Crisi economica e non sistema monetario

Negli ultimi anni la globalizzazione, associata ad un rapido progresso tecnologico, ha allargato le dimensioni del mercato e ridotto i confini economici tra gli stati nazionali, ma le decisioni di politica economica rimangono appannaggio dei singoli governi. L’attuale crisi finanziaria rappresenta un ottimo esempio degli effetti sulla vita di ciascuno di noi della discrepanza tra ampiezza del mercato e dimensione politica.

In una precedente analisi, apparsa su queste stesse pagine, abbiamo considerato il ruolo giocato dalle regolamentazioni finanziarie nazionali nel generare e propagare la crisi dei mutui subprime a livello internazionale. Il presente articolo è centrato sul funzionamento dell’attuale sistema monetario internazionale e mostra come la discrepanza tra confini economici e politici sia alla base delle determinanti macroeconomiche della crisi.

 

I sintomi macroeconomici della crisi economica

Nel corso degli ultimi decenni i sintomi macroeconomici della crisi sono apparsi evidenti a più riprese. L’instabilità si è manifestata sotto diverse forme, con tassi di cambio altamente volatili e crisi finanziarie e valutarie di diversa natura. Dagli anni Settanta e per il trentennio successivo, il mondo è stato caratterizzato da un marcato ciclo del dollaro con pesanti conseguenze sull’economia reale e da frequenti crisi finanziarie dovute a grandi ed improvvise fughe di capitali (Messico, Sud-Est Asiatico, Russia, Argentina).

Dalla fine degli anni Novanta, a questi fenomeni si è aggiunta la creazione di squilibri internazionali  caratterizzati da ampi e prolungati deficit della bilancia dei pagamenti in Paesi avanzati, principalmente negli USA, e altrettanto ampi e persistenti surplus in economie in via di sviluppo. L’eccesso di risparmio a livello globale ha determinato tassi d’interesse reali molto bassi, facilitando l’accesso al credito e creando i presupposti macroeconomici per la crisi dei mutui subprime.

 

Cause istituzionali e sintomi macroeconomici

L’attuale sistema monetario, nato dalle ceneri di Bretton Woods agli inizi degli  anni Settanta, si basa su tre elementi:  la centralità del dollaro come valuta di riserva internazionale, regimi di cambio liberamente scelti dai singoli paesi in base ai propri obiettivi di politica macroeconomica, e la libertà di movimenti internazionali di capitali, prima limitata ai paesi avanzati e poi progressivamente estesa ai paesi in via di sviluppo. Le ultime due caratteristiche implicano l’assenza di regole formali di gestione della politica monetaria internazionale, tanto che molti economisti hanno definito l’attuale sistema  un non-sistema monetario.  

Qual è il legame tra i sintomi macroeconomici della crisi e il non-sistema?

Verso la fine degli anni Sessanta, Robert Triffin aveva individuato nella discrepanza tra l’ampiezza transnazionale del mercato e la dimensione nazionale della politica economica il problema fondamentale del sistema monetario internazionale. Un sistema che si basa in forma crescente sul ruolo centrale di una moneta nazionale come valuta di riserva è destinato ad entrare in crisi. L’essenza del “dilemma di Triffin” è che la moneta di riserva è un bene pubblico globale, ma è di fatto offerta da un singolo stato che ne decide la quantità prevalentemente in base ad esigenze domestiche. Questo può portare ad un eccesso o ad una insufficienza di liquidità a livello mondiale, con inevitabili conseguenze per l’economia reale.

Gli altri due elementi dell’attuale non-sistema (l’assenza di regole sui regimi di cambio e la rimozione dei controlli ai movimenti di capitali) hanno funzionato come cassa di risonanza dei problemi derivanti dal doppio ruolo -di moneta nazionale e di riserva internazionale- giocato dal dollaro. L’accumulazione di grandi quantità di riserve internazionali è motivata, almeno in parte, dal timore dei paesi in via di sviluppo di trovarsi a fronteggiare sudden stops, ossia fughe impreviste dei capitali stranieri. Non vi è solo il timore di attacchi speculativi nei confronti della valuta domestica, ma una più generale paura a lasciare il cambio libero di fluttuare rispetto al dollaro, la cosiddetta fear of floating, derivante dall’incapacità di prendere a prestito nella propria valuta, dalla mancanza di credibilità della propria politica monetaria e dalla volontà di limitare gli effetti inflattivi dovuti a fluttuazioni dei tassi di cambio. Il risultato è che la maggior parte delle economie emergenti di fatto importa la politica monetaria americana.

In altri termini, la politica monetaria del Paese che offre la valuta di riserva internazionale si trova ad affrontare due ordini di problemi che il presente non-sistema non può risolvere. Primo, gli incentivi ad un riequilibrio dei disavanzi della bilancia di pagamenti del Paese al centro del sistema sono indeboliti dalla crescente domanda di valuta di riserva dei Paesi in via di sviluppo. Secondo, la politica monetaria del Paese ancora, scelta inevitabilmente sulla base di obiettivi domestici, diventa una politica mondiale per via dell’ancoraggio alla valuta di riserva  da parte delle economie  emergenti.

 

Proposte di riforma del non-sistema

In un discorso del marzo 2009, Zhou Xiaochuan, il governatore della Banca di Cina, ha di fatto aperto il dibattito sulla riforma del sistema monetario internazionale. Le attuali proposte hanno come obiettivo quello di “internazionalizzare” il ruolo di valuta di riserva del dollaro e di mantenere la libertà di circolazione dei capitali. In sostanza, si tratta di preservare l’apertura dei mercati ed allo stesso tempo di intensificare la cooperazione internazionale o di creare strumenti per una politica macroeconomica sovranazionale.

Le alternative attualmente discusse sono tre e richiedono un diverso (e crescente) grado di cooperazione e di riforma delle istituzioni esistenti. 1. Una competizione tra le principali monete nazionali (dollaro, euro, yuan) come valuta di riserva internazionale; 2. La trasformazione degli Special Drawing Rights (SDR), cioè i diritti speciali di prelievo del Fondo Monetario Internazionale, in valuta di riserva; 3. La creazione di una valuta di riserva globale emessa da un’istituzione monetaria internazionale (una rivisitazione del Bancor pensato da Keynes negli anni Quaranta). Determinante ai fini della realizzazione di una qualsiasi delle tre proposte sarà la capacità di sviluppare prodotti finanziari ad elevata liquidità e denominati nella nuova valuta di riserva tali da competere con quelli attualmente espressi in dollari.

Non è questa la sede per valutare i meriti ed i limiti di queste proposte. Ci limitiamo ad osservare che i problemi di politica macroeconomica hanno qualcosa in comune con quelli della regolamentazione dei sistemi finanziari che abbiamo discusso nel nostro intervento precedente. In entrambi i casi la radice del problema è la discrepanza tra ampiezza del mercato e della sfera politica. Trovare delle soluzioni richiede una riflessione su come colmare questo gap.

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