Crisi energetica in Italia e priorità programmatiche

L’Italia ha la più alta dipendenza dai combustibili fossili di importazione tra i grandi Paesi europei. Questa situazione, oltre a penalizzarci pesantemente sul piano dei conti con l’estero e sulla competitività dell’economia, aumenta la nostra vulnerabilità di fronte alle turbolenze internazionali. Inoltre, il crescente utilizzo dei combustibili fossili non permette di ridurre le emissioni di CO2 per rispettare il Protocollo di Kyoto. In questo quadro, l’Italia deve assolutamente definire una politica della ricerca e dell’energia che abbia come obiettivi la riduzione della dipendenza dai combustibili fossili e lo sviluppo di nuove tecnologie e nuovi prodotti a basso impatto ambientale.

Le aziende energetiche di cui lo Stato detiene ancora la maggioranza relativa del capitale, e cioè ENI ed ENEL, potrebbero svolgere un ruolo trainante nelle attività di ricerca, nell’industrializzazione e nella committenza delle nuove tecnologie alternative. Il loro coinvolgimento è fondamentale perché solo le grandi aziende possono costituire un potente motore di innovazione a livello nazionale. Oggi l’impegno di ENI ed ENEL nella ricerca e nell’innovazione è veramente basso: l’ENI spende in R&S appena lo 0,4% del fatturato, meno di quanto spendeva nel 1994, mentre l’ENEL ha scorporato le attività di ricerca, costituendo il Cesi Ricerca spa che ha appena 400 addetti e pochissimi fondi.

In questa ottica, la proprietà di ENI ed ENEL non deve più fare capo al Ministero dell’Economia (Cassa Depositi e Prestiti), ma al Ministero delle Attività Produttive, che dovrebbe coordinarsi con il Ministero della Ricerca per fornire indirizzi strategici ed elaborare misure di politica economica volte a: 1. potenziare la ricerca e l’innovazione, 2. diversificare le fonti di energia, 3. incentivare il risparmio energetico, 4. garantire la sicurezza energetica del nostro Paese. E’ evidente, infatti, che un maggiore impegno nella ricerca e nell’innovazione richiede il coinvolgimento delle Università e dei Centri di Ricerca Pubblici come l’ENEA e il CNR, che possono dare un importante contributo se hanno come riferimento dei soggetti in grado di industrializzare i risultati della ricerca.

Oggi vi sono alcune grandi compagnie petrolifere – per esempio British Petroleum (BP) – e imprese tradizionali, come General Electric (GE), che stanno diversificando la produzione e stanno investendo in modo massiccio nelle fonti alternative e nelle tecnologie “pulite”. BP ha lanciato una campagna denominata “Beyond Petroleum” ed ha pianificato investimenti per circa 8 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni, mentre GE conta di raddoppiare i ricavi derivanti dalle tecnologie pulite, che dovrebbero raggiungere i 20 miliardi di dollari nel 2010.

Anche l’ENI di Enrico Mattei oltre al petrolio e al gas naturale aveva puntato sulla diversificazione delle fonti energetiche investendo tra l’altro nel nucleare. Tutto questo avveniva all’inizio degli anni ’60 quando il Cnen (Comitato nazionale per l’energia nucleare) di Felice Ippolito aveva lanciato un programma di ricerca e sviluppo nelle tecnologie nucleari. Oggi sappiamo bene che il nucleare non è praticabile in Italia sia perché mancano adeguate competenze tecniche (ingegneri nucleari) e conoscenze soprattutto in materia di sicurezza, sia perché esistono oggettive difficoltà e una fortissima ostilità delle popolazioni locali alla localizzazione delle centrali, sia infine perché è rimasto del tutto aperto il problema dello stoccaggio delle scorie radioattive, (vedi caso di Scanzano in Basilicata).Non a caso paesi più avanzati del nostro stanno rinunciando progressivamente al nucleare. Rimane tuttavia valida l’intuizione di Mattei della necessità di una differenziazione delle fonti.

Per diversi politici ed economisti la proposta di gestire ENI ed ENEL non secondo una logica finalizzata alla massimizzazione dei profitti di breve periodo, ma con obiettivi di crescita nel periodo medio-lungo appare come una proposta conservatrice, dirigista, statalista. Evidentemente a costoro sfugge la gravità della crisi energetica italiana e la vulnerabilità del nostro Paese. Una situazione di crisi che è stata aggravata sia dalla adesione dell’Italia alla guerra scatenata contro l’Iraq sia dalla strategia aziendale dell’ENI, che non ha ampliato il gasdotto algerino e non ha potenziato le riserve strategiche di gas, le quali sono state utilizzate sin dallo scorso ottobre (circa il 20% del totale; cfr. L’Espresso 23/2/2006); tutto ciò mentre entravano in funzione oltre 8.000 MW di nuove centrali a gas a ciclo combinato, continuava a diminuire la produzione interna di gas e l’Italia diveniva esportatrice di energia elettrica.

In tempi rapidi il nostro Paese potrebbe attuare un piano di interventi sui biocombustibili, su rifiuti e biomasse e sull’energia eolica. Si tratta di sfruttare opzioni tecnologiche già competitive e di affrontare problemi ambientali molto gravi.

Il potenziamento del trasporto pubblico con mezzi a biocombustibile e la detassazione dei biocombustibili per il consumo privato possono consentire di rilanciare l’agricoltura sul piano energetico e di stimolare la produzione di veicoli innovativi. Questo piano di interventi richiede un coordinamento tra Governo centrale e amministrazioni locali per programmare l’acquisto di veicoli innovativi e va concertato con Confindustria e Confagricoltura in modo da attivare la produzione interna e ridurre al massimo le importazioni dall’estero. Ricordiamo che il biocombustibile genera dal 40 al 70% in meno di CO2 rispetto alla benzina e che nel 1985 Raul Gardini aveva lanciato l’idea di usare le eccedenze agricole per produrre etanolo, un progetto che sarebbe stato competitivo con un prezzo del petrolio di 35/40$. Oggi in Brasile l’etanolo soddisfa circa il 30% della domanda di carburanti.

Il potenziamento del trasporto pubblico deve fondarsi anche su altri tipi di veicoli innovativi – ibridi, elettrici, a idrogeno – deve prevedere l’estensione delle corsie preferenziali per i mezzi pubblici e deve essere sorretto da misure volte a scoraggiare l’uso delle auto private nei centri urbani.

Anche nel settore dei rifiuti lo Stato dovrebbe investire in modo massiccio. Si tratta di promuovere: 1. la raccolta differenziata e la costruzione di impianti per il riciclaggio, 2. la sostituzione delle materie plastiche con prodotti biodegradabili, 3. la costruzione di impianti all’avanguardia tecnologica per sfruttare i rifiuti che non possono essere riciclati. Questo è un punto molto importante perché lasciare i rifiuti in discarica determina l’inquinamento delle falde freatiche. Oggi esistono centrali termoelettriche che utilizzano i rifiuti come combustibile e che hanno un limitato impatto ambientale; per esempio l’impianto di Brescia, che è considerato tra i più avanzati a livello mondiale, ha delle emissioni inquinanti ben al di sotto dei parametri regionali ed europei.

Le biomasse sono da considerare con molta attenzione se si pensa che i consumi di energia primaria da questa fonte toccano punte del 20% in Finlandia e del 15% in Svezia e Austria.

Gli impianti eolici sono competitivi con dei costi di produzione eguali a quelli del gas e del carbone gassificato. Eppure l’Italia possiede solo 1.800 MW di energia eolica mentre la Germania ne ha più di 17.000. Il nostro Paese dovrebbe tra l’altro esplorare la possibilità di costruire centrali in mare dove il vento è più forte e continuo che sulla terraferma; per esempio su piattaforme localizzate in prossimità dei grandi porti che sono anche zone industriali con notevoli consumi di energia elettrica.

Le tecnologie solari, pur avendo bisogno di incentivi, sono in forte espansione anche per il fatto che l’energia solare può alimentare zone non facilmente accessibili. Inoltre, il solare termico è molto economico e riduce i costi del riscaldamento dell’acqua per usi domestici. Anche le acque calde di origine geotermica potrebbero essere sfruttate in misura ben maggiore e sono molto promettenti le turbine che generano energia dal moto ondoso e dalle correnti marine.

Accanto allo sviluppo di nuove tecnologie è assolutamente indispensabile iniziare a ridurre quei consumi energetici artificiali, che vengono indotti dalla nostra società “consumista”. Si tratta cioè di valutare l’utilizzo che si vuol fare dell’energia limitando “per legge” determinati consumi o, meglio, variando le tariffe in modo da scoraggiare inutili sprechi.

In conclusione: a) l’Italia deve oggi considerare una priorità assoluta il puntare sui settori delle fonti alternative e delle tecnologie pulite che stanno avendo una crescita produttiva e finanziaria molto rilevante a livello mondiale, b) la politica energetica deve essere guidata da scelte di carattere strategico che riguardano tutti i settori, dai trasporti alla produzione di beni e servizi alla politica estera. Accordi europei e partecipazioni a reti europee sono a tal fine essenziali.

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