria causata dalla Grande Depressione e cosa il governo potesse fare per migliorare le cose. Significava non accettare l’idea che l’economia sarebbe tornata spontaneamente alla crescita, sulla scia di uno shock deflazionistico, dopo un periodo di aggiustamento salutare. Significava essere disposti a sperimentare strumenti innovativi. Significava partecipare alla nascita e al consolidamento della contabilità nazionale e dell’econometria. In altre parole, significava essere sulla frontiera della ricerca economica. Il fatto che tutto questo attirasse giovani economisti, desiderosi di contribuire al progresso degli Stati Uniti, non connota troppo precisamente il termine keynesiano. D’altra parte, tra la prima generazione di keynesiani americani c’era spazio per posizioni molto diverse sia a livello teorico che politico. Una lettera, scritta da Sylos Labini dagli Stati Uniti nel 1949, lo testimonia. In questo senso, l’impronta keynesiana del suo primo importante contributo rimase nel giovane Modigliani, senza impedirgli di perseguire negli anni successivi temi decisamente diversi e non keynesiani.

L’influenza di Marshack e il desiderio di Modigliani di dotarsi di strumenti analitici forti, nel campo dell’economia matematica, della statistica e dell’econometria contarono soprattutto negli anni formativi negli USA. Acquisita la padronanza di questi strumenti, fu naturale per Modigliani applicarli all’analisi dei problemi che si presentavano alla sua attenzione. In che misura questa scelta sia stata frutto di strategie accademiche, prudenza politica negli anni del maccartismo, condizioni personali derivanti dallo status di Modigliani come straniero, non madrelingua inglese e di famiglia ebrea, è questione con cui la ricerca su Modigliani si confronta, senza prendere una posizione troppo netta sulla questione.

Negli anni ’60, quando membri di spicco della rete keynesiana nell’accademia statunitense, tra cui Galbraith, Samuelson e altri, furono chiamati a collaborare con le amministrazioni di Kennedy e Johnson, si creò l’occasione per Modigliani di affermarsi come l’economista monetario di riferimento in ambito keynesiano insieme a James Tobin. Anche qui, però, il keynesismo di Modigliani si gioca più nel campo della politica economica che in quello della teoria e nella convinzione che una politica economica discrezionale e giudiziosa offra l’opportunità migliore di stabilizzare l’economia. Atteggiamento analogo traspare dai suoi contributi sull’integrazione monetaria europea e sulle misure di stabilizzazione che l’Italia avrebbe dovuto adottare in vista di questo importante traguardo (P.F. Asso e S. Nerozzi, Franco Modigliani e l’Unione Monetaria Europea, Pensiero economico Italiano, 2020). Quanto (o quanto poco) questo abbia contribuito alla sopravvivenza dell’eredità keynesiana nei circoli accademici statunitensi è una questione aperta che gli storici del pensiero economico continueranno a discutere negli anni a venire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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