Covid-19 e strategia nazionale per le aree interne

Luca Di Salvatore esamina l’impatto del Covid-19 sulla strategia nazionale per le aree interne (SNAI). Dopo aver illustrato il dibattito sulle aree interne sorto nel mezzo dell’emergenza coronavirus, Di Salvatore si sofferma sulle azioni da intraprendere e sulle strategie da adottare per rigenerare i territori marginali e periferici del nostro Paese, affinché questi ultimi possano proporsi concretamente quali luoghi in cui rifugiarsi in epoca di “distanziamento sociale” e in cui progettare una vita futura.

Il dibattito sulle aree interne ai tempi del coronavirus. La crisi sanitaria, economica e sociale determinata dal Covid-19 ha rilanciato il tema delle aree interne e montane del nostro Paese, già oggetto in anni recenti di una crescente attenzione sfociata nella predisposizione di una apposita strategia nazionale (SNAI).

Il dibattito sulle aree interne e sul rapporto tra queste e le aree urbane è stato aperto, nel mezzo dell’emergenza coronavirus, da alcuni esponenti di spicco dell’architettura italiana, i quali hanno segnalato che il distanziamento sociale, destinato a mantenersi con strascichi ed effetti di medio-lungo termine, potrebbe far rivivere i vecchi borghi abbandonati dell’Italia alpina e appenninica. Si è parlato, a tal proposito, di far “adottare” i borghi delle aree interne dalle città metropolitane, si è detto che il futuro del Paese è nei territori di margine e non più nelle aree urbanizzate, si è provato a immaginare un nuovo modo di abitare la casa post Covid (M. Fuksas, in la Repubblica, 18 aprile 2020; S. Boeri, in la Repubblica, 20 aprile 2020; M. Raitano e A. Fiorelli, in Menabò, n. 136/2020).

Coloro che da sempre si occupano dei problemi delle aree interne e si battono per una rigenerazione di tali territori (studiosi tout court, ma anche enti e associazioni) se da un lato hanno accolto lusingati l’attenzione e l’interesse mostrati dagli illustri architetti e urbanisti per i piccoli borghi, siano quelli artistici o quelli delle comunità montane, dall’altro lato hanno evidenziato un errore di fondo nel wishful thinking che attraversa questi interventi. Il tema non è la contrapposizione tra città e montagna o tra “centri” e “periferie”. Non è corretto parlare di città metropolitane che “aiutano” le aree interne e montane, «come se queste fossero gusci vuoti, privi di comunità, progettualità, desideri, dotati solamente di patrimoni naturali e storici» (A. De Rossi, L. Mascino, in agcult.it, 1° maggio 2020). Sul punto si tornerà in seguito.

Non vi è dubbio che la pandemia costituisca un’opportunità per accelerare la rinascita delle “terre d’osso”, lontane dalla “polpa” rappresentata dai territori di sviluppo economico e sociale. La bassa densità abitativa e produttiva, la grande disponibilità di spazio, la qualità ambientale di tali territori potrebbero rivelarsi degli attrattori straordinari in epoca di “distanziamento sociale”. Ma ci sono le condizioni perché ciò possa verificarsi? Quali sono le azioni da intraprendere per riattivare gli spazi marginali e periferici? Cosa ci insegna la pandemia?

Per tentare di fornire una risposta a tali questioni è necessario soffermarsi sulle politiche dedicate alle aree interne.

La strategia nazionale per le aree interne (SNAI). Le aree interne sono quelle aree significativamente distanti dai centri di offerta dei servizi essenziali (istruzione, salute, mobilità), risultanti dalla somma tra aree intermedie, aree periferiche e aree ultra-periferiche, che rappresentano il 53% circa dei Comuni italiani (4.261), ospitano il 23% della popolazione (pari a oltre 13.5 milioni di abitanti) e occupano una porzione del territorio che supera il 60% della superficie nazionale. Si tratta di territori caratterizzati da condizioni di svantaggio infrastrutturale e socio-economico, ma nel contempo ricchi di importanti risorse ambientali e culturali.

Le “terre d’osso” hanno subìto gradualmente, a partire dai primi anni Cinquanta del secolo scorso, un processo di marginalizzazione segnato, in particolare, dal calo della popolazione, dalla riduzione dell’occupazione e dell’utilizzo del territorio, dal degrado del patrimonio culturale e paesaggistico. Per decenni, pertanto, le aree interne sono state considerate solo come zone marginali e difficili, luoghi segnati dallo spopolamento e dalla rarefazione produttiva, territori nei quali intervenire secondo logiche assistenziali, piuttosto che mediante precise strategie di programmazione.

