Crisi energetica e transizione verde: realtà, complotto o mercato?

Marco Valente ricorda che la lotta al cambiamento climatico ha sempre incontrato, inizialmente, una forte opposizione e si chiede se la forte crescita del costo internazionale dell’ energia delle ultime settimane - che non sembra giustificata dai fondamentali del settore – possa essere un complotto per contrastare la transizione ecologica nei tempi, se non negli obiettivi. La risposta è: non necessariamente; la causa potrebbero essere le diverse strutture industriali richieste dalle diverse fonti di energia.

Nelle ultime settimane è esplosa quella che sembra la prima avvisaglia di una crisi energetica di dimensioni mondiali. Il prezzo del petrolio è ai livelli più alti degli ultimi sette anni, con effetti disastrosi sul pieno delle automobili. Nel Regno Unito ci sono state code chilometriche alle pompe di benzina con il governo che ha messo in allerta l’esercito, imprese energetiche continuano a fallire per gli alti costi dell’energia ed ora le industrie pesanti minacciano di sospendere la produzione per l’eccessivo costo dell’energia. In India sono iniziati blackout controllati come conseguenza della carenza di elettricità, così come la Cina. Le riserve di gas europee e statunitensi sono insufficienti per garantire un inverno tranquillo.

Ma cosa è successo per produrre questo panico? Sulla carta le condizioni dovrebbero essere ideali per avere una abbondanza di energia a prezzi molto bassi. Quasi tutte le economie mondiali si stanno orientando a produzioni meno inquinanti ed energivore rispetto al passato. La produzione di combustibili fossili è invariata rispetto al periodo pre-covid e la domanda, pur crescendo rapidamente, non è ancora tornata ai livelli pre-pandemia. La crisi logistica mondiale che sta intasando i porti di tutto il mondo frena ulteriormente la produzione (e quindi la domanda di energia) senza avere riflessi sui prodotti energetici che hanno canali distributivi dedicati. Oltre tutto, i mercati finanziari offrono una quantità e varietà enorme di titoli specializzati per i prodotti energetici che, in teoria, dovrebbero prevenire forti variazioni dei prezzi sui mercati reali grazie alla possibilità di stipulare contratti a lungo termine. Non esiste quindi un motivo fondato nell’economia reale che possa giustificare questo shock energetico.

Complotto? Di fronte ad un fenomeno economico inspiegato è forte la tentazione di usare il criterio del cui prodest: chi si avvantaggia di questa condizione? Ovviamente i produttori, come i petro-stati Russia e Arabia Saudita e il settore petrolifero Stati Uniti, notoriamente vicino a posizioni di estrema destra nel panorama politico americano (fratelli Koch, Texas, ecc.). Ma oltre agli ovvi profitti di breve termine c’è anche un altro aspetto. Le leadership politiche dei maggiori paesi si stanno muovendo con decisione verso sistemi produttivi ed energetici green con il progressivo abbandono delle produzioni inquinanti. Questa transizione è una evidente minaccia per gli attori economici che hanno interessi nelle fonti energetiche in via di abbandono. Si può quindi sospettare che ci sia uno sforzo coordinato da parte di questi interessi.

In realtà non è molto rilevante che esista effettivamente un piano esplicito e concordato oppure che sia il risultato spontaneo da parte di interessi diffusi e semplicemente convergenti. Quello che è evidente è l’esistenza di una campagna di informazione i cui effetti, casualmente o meno, consistono nel ridurre il consenso alle misure di contrasto del cambiamento climatico. Queste campagne hanno avuto diverse fasi in cui il messaggio è stato progressivamente modificato.

Fino a pochissimo tempo fa la linea comunicativa dell’opposizione alla transizione era incentrata su due argomenti. In primo luogo si è a lungo sostenuto che il cambiamento climatico non è reale oppure che dipende da fattori naturali indipendenti dalle azioni dell’uomo. In secondo luogo si è sostenuto che non esistono alternative all’uso di combustibili fossili, quindi l’alternativa a carbone, gas e petrolio è di tornare agli stili di vita pre-moderni.

Ora ambedue gli argomenti sono stati sostanzialmente smontati e l’opinione pubblica sembra infine convinta, almeno in larga parte, della necessità della transizione. La conseguenza è un cambiamento di messaggio: non si mette più in discussione la necessità e fattibilità della transizione ma si cerca di espandere enormemente i suoi tempi spaventando i cittadini con gli altissimi costi che, si sostiene, è necessario sopportare per contenere il cambiamento climatico. In questo avere altissimi costi della benzina, blackout, case al freddo ecc. è un potente strumento per seminare dubbi nell’opinione pubblica cercando di convincerla che prendere iniziative “affrettate” sia troppo rischioso, rimandando ad un lontano futuro ogni iniziativa concreta.

