Da Rockfeller ai rich kids: l’ascesa dei family office tra finanza e disuguaglianza globale

Paolo Paesani, prendendo spunto da una recente inchiesta dell’Economist, esamina il fenomeno dei family office che gestiscono in via esclusiva il patrimonio dei super-ricchi e delle loro famiglie. Paesani illustra le caratteristiche di questa nuova e poco conosciuta categoria di operatori, riflette sulle cause e le conseguenze della loro importanza crescente e si sofferma in particolare sui rischi che possono derivarne per la stabilità finanziaria e la qualità della democrazia a livello globale.

Il numero crescente di super-ricchi pone una serie di interrogativi sui rischi che questo fenomeno può comportare, a livello globale, in termini di giustizia distributiva, stabilità finanziaria, qualità della democrazia (cfr. M. Franzini, E. Granaglia, M. Raitano, Dobbiamo preoccuparci dei Ricchi? il Mulino, 2014). In relazione a questo, recentemente, l’Economist si è interrogato sul fenomeno delle grandi gestioni patrimoniali, soffermandosi sul ruolo dei family office.

I family office sono società di consulenza per la gestione patrimoniale che servono in via esclusiva individui, singole famiglie (Single Family office SFO) o gruppi di famiglie (Multi-family office MFO. con un patrimonio almeno pari a 100 milioni di dollari (Fonte Campden Wealth, Global Family Office Report 2017). Ai servizi tradizionali nel campo della consulenza finanziaria, assicurativa e fiscale se ne aggiungono altri, dalla sistemazione dell’asse ereditario, all’organizzazione di donazioni e iniziative benefiche, per giungere alla manutenzione di aerei privati e yacht, alla pianificazione di viaggi, alla gestione di collezioni d’arte. Rimasti nell’ombra fino a pochi anni fa, i family office stanno gradualmente acquisendo potere. Qui si cerca di fornire un quadro introduttivo del fenomeno, soffermandosi sulla natura e l’evoluzione recente dei family office, sulle loro strategie d’investimento e sulle conseguenze per la democrazia delle loro azioni e della filantropia che alcuni di essi alimentano. Se l’origine dell’idea di una gestione ad personam del patrimonio familiare risale alla nascita della figura dell’amministratore di casa reale, nel VI secolo, la concezione moderna di family office si afferma a partire dalla prima metà del XIX secolo. Come ricorda un rapporto di Ernest e Young, nel 1838, i congiunti del finanziere e collezionista d’arte J.P. Morgan fondarono la casa Morgan per gestire le proprietà di famiglia. Nel 1882, Rockefeller fondò il proprio family office, che esiste ancora oggi e opera come MFO con il nome di Rockfeller Capital Management.

Dal capitalismo dei robber barons al turbo-capitalismo di oggi la sostanza non è cambiata poi molto, ma le dimensioni e le caratteristiche del fenomeno si. Lo sviluppo della finanza offshore e l’allentamento delle restrizioni valutarie internazionali – tra gli anni ’60 e gli ’80 -, hanno favorito l’aumento dei flussi di capitali transfrontalieri, già alimentato dal formarsi di ingenti masse di liquidità di proprietà di singoli individui o delle loro famiglie a seguito della vendita di alter proprietà (liquidity event). Qualcosa in più sulle alter proprietà da un punto di vista finanziario, i confini dello stato-nazione sono diventati molto più permeabili, permettendo a famiglie e individui facoltosi di andare alla ricerca delle condizioni fiscali, regolamentari e politiche più favorevoli. Queste condizioni continuano a cambiare mentre gli stati competono per attirare ricchezza privata nelle loro giurisdizioni, rendendo la ricerca dell’affare migliore un compito complesso. Come osserva, Brooke Harrington (Capital, without Borders: Wealth Management and the One Percent, Harvard University Press, 2016), ciò ha favorito la professionalizzazione dei gestori patrimoniali, creando la figura del wealth manager.

I dati presentati da rapporto Global Family Office 2018, curato da Campden Wealth Ltd e UBS, insieme alle le informazioni fornite dall’Economist, forniscono un quadro aggiornato sull’industria dei family office a livello globale. I family office sono circa 5.300 nel mondo. La maggior parte di essi ha sede in Europa e Nord America, il 17% in Asia-Pacifico e oltre l’8% nei mercati emergenti. Il 37% dei 311 family office, censiti da Campden Wealth/UBS 2018, risulta fondato dopo il 2010, un altro 30% negli anni 2000 e solamente il 7,3% prima degli anni Cinquanta. Le dimensioni dei patrimoni gestiti variano molto, dai 25 miliardi di dollari del patrimonio di George Soros a un valore medio che oscilla tra 500 milioni e 1 miliardo di dollari.  Il 75% dei fondi censiti gestisce il patrimonio di una sola famiglia, di cui il 54% indipendentemente dalle altre attività della famiglia stessa (Independent SFO) e il 21% nell’ambito di tali attività (Embedded SFO). Il restante 25% riguarda MFO private (13%) o gestiti su base commerciale (12%). In media i SFO hanno undici dipendenti a tempo pieno e quattro dipendenti part-time, mentre i MFO dodici dipendenti a tempo pieno e quattro part-time. Circa la metà (48%) dei gestori di family office riferisce che i patrimoni da loro amministrati sono aumentati nel corso dell’ultimo anno, mentre oltre i tre quarti (77%) ha notato che la ricchezza complessiva dei loro clienti, comprese le attività non gestite direttamente dal family office, è aumentata insieme alle entrate delle loro attività operative (55%). Un altro quarto (23%) ha indicato un aumento nel numero di filiali e/o un aumento del personale. Un altro segnale di crescita è rappresentato dal rendimento totale medio globale che ha raggiunto il 15,5% nel 2017, più del doppio rispetto al valore medio del 2016 (7,0%) per non parlare dello 0,3% del 2015.  Dal punto di vista regionale, per la prima volta da quando i dati sono stati segnalati nel 2016, il rapporto Campden Wealth/UBS segnala come i family office del settore Asia-Pacifico abbiano sorpassato la performance media di tutti gli altri family office, raggiungendo il 16,4%. Ciò dipende in particolare dall’andamento dei mercati azionari e dal settore private equity, entrambe aree in cui gli family office asiatici hanno investito pesantemente. I family office del Nord America hanno, comunque, registrato un rendimento medio del 15,9% nel 2017, quelli dell’Europa del 15,0% e quelli dei Mercati emergenti de 14,7%. La composizione media del portafoglio vede prevalere le partecipazioni azionarie (28%) e la componente private equity (21,6% di cui 14% in azioni detenute direttamente e 7,6% in fondi di private equity). Seguono proprietà immobiliari (18,1%), titoli obbligazionari (16,2%), hedge funds (5,7%), liquidità (7%) e materie prime (3,4%).

Secondo l’Economist, la propensione dei family office a investire in titoli azionari con un orizzonte medio di circa dieci anni, unita a un indebitamento relativamente basso in proporzione agli asset (17%) costituisce un fattore di stabilizzazione per a livello internazionale, rendendo i family office meno vulnerabili rispetto alle banche e a molti fondi d’investimento speculativi. A fronte di questo effetto stabilizzante, dei vantaggi derivanti dalla propensione a investire in startup e del livello di concentrazione relativamente basso, l’affermazione dei family office può, però, aumentare il livello di opacità nelle transazioni finanziarie. Vi è poi la possibilità che i family office, forti del potere e delle connessioni delle famiglie di cui amministrano il patrimonio, possano avere un accesso privilegiato a informazioni, accordi e schemi fiscali, e in questo modo realizzare performance migliori rispetto agli investitori ordinari, acquisendo forza ulteriore.

Lo sfruttamento d’informazioni privilegiate e i danni che ciò comporta non sono una novità, né in campo finanziario né altrove. La novità deriva semmai dalla concentrazione di questo potere in capo a singole famiglie, impegnate ad accrescere i propri feudi finanziari e il proprio potere, con l’aiuto di fedeli gestori ad personam.

Parte di questo impegno consiste nell’influenzare i processi legislativi e la regolamentazione a proprio vantaggio e a danno della collettività, con il rischio di erodere le basi dello Stato di diritto, come analizzato di recente – in un contesto diverso – da Vito Tanzi. Nella stessa direzioni, vanno le attività di lobbying volte a ridurre le imposte di successione e non solo.

Come ricorda J. Hoxie, in un recente articolo pubblicato su Fortune sul tema della riforma dell’imposta sulle successione negli Stati Uniti, fu grazie all’introduzione di un’imposta sul trasferimento intergenerazionale della ricchezza nel 1916, seguita dall’aumento delle aliquote marginali dal 25% nel 1931 al 63% l’anno successivo, fino al 94% sulle famiglie più ricche nel 1944 e nel 1945, che il legislatore contribuì a correggere la forte disuguaglianza imperante negli USA tra la fine del XIX secolo e gli anni venti.

Da allora a oggi, la situazione si è decisamente involuta anche grazie a ciò che hanno fatto miliardari come i fratelli Koch, che hanno lanciato il loro family office nel 2016, usando la loro immensa fortuna per attività di lobbying in favore di tagli fiscali massicci, come quelli decisi dall’amministrazione Bush nei primi anni 2000 e i tagli ulteriori voluti da Trump più recentemente.

Rafforzando il potere delle famiglie, i family office rafforzano sé stessi e la loro capacità di competere con le banche globali e i gestori di fondi. Un centro di potere in più all’interno del sistema finanziario globale, ancora poco conosciuto e al servizio delle famiglie dei più ricchi e dei loro rampolli, i rich e i luxury kids che ostentano volgarmente la loro ricchezza sui social media.

Quasi a volere presentare l’altra faccia della medaglia, i rapporti sulle prospettive dei family office mettono, tuttavia, in luce l’interesse delle nuove generazioni per gli investimenti capaci di combinare benefici elevati, sul piano ambientale e sociale, con un rendimento elevato (impact investing). Più di un quarto dei family office (28%) dichiara un coinvolgimento nell’impact investing, e due quinti dichiarano di voler accrescere il loro impegno in questo settore, una spinta che viene largamente attribuita alle preoccupazioni di ordine etico dei ricchi millennial che lentamente ereditano le ricchezze delle loro famiglie. I prossimi anni diranno se questo cambiamento si realizzerà davvero e in misura tale da compensare, almeno in parte, gli effetti negativi derivanti dal rafforzamento dei fidati e potenti “uffici di famiglia”.

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