Sul piano politico, la fase attuale è contrassegnata dalla strategia nazionale per le aree interne (SNAI, 2014), la quale si propone di superare le precedenti logiche redistributive tradizionali per individuare un nuovo modello di intervento tramite politiche place-based di coesione territoriale. L’obiettivo è quello di contrastare i problemi demografici e rilanciare le aree interne, a partire dal miglioramento della quantità e qualità dei servizi essenziali al riassetto istituzionale, alla tutela attiva del territorio, alla valorizzazione delle risorse naturali e culturali, alla rinascita delle filiere produttive locali.

La SNAI ha selezionato 72 aree per partecipare alla sperimentazione nazionale e realizzare in concreto la strategia. In ciascuna di esse sono state coinvolte Regioni, Comuni e popolazioni locali al fine di individuare gli interventi più idonei in considerazione delle specificità dei territori e dare spinta alle dinamiche positive in atto.

In assoluta sinergia con gli obiettivi indicati dalla SNAI si pone la l. 8 ottobre 2017, n. 158 (c.d. legge sui piccoli Comuni), che ha inquadrato il fenomeno dello spopolamento delle aree interne nell’ambito di una strategia di rigenerazione dei piccoli Comuni. Così come per la SNAI, anche nel caso del piano sui piccoli centri l’impulso viene dall’alto e funge da stimolo per l’attivazione di iniziative da parte delle comunità locali.

La rigenerazione delle aree interne: l’adeguamento dei servizi essenziali, lo sviluppo di strategie economiche, il superamento del digital divide. Per raggiungere gli obiettivi indicati dalla strategia nazionale è indispensabile, in primis, l’adeguamento e lo sviluppo dei servizi essenziali di salute, mobilità e istruzione. La scarsa accessibilità ai servizi di base riduce infatti il benessere della popolazione locale e rende poco appetibili tali territori per i nuovi potenziali residenti.

In particolare, quanto al tema “salute”, occorre accrescere il numero e la qualità dei presidi sanitari territoriali, ridurre i tempi di arrivo del primo soccorso, promuovere servizi di assistenza domiciliare. Tante sono le best practices sperimentate nelle aree-pilota selezionate dalla SNAI (introduzione di figure professionali innovative come l’infermiere o l’ostetrica di comunità, la predisposizione di strumenti di telemedicina, ecc.). Esperienze queste di fondamentale importanza per fronteggiare la pandemia in territori distanti da presidi sanitari.

La rigenerazione delle zone interne e marginali richiede, inoltre, la predisposizione di strategie di sviluppo economico e il superamento del digital divide.

Sul piano economico, una delle strade indicate dalla SNAI per lo sviluppo delle aree interne è quella del partenariato tra le imprese (in primis, tra quelle del settore primario). La collaborazione tra i diversi operatori economici è ritenuta fondamentale per sfruttare al meglio il potenziale produttivo del patrimonio agricolo-forestale, con ricadute positive sia in termini di redditività netta della terra sia sul versante occupazionale.

L’individuazione di modelli imprenditoriali innovativi (si pensi, ad esempio, alle reti di imprese) può fornire il giusto slancio all’economia di quei territori che negli ultimi decenni hanno subìto in maniera massiccia i fenomeni di abbandono delle terre e delle piccole imprese tradizionali. Numerosi sono i contratti di rete stipulati tra imprese (agricole e non solo) localizzate nelle aree interne. Si pensi, ad esempio, alla rete “Rete Imprese Forestali e Legnami BOSC.A.T. (Boschi dell’Alto Tagliamento)”, sottoscritta da imprese situate nell’area di intervento della SNAI “Friuli Venezia Giulia – Alta Carnia”, alla rete “GustoSardegna” (Area “Sardegna – Gennargentu-Mandrolisai”) operante nel settore agro-alimentare, alla rete “Pratotrade” (Area “Toscana – Valdarno e Valdisieve, Mugello e Valbisenzio”) operante nel settore attività manifatturiere-industrie tessili.

Altro settore coinvolto nella strategia di sviluppo economico delle aree interne, peraltro alla ribalta dopo la diffusione dell’agente biologico Covid-19, è quello del turismo. È necessario puntare ad accrescere, mediante interventi e azioni mirate, il numero di presenze turistiche e di visitatori dei ricchi patrimoni naturali e culturali presenti in tali territori. Un turismo naturalistico, sostenibile, inteso come partecipazione alla vita della comunità. Lo scoppio della pandemia ha reso le aree interne più appetibili anche per il turismo. La natura, lo slow tourism, i luoghi poco affollati possono contribuire a valorizzare i borghi e le mete dell’entroterra, oltre a costituire la soluzione per rilanciare il settore in tempi di distanziamento sociale.

