Contro l’esclusione sociale, l’educazione al patrimonio culturale

Annalisa Cicerchia esamina il Piano Nazionale 2021 per l’educazione al patrimonio culturale, varato poche settimane fa dal Ministero della Cultura, che sottolinea il ruolo strategico dell’educazione al patrimonio per la ripresa culturale, economica e sociale. Cicerchia ricorda che una letteratura ormai trentennale mostra come il coinvolgimento nelle arti e nel patrimonio favorisca inclusione sociale, benessere e salute ma ricorda anche i dati che segnalano il perdurare di una grande distanza fra cittadini e beni culturali nel nostro paese.

La prima e finora l’ultima volta che la Commissione Europea ha promosso un Eurobarometro – cioè un sondaggio rapido a un campione rappresentativo di circa 28.000 cittadini, un migliaio a stato membro – sul loro rapporto con le vestigia della eredità artistica e storica dei luoghi in cui risiedono è stato nel 2017, in preparazione dell’Anno Europeo dedicato al patrimonio culturale, il 2018. Il sondaggio confermò che l’iniziativa era opportuna, e che era urgente favorire, pur nel rispetto delle competenze dei singoli Stati membri, un avvicinamento dei residenti nei Paesi dell’Unione ai loro beni culturali, tangibili e intangibili. Il bisogno di sollecitare una maggiore attenzione da parte degli europei circa le dotazioni culturali dei luoghi della loro vita quotidiana era chiaramente descritto dai dati: appena il 31 per cento dei rispondenti visitava regolarmente musei, monumenti e siti o partecipava con frequenza a eventi come feste o concerti; solo il 17 per cento affermava di abitare in un edificio, in una zona o in una città di interesse storico o artistico; una percentuale residuale, l’8 per cento, praticava attività artistiche o artigianali tradizionali e uno sparuto 5 per cento riferiva di svolgere attività di volontariato a favore di una qualsiasi organizzazione legata al patrimonio.

Se la temperatura della passione degli europei per la propria cultura, misurata dall’Eurobarometro, era tiepidina, quella degli italiani era decisamente fredda. Infatti, tra i rispondenti di casa nostra, meno di un quinto (il 19%) si descrivevano come affezionati frequentatori di siti, musei e monumenti o di eventi culturali, e soprattutto, contro ogni previsione, solo l’8 per cento riteneva di vivere in un luogo (casa, zona, città) di interesse storico-artistico, con buona pace di quelli che ancora vanno sostenendo che in Italia ci sarebbe il 60 (o, a piacere, il 70 o perfino l’80 per cento) del patrimonio culturale mondiale.[1] C’era invece una certa consonanza con la media europea, rispettivamente il 30 e il 29 per cento, nella percentuale di intervistati italiani che dichiaravano di non essere interessati a conoscere di più e meglio il patrimonio culturale europeo. Ad essi, si contrapponeva però una schiacciante maggioranza (84 per cento di europei, 85 per cento di italiani) di persone che giudicavano il patrimonio culturale importante per loro stesse, a livello personale.

In pratica, il 38 per cento del campione totale e il 47% di quello italiano non erano stati nemmeno una volta l’anno in visita a luoghi del patrimonio; avevano disertato i musei il 49 per cento dei rispondenti europei medi e il 53 per cento degli italiani. Peggio ancora per le arti dello spettacolo, che, in un anno, non erano riuscite a catturare l’interesse del 56 per cento del campione europeo e del 60 per cento di quello italiano. La maglia nera va però alle biblioteche, escluse dalle attività del 69 per cento degli intervistati (e dal 75 per cento di quelli residenti in Italia).

Sono passati quattro anni, due dei quali profondamente alterati dalle chiusure e dai confinamenti dettati dalla emergenza sanitaria. Non abbiamo a disposizione nuovi dati europei, visto che l’Eurobarometro, purtroppo, non è stato ripetuto per registrare possibili cambiamenti eventualmente indotti dall’impatto dell’Anno Europeo del Patrimonio culturale del 2018, e che la fonte più recente (con rilevazioni campionarie molto più robuste, che intervistano circa 140.000 unità famigliari per circa 283.000 individui dai 16 anni in poi in un modulo ad hoc nell’ambito della indagine EU-SILS-Statistics on Income and Living Conditions), risalgono addirittura al 2015.

Abbiamo però i dati italiani, diffusi dall’Istat in forma analitica attraverso l’Annuario Statistico Italiano (2020, con dati riferiti al 2019) e in forma sintetica attraverso gli indicatori del progetto BES – Benessere Equo e Sostenibile (2021, aggiornamento di agosto, con dati sul 2020).

I dati analitici mostrano nel 2019 una leggera diminuzione della percentuale di persone che hanno del tutto ignorato i musei e i siti archeologici (rispettivamente, dal 66,8 e 71, 2 per cento del 2018 al 66,1 e 70,7 per cento del 2019). Ma la disaffezione è imponente, sebbene sia