Mercati e transizione. In realtà la transizione verde è, appunto, una transizione il cui punto di arrivo non implica affatto costi maggiori per l’utente. A regime, e limitandosi a considerare solamente le attuali tecnologie, è infatti possibile progettare un sistema energetico composto da produzioni rinnovabili (idroelettrico, solare ed eolico) distribuite sul territorio con grandi sistemi di batterie per la gestione delle variazioni rapide e poche centrali per la produzione residuale. Il costo operativo dell’energia di un tale sistema sarebbe minuscolo, richiedendo solamente l’installazione e la manutenzione delle strutture senza costi di materiali. E’ inoltre altamente probabile che una delle tante nuove tecnologie in fase di sperimentazione avanzata riduca ancora di più l’efficienza di tali sistemi. Ad esempio esistono già batterie estremamente più capienti (vedere inoltre qui e qui) e sistemi di trasmissione elettrica a corrente continua con dispersioni infinitesimali rispetto a quelle attuali a corrente alternata. Non è affatto vero quindi che la eliminazione della maggior parte dei combustibili fossili richieda costi e sacrifici come molti insistono a far credere. Che non sia necessario, però, ovviamente non vuol dire che non si possano artificialmente introdurre ostacoli e extra costi, dipende da chi controlla le modalità operative della transizione dal vecchio sistema al nuovo.

L’esistenza di complotti segreti per portare avanti nefasti progetti mondiali è, per definizione, non dimostrabile. Ma a prescindere dalla plausibilità o meno di un complotto a difesa del sistema energetico fossile è però facile vedere che esiste una oggettiva difficoltà alla transizione dovuta alla struttura organizzativa dei mercati energetici attuali.

La tecnologia basata sulla produzione energetica da fonti fossili richiede grandi infrastrutture centralizzate (pozzi e miniere, raffinerie, oleodotti, centrali elettriche, ecc.) i cui gestori sono necessariamente grandi imprese che, al di là di eventuali eccessi di avidità dei loro dirigenti, sono istituzione economiche che devono perseguire i propri interessi. In un sistema energetico rinnovabile queste imprese vedranno il valore del proprio capitale precipitare a zero (stranded assets) e, nell’attesa, non avranno alcun incentivo a investire in manutenzione o altre spese necessarie alla gestione corrente che sarebbero comunque necessarie per il periodo di costruzione delle infrastrutture alla base del sistema energetico da fonti rinnovabili. Non è neanche possibile immaginare che le stesse imprese operanti nel settore dell’energia fossile si spostino nell’energia rinnovabile. A prescindere da evidenti problemi di cultura e esperienza tecnologica, infatti, il nuovo sistema economico non potrà essere composto da poche grandi imprese centralizzate perché la tecnologia richiederà un sistema produttivo diffuso sul territorio con tante imprese collegate tra di loro da un sistema di governo “leggero” che si limiterà a stabilire norme di interconnessione. Ci troviamo quindi con un sistema produttivo centralizzato ed internazionale con grande (anche se in calo) rilevanza finanziaria che dovrà essere sostituito da un sistema composto da tante piccole imprese necessariamente legate al territorio. Il conflitto è quindi non tanto per il tipo di tecnologia usata per la produzione di energia ma, soprattutto, tra due diverse forme di organizzazione economica implicata dalle diverse tecnologie.

La soluzione. In conclusione, che vi sia o no un complotto è irrilevante, perché la struttura economica attuale produce inevitabilmente gli effetti equivalenti a quelli di un complotto perché il sistema economico attuale non può fare altro che cercare di perpetuare sé stesso. Così facendo, senza interventi esterni all’economia, la transizione non potrà che essere costosissima richiedendo il fallimento delle infrastrutture attuali prima della ricostruzione di quelle nuove. Il modo di evitare una lunga fase dolorosa di transizione è di agire attraverso un attore non finalizzato al profitto immediato e in grado di pianificare a lungo termine, cioè un’entità pubblica. Questo attore deve sobbarcarsi il costo di uscita “dolce” dalle tecnologie fossili fornendo le risorse di investimento necessarie al sistema per continuare a lavorare finché necessario, risorse che i mercati finanziari non vorranno fornire a causa della prospettiva certa di fallimento degli investimenti richiesti.

Allo stesso tempo l’attore pubblico dovrà finanziare e regolamentare la crescita del nuovo sistema che attori privati orientati al profitto sosterranno solo parzialmente a causa delle incertezze tecnologiche e normative che impediscono la pianificazione necessaria per grandi investimenti. Questi investimenti iniziali non saranno, alla fine, dei finanziamenti a fondo perduto perché i costi gestionali bassi del nuovo sistema energetico permetteranno facilmente di imporre delle imposte temporanee senza alzare il costo finale dell’energia, con le quali l’attore pubblico potrà rientrare dei costi sostenuti.

Ovviamente, per quanto lineare ed evidente, per portare avanti un progetto del genere è necessaria una volontà politica e capacità gestionali che negli ultimi decenni i sistemi pubblici non hanno mai voluto assumere. Questo è un problema che riguarda non solo la transizione verde ma la stessa possibilità di mantenere un sistema economico moderno che, nonostante la propaganda economica liberista, richiede necessariamente un importante ruolo per lo stato per guidare lo sviluppo economico a verso la sostenibilità ambientale e sociale a lungo termine. La risposta dell’Unione Europea e del governo alla crisi indotta dalla pandemia vanno in questa direzione; è necessario che si riconosca il ruolo trainante delle politiche pubbliche non solo per gestire le crisi ma anche per garantire la sostenibilità economica, ambientale e sociale del sistema paese.

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