Covid-19 e istituti speciali di sostegno al reddito

Michele Faioli si occupa degli istituti di sostegno al reddito previsti per i lavoratori subordinati nella fase di crisi pandemica. Faioli richiama l’attenzione su alcune criticità applicative di tali istituti, tra cui in particolare quelle riferite ai fondi di solidarietà bilaterali. L’autore indica infine, anche in una prospettiva europea, alcune auspicabili riforme del sistema degli ammortizzatori sociali.

La pandemia sta generando un rischio di disoccupazione che non è stato contemplato né dal nostro né da altri ordinamenti di sicurezza sociale. In caso di pandemia, infatti, la disoccupazione non è né frizionale né congiunturale, ma è generalizzata perché indotta da provvedimenti pubblici di salvaguardia della salute collettiva che, imponendo una sospensione dell’attività di impresa, vietano ai lavoratori e ai datori di lavoro di operare. La pandemia non è, dunque, annoverabile tra gli eventi che normalmente sono il presupposto degli schemi di sostegno al reddito per riduzione dell’orario di lavoro o di sospensione temporanea delle attività di impresa. Dalla pandemia non discende una crisi di settore o territoriale, ma una crisi intersettoriale e del paese intero che non è controllabile, anzi si amplifica in ragione di condizioni di vario genere, anche esse non del tutto controllabili, sino a divenire europea, poi occidentale, infine globale.

Questo è il problema vero con cui si confronta la decretazione di urgenza in materia di sostegno al reddito per Covid-19. Il resto è fatto di dettagli, in alcuni casi di errori, in altri di prove. Il d.l. n. 18/2020 (sub l. conv. n. 27/2020, la quale ha assorbito anche parti di disciplina del d.l n. 9/2020 ed è in fase di aggiornamento in relazione al d.l. 34/2020 – cd. decreto Rilancio) ha strutturato istituti speciali di sostegno al reddito che, seppur inseriti nell’architettura più ampia del d.lgs. n. 148/2015, sono dotati di un proprio assetto procedimentale e causale, di una propria voce di finanziamento che è riferibile alla fiscalità generale (non più al rapporto contributivo), di un sistema di erogazione peculiare delle prestazioni. Sono istituti che gestiscono il contingente, cioè il rischio di disoccupazione a causa della sospensione imposta alle imprese per pandemia. Anche l’efficacia temporale limitata al solo periodo febbraio–autunno 2020 dimostra che si tratta di istituti che rispondono alla crisi di oggi, non a quella di domani. Alla crisi di domani si potrà rispondere, in modo più efficace, con gli strumenti che l’Unione Europea metterà in campo. Il quadro che ne deriva è complesso. Da una parte, restano immodificati gli istituti di sostegno al reddito, che qui chiamiamo “tradizionali”, di cui al d.lgs. n. 148/2015 (Cigo, Cigs, fondi bilaterali di solidarietà). Dall’altra, seppur parzialmente inseriti nella disciplina tradizionale, ci sono gli istituti speciali del d.l. n. 18/2020 che qui definiamo nel seguente modo: gli istituti di cui all’art. 19 riferiti alle integrazioni ordinarie (Cigo Covid-19 e assegno ordinario Covid-19 erogato mediante fondi di solidarietà); gli istituti di cui all’art. 20 collegati alla integrazione straordinaria che viene sostituita dalla speciale Cigo Covid-19 (qui “Cigo Covid-19 post Cigs”) e di cui all’art. 21 relativo all’assegno ordinario speciale Covid-19 erogato dai fondi di solidarietà che sostituisce l’assegno di solidarietà (“Fis/assegno ordinario Covid-19 post Fis/assegno di solidarietà”); l’istituto di cui all’art. 22 che ripristina la cassa in deroga (“Cigd Covid-19”).

Vale la pena di soffermarsi su alcuni elementi utili per una prima ricostruzione teorica di tali istituti speciali. In primo luogo, si deve notare la de-burocratizzazione amministrativa e una speciale, ahimè non consolidata, regolazione della fase informativo-consultiva con le organizzazioni sindacali. In secondo luogo, si può osservare il nesso tra istituti speciali e bilateralità tipizzata per il sostegno al reddito.

