Critically important. Il Covid-19 e il bisogno di immigrati

Rama Dasi Mariani riflette, alla luce di recenti vicende legate al lockdown, sul ruolo che i lavoratori migranti hanno nel mercato europeo e nei settori produttivi considerati essenziali. Mariani sottolinea come nelle condizioni attuali molti settori produttivi, in Europa, incontrerebbero – in assenza di profonde riforme - seri problemi senza i flussi migratori e conclude con la preoccupazione che al fenomeno possa non essere dedicata l’attenzione che la sua rilevanza richiede.

All’inizio del 2020, l’Italia per prima e a seguire molte altre Nazioni europee ed extra-europee hanno deciso politiche draconiane che hanno portato ad una drastica diminuzione di tutti i rapporti con l’estero. Dati preliminari riferiti al mese di maggio parlano di un calo del 97% nel numero di passeggeri all’aeroporto londinese di Heathrow, del 90% nei passaggi in auto alla frontiera tra Messico e Stati Uniti e del 21% nei trasporti transpacifici delle navi cargo.

Alla riduzione del commercio internazionale ha contribuito prevalentemente una contrazione della domanda per consumi. Il quasi azzeramento dell’immigrazione è dovuto, invece, alla paura della diffusione del nuovo virus, il SARS-CoV-2. Tuttavia, al netto delle logiche conseguenze della pandemia, non si può escludere che la globalizzazione, ed in particolare l’immigrazione, sarà nel prossimo futuro un argomento al centro dell’attenzione politica. D’altronde già lo era prima dell’insorgenza del Covid-19 come dimostra l’intensificarsi delle politiche restrittive dell’immigrazione, promosse da partiti populisti e nazionalisti. Di questo si è discusso in un recente articolo sul Menabò. Come anticipazione di quelli che potranno essere gli effetti del Covid-19 è interessante l’annuncio di Trump che gli Stati Uniti restringeranno ulteriormente l’ingresso dei lavoratori stranieri per rispondere all’impennata della disoccupazione statunitense prevista nel 2020. Eppure, la perdita del lavoro da parte dei cittadini americani non avverrà a causa della concorrenza dei cittadini stranieri.

Tutto questo ha delle ripercussioni importanti soprattutto sul funzionamento del mercato del lavoro dell’Unione Europea che da decenni dipende anche dalla consolidata libertà di circolazione delle persone.

Un’Europa senza libertà di circolazione dei lavoratori. A partire da marzo 2020, in quasi tutti i Paesi europei, la libertà di circolazione delle persone è stata limitata ai soli spostamenti essenziali e, di conseguenza, varcare i confini nazionali è diventato difficile anche per motivi di lavoro.

Come evidenzia un articolo del Migration Policy Institute da cui prendono spunto le presenti riflessioni, questa situazione ha prima di tutto delle dirette conseguenze sui cc.dd. lavoratori di frontiera, cioè coloro che vivono a ridosso del confine nazionale e lo attraversano quotidianamente per recarsi a lavoro. Anche l’economista Frédérique Docquier in un suo intervento online ha parlato dell’importanza del fenomeno per i paesi dell’Europa centro-nord (come Belgio, Lussemburgo, Olanda e Germania) sottolineando le conseguenze negative della sospensione dello Spazio Schengen e allo stesso tempo l’assenza di razionalità della distinzione tra un lavoratore nativo e un lavoratore migrante come veicolo di diffusione del virus. In altre parole, se lo spostamento è reso necessario per motivi di lavoro, non vi è ragione di consentirlo ai cittadini di uno Stato e impedirlo a quelli dello Stato limitrofo.

Altra evidente e importante conseguenza delle politiche di lockdown è stata il rimpatrio di 200 mila lavoratori rumeni, attualmente il gruppo più numeroso di migranti all’interno dell’Unione Europea. Le ragioni del ritorno volontario presso le loro case di origine è stata principalmente la perdita del lavoro in condizioni di assenza di protezione sociale per le categorie di lavoratori in cui sono più rappresentati e di un sistema di assistenza sanitaria che è limitato per gli stranieri.

Sicuramente si tratta di una situazione temporanea, ma le sue conseguenze possono essere permanenti. Soprattutto, sta venendo alla luce che l’immigrazione è essenziale in alcuni settori e per alcuni Paesi. Ne è prova il fatto  che Germania e Regno Unito hanno riorganizzato il trasporto aereo per permettere l’arrivo di lavoratori stranieri dall’est Europa, allentando le regole sanitarie introdotte per il contenimento dei contagi.