Inoltre, affinché le aree interne possano proporsi come risorsa, è necessario recuperare il divario digitale di tali territori.

Sono almeno 8 milioni gli abitanti di piccoli Comuni che non hanno pressoché accesso alla rete telematica (F. Tantillo, in N. Fenu (a cura di), Aree interne e covid, 2020) e non sono pochi i ritardi legati all’attuazione del Piano strategico nazionale a sostegno dello sviluppo della banda ultralarga, approvato nel 2015, che dovrebbe consentire di cablare i territori montani e le c.d. aree bianche (quelle che le imprese private non coprono perché non sono redditizie). Il Piano avrebbe dovuto essere attuato fino all’80% entro il 2020 ma, a oggi, solo pochissimi Comuni sono stati collaudati. Il superamento del gap digitale è forse uno dei temi più rilevanti che ci pone la crisi attuale.

Quali lezioni dal Covid-19? La pandemia costituisce un’occasione unica per dare nuova linfa ai territori interni e montani. I borghi del nostro Paese sono i luoghi della lentezza e del silenzio, dell’agricoltura di qualità, dell’aria pulita, dell’acqua pura, della tutela della biodiversità, del turismo sostenibile, del paesaggio sospeso tra città e campagna, tra mare ed entroterra. Sono i luoghi ideali in cui rifugiarsi durante l’emergenza coronavirus e in cui progettare una vita futura.

Affinché l’opportunità diventi concreta è necessario dare alle aree marginali una nuova centralità nelle politiche e nel pensiero dei cittadini. La situazione di emergenza che stiamo vivendo ha aperto gli spazi per un importante intervento pubblico che ridefinisca e assuma il tema dei territori in modo attivo.

Innanzitutto, occorre rigenerare la strategia nazionale per le aree interne. La SNAI va ripensata e resa più incisiva, ma deve rimanere una priorità. Le esperienze e le pratiche sinora intraprese nelle aree-pilota dimostrano che è efficace puntare e investire sulla capacità locale di reazione, e che si può lavorare per costruire “fuochi” capaci di agire da acceleratori dello sviluppo economico e sociale dei territori (G. Carrosio et al., in pandorarivista.it, 18 aprile 2020) . È compito della politica consolidare questa modalità di coinvolgimento dei cittadini e delle istituzioni, rivelatasi vincente anche ai tempi del coronavirus.

Per rafforzare le misure già in campo e per rendere possibili nuove sperimentazioni è indispensabile intervenire sul digital divide. La presa in carico di pazienti, i servizi di comunità, ma soprattutto la telemedicina, la didattica a distanza, il telelavoro, lo smart working necessitano di infrastrutture immateriali come la rete telematica. È auspicabile una netta accelerazione della strategia governativa che mira a portare la banda ultralarga in 6.500 piccoli centri.

Si chiede, inoltre, l’attuazione della c.d. legge sui piccoli Comuni. Dopo più di tre anni dalla sua entrata in vigore non sono stati ancora emanati i decreti legislativi attuativi. Eppure, i contenuti e i principi fissati nella l. n. 158/2017 consentirebbero di valorizzare quei piccoli luoghi, testimonianza di storia, di cultura, di identità e di tradizioni, attraverso un’alleanza tra Sindaci, Regioni e comunità locali.

Al di là di politiche stricto sensu dedicate alle zone interne e marginali, per un autentico rilancio delle terre lontane dalla “polpa” occorre superare la logica oppositiva rispetto alle città. Bisogna uscire da letture dicotomiche che contrappongono la città alla non città. Serve una nuova visione “metro-montana”, “metro-rurale”, fondata sulla valorizzazione del policentrismo in chiave interdipendente e sulla cooperazione tra i diversi sistemi territoriali (F. Barbera, in che-fare.com, 2020; A. De Rossi (a cura di), Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste, 2018). In questo modo si aprono molte opportunità. Si pensi, ad esempio, alla costituzione di filiere metro-montane che attraverso la messa a valore delle comunità e degli assets delle aree interne rispondono ai bisogni delle città (dalle energie alle politiche sociali, ma anche agricoltura sociale, doppia residenzialità). La chiave di lettura è unire, non dividere.

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