Il primo elemento denota l’intera operazione di emergenza. Il disegno normativo si comprende se si analizza, in controluce, il d.lgs. n. 148/2015 con il d.l. n. 18/2020, pre e post conversione con l. n. 27/2020. L’intento di de-burocratizzare i procedimenti che normalmente sono effettuati nell’ambito del d.lgs. n. 148/2015 si realizza nella volontà del legislatore del 2020 di dispensare, parzialmente, il datore di lavoro dall’applicazione dei procedimenti di informazione e consultazione sindacale e dal procedimento amministrativo relativo alla presentazione della domanda Cigo e dalla domanda di assegno ordinario. Nel d.l. n. 18/2020, pre-conversione, c’era una certa incongruenza pratico-operativa su questo punto, poi malamente risolta nella fase di conversione: alla dispensa dall’obbligo generale di informazione e consultazione si abbinava l’obbligo specifico di informazione, consultazione e esame congiunto, da svolgere in tre giorni telematicamente. Tale salvaguardia (minimale) delle posizioni sindacali a livello aziendale, operata mediante la norma sullo scambio digitale di informazioni, con consultazione ed eventuale esame congiunto, in tempi più brevi di quelli normali, denotava una certa attenzione da parte del legislatore del marzo 2020 rispetto al coinvolgimento delle rappresentanze dei lavoratori. Nella legge di conversione di aprile 2020 è stato eliminato il richiamo allo svolgimento del procedimento sindacale. Ciò determina un detrimento serio del nostro sistema di relazioni industriali applicato alla crisi temporanea di impresa. Sarebbe stato molto più opportuno – nella logica della necessaria semplificazione e di bilanciamento degli interessi contrapposti – creare nuove forme digitali di scambio ed esame congiunto, supportate adeguatamente da piattaforme messe a disposizione della pubblica amministrazione competente, anche al fine di evitare il possibile rischio di interventi “cammeo” del sindacato. Sarebbe stata, anzi, l’occasione per innovare, provare e ipotizzare nuove modalità di svolgimento del procedimento sindacale, con un valore certamente indicativo per il prossimo futuro, di cui nessuno sa pienamente la direzione.

C’è, inoltre, una specie di collegamento tra de-burocratizzazione e alcune discipline protettive, tra cui la sospensione delle misure di condizionalità, la disapplicazione di alcuni limiti in materia di lavoro a tempo determinato, l’inibizione del potere di licenziamento, e l’imposizione delle ferie maturate pre-accesso alle integrazioni salariali. In particolare, nel periodo di efficacia della regolazione Covid-19, ex art. 40, co. 1, d.l. n. 18/2020, si può accedere alle misure di sostegno al reddito tradizionali e speciali limitando gli obblighi di ricerca attiva del lavoro all’ambito del comune di riferimento. Il che è giustificabile sulla base della limitata libertà di mobilità geografica imposta dalla situazione pandemica e dalla relativa regolazione. Nella legge di conversione n. 27/2020 (v. il co. 2, dell’art. 40), è stato opportunamente specificato che resta immutato l’obbligo di formazione (anche da remoto) attinente al sistema della condizionalità. Nel medesimo periodo di efficacia normativa, ex art. 19-bis, d.l. n. 18/2020, il datore di lavoro può assumere a tempo determinato senza conformarsi ad alcuni divieti (divieto di assunzione se è in corso una cassa integrazione e nei periodi cuscinetto in caso di rinnovo di un contratto a termine) e, in base all’art. 46 d.l. n. 18/2020, il datore di lavoro – che abbia avviato un procedimento di licenziamento collettivo – è tenuto fare istanza di accesso agli istituti speciali Covid-19 di sostegno al reddito. Ciò determina un doppio effetto: da una parte, si sospendono i procedimenti ex artt. 4 e 24, l. n. 223/1991 e, dall’altra, si inibisce il relativo potere di licenziamento.

Osserviamo ora il secondo elemento, relativo alla relazione fra istituti speciali e fondi di solidarietà bilaterali. È il punto più interessante da sottolineare per dimostrare la continuità tra istituti tradizionali e istituti speciali Covid-19 di sostegno al reddito. Il legislatore non ha introdotto un meccanismo di cassa in deroga generalizzato e sostitutivo del sistema di cui al d.lgs. n. 148/2015, anzi lo ha valorizzato, creando un collegamento stretto tra istituti tradizionali e istituti speciali.

In questa logica, per i due fondi bilaterali alternativi, Fsba e Formatemp, è stata predisposta nell’art. 19, co. 6, d.l. n. 18/2020 una voce di bilancio ad hoc, distinta da quella generale per Cigo Covid-19 e assegno ordinario Covid-19 erogato mediante il Fis (fondo di integrazione salariale). Il che determina l’impossibilità per i datori di lavoro vincolati a tali fondi bilaterali alternativi, al pari di quelli assoggettati al regime Cigo Covid-19 e assegno ordinario Covid-19, di far uso della cassa in deroga (Cigd) di cui all’art. 22. Ciò è ampiamente confermato dagli accordi-quadro regionali già negoziati.

Il legislatore ha stabilito una voce ad hoc di bilancio per gli istituti speciali ex d.l. n. 18/2020, nell’ambito delle discipline degli istituti tradizionali di sostegno al reddito ex d.lgs. n. 148/2015. Il che comporta una conseguenza diretta: i datori di lavoro, normalmente assoggettati ai fondi di solidarietà alternativi, sono obbligati a rivolgersi a essi, nell’attuale modalità de-burocratizzata, e non alla Cigd. Alcuni avrebbero voluto farlo per una serie di ragioni. Tuttavia, il vincolo al fondo di solidarietà alternativo dipende dall’inquadramento per i fini previdenziali (l. n. 88/1989), non dal contratto collettivo applicato. Ciò significa che l’adempimento contributivo a favore del fondo di solidarietà alternativo non è oggetto di un potere di opzione: il datore di lavoro (agenzia di somministrazione per Formatemp; artigiano per Fsba) è tenuto a adempiere la contribuzione perché la norma di legge così prevede. C’è già un contenzioso in atto sul punto (v. Tar Lazio, del 19 aprile 2020 e del 24 maggio 2020, inedite). Il tutto nasce dalla circolare Inps 28 marzo 2020, n. 47, ove si chiarisce che «non rileva se l’azienda [artigiana] sia in regola con il versamento della contribuzione al Fondo». Il che ha creato qualche fraintendimento e qualche atteggiamento opportunistico. Il contenzioso muove da un ricorso di un datore di lavoro artigiano inadempiente, il quale, non potendo accedere alla Cigd, data l’indicazione degli accordi-quadro e della norma di legge, ha chiesto al Tar Lazio di accedere a Fsba senza dover regolarizzare la relativa posizione contributiva. Il Tar Lazio ha accolto parzialmente la richiesta, dando la possibilità di iscriversi al sistema digitale Fsba per richiedere la prestazione a favore dei lavoratori, ma nel contempo non ha assolutamente autorizzato il datore di lavoro ricorrente a non pagare il dovuto. Si tenga in considerazione che Fsba, già dal 1° aprile 2020, consente ai datori di lavoro artigiani, non in regola con la contribuzione obbligatoria per legge, di presentare istanza per l’accesso alle prestazioni Covid-19. Il provvedimento del Tar non ha mutato, dunque, in alcun modo lo stato delle cose.

In conclusione, possiamo affermare che la vera sfida che abbiamo davanti è quella di ricostruire. Il sostegno al reddito di cui al d.l. n. 18/2020 è finalizzato a gestire i problemi di breve periodo. I problemi più importanti, tuttavia, verranno nella fase post-emergenziale, quella di medio e lungo periodo. L’intervento europeo, in questa prospettiva, è fondamentale per gestire l’immediato e iniziare a programmare le soluzioni per cosa troveremo nella fase post-emergenziale nella manifattura, nella logistica, nel terziario, nell’agro-alimentare, etc. Nessuno oggi può prevedere cosa ci sarà dopo e come sarà il mercato del lavoro. La fase attuale determinerà, da una parte, la crisi di imprese già vulnerabili, perché deboli e fiaccate da altre precedenti situazioni e, dall’altra, con buona probabilità, la crisi di istituzioni che sono chiamate a regolare il mercato del lavoro, nella dinamica attiva e passiva, secondo modelli non più adeguati ai tempi.

Chi era già sul precipizio sarà spazzato via e il sistema imprenditoriale non sarà più lo stesso, con effetti significativi, di medio-lungo periodo, sul mercato del lavoro.

In questo scenario, l’Europa gioca un ruolo importante. Ci sono spazi normativi per l’attuazione di politiche sociali, tra cui la più urgente è quella dello Sure (schema europeo di sostegno finanziario ai sistemi nazionali) e, in prospettiva, dell’Eubs (indennità europea di disoccupazione). C’è una certa consapevolezza sul fatto che i sistemi nazionali di sicurezza sociale non solo non possono gestire rischi generalizzati di disoccupazione come quelli richiamati in questo contributo, ma forse non dovrebbero proprio farlo. Covid19 ci sta insegnando che i rischi di disoccupazione generalizzata debbono avere una struttura finanziaria che ha come base tutta l’Europa e una organizzazione attivabile al momento giusto dalle istituzioni europee, con trasmissione delle risorse economiche agli istituti nazionali di sostegno al reddito.

A ciò si dovranno aggiungere ulteriori politiche, tra cui quelle rivolte alla ricostruzione del tessuto imprenditoriale e quelle finalizzate alle spese sanitarie. Tali risorse dovranno essere utili per l’immediato e per il futuro. Saremo chiamati a spendere le risorse europee, sapendo quale sarà l’economia dei prossimi anni, quali sono le priorità, dove investire, in cosa investire, quali sono le infrastrutture fisiche e digitali più adatte al futuro che ci aspetta.

Questo può essere il modo più concreto per preferire il poco al tutto, il realizzabile a ciò che è utopico, il gradualismo delle trasformazioni a una trasformazione radicale.

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