L’immigrazione essenziale. Nei settori considerati essenziali per la vita umana rientrano l’agricoltura e la sanità, entrambi già caratterizzati da una carenza di offerta di lavoro nativa nei Paesi dell’Europa occidentale. Dato il rimpatrio di molti lavoratori stranieri, la situazione si è aggravata durante il periodo di lockdown rendendo necessarie e urgenti diverse soluzioni.

Per evitare che i raccolti andassero distrutti, che i prodotti alimentari risultassero limitati e che i prezzi alla vendita aumentassero, i governi hanno cercato di attrarre i lavoratori nativi, gli individui fuori dalla forza lavoro, gli immigrati irregolari e i nuovi rifugiati. Tutto ciò non ha sortito i risultati sperati e l’eccesso di domanda di lavoro è rimasto. Questa sembra essere l’ennesima prova che i malfunzionamenti del mercato non sono solo frizionali. Inoltre, una simile soluzione non era realizzabile nel settore della salute, dato che le prestazioni sanitarie devono necessariamente essere svolte da personale specializzato.

Pertanto, Germania e Regno Unito hanno capitolato sulla limitazione dell’immigrazione, facendo ricorso a politiche di reclutamento dei lavoratori stagionali nei Paesi dell’est Europa che, peraltro, per accelerare i tempi prevedevano come condizione di ingresso nel Paese soltanto il controllo della temperatura corporea e non anche il tampone. Questo alleggerimento dei controlli, combinato con condizioni di lavoro poco sicure, ha portato allo scoppio di alcuni casi tra gli stessi lavoratori immigrati.

Come appena accennato, l’offerta di lavoro nel settore della cura alla persona è ancora più razionata a causa delle qualifiche richieste. Per comprendere l’importanza dell’immigrazione, si pensi che 1 milione di migranti intra-europei lavora in quel settore, nel quale lavorano complessivamente 300 mila persone in Germania e 100 mila in Austria. In Germania, per tutto il periodo del lockdown, sono rimasti attivi voli charter per l’arrivo di lavoratori stranieri. In Austria, i lavoratori provenienti dall’est Europa si sono serviti di treni notturni. I media non hanno riportato nessuna violazione delle misure di sicurezza, ma le vecchie disuguaglianze economiche dovute alla mancata integrazione sono rimaste e possono apparire ancora meno accettabili in questo stato di necessità.

Le disuguaglianze dell’immigrazione. Oramai è un risultato consolidato e noto della letteratura economica quello secondo cui i lavoratori immigrati soffrono di una mancata integrazione in termini di salario e garanzie del lavoro. Più specificatamente, nei settori in cui gli stranieri sono più presenti, come quelli essenziali appena richiamati, vi è una maggiore diffusione dei contratti atipici. Gli immigrati, poi, vengono largamente reclutati attraverso agenzie che offrono lavori temporanei e in regime di lavoro autonomo. Il che significa che è sempre più ampio l’insieme di rischi, tra i quali quelli associati alla pandemia in corso, posti a carico dei lavoratori.

Nel 2018 si stima che i posti di lavoro in questa categoria erano circa 7 milioni, approssimativamente il 4 percento della popolazione europea tra i 15 e i 65 anni. Circa il 14 percento di lavoratori migranti intra-europei ricadeva in questo gruppo, contro il 13 percento dei lavoratori nativi. La differenza non è di certo sostanziale, ma i lavoratori immigrati fronteggiano maggiori rischi anche per il fatto che dispongono di minori reti sociali su cui contare in situazioni di crisi e mancanza di lavoro come quella corrente.

L’unica risposta per molti è stata quella di abbandonare il paese di destinazione e i mancati benefici della loro presenza sono diventati evidenti. Un esempio di come la narrativa dell’immigrazione è cambiata improvvisamente sono alcuni aggettivi tratti dai tabloid inglesi, Sun e Daily Mail, che hanno definito i lavoratori immigrati non qualificati del settore agricolo come “critically important”, “helping” e “coming to the rescue”. Insomma, non sono più quelli che rubano il lavoro ai nativi e forse saranno inseriti nella Shortage Occupation List che dovrebbe servire nel post-Brexit, ossia una lista di occupazioni ricercate e per questo non soggette ai criteri che limitano l’ingresso nel mercato del lavoro d’oltremanica.

In conclusione, il virus ha mostrato – ove ve ne fosse stato bisogno – che viviamo non soltanto su un unico pianeta, ma anche in un mondo fortemente interconnesso. Di fronte alla situazione che si è venuta a creare si può forse dire, in conclusione, che due evoluzioni appaiono possibili: un diffuso aumento del protezionismo e delle politiche anti-immigratorie oppure una maggiore solidarietà e collaborazione internazionale. È difficile immaginare quale delle due soluzioni prevarrà. Come era difficile, fino a poco tempo fa, pensare di occuparsi del tema di questo articolo.

Schede e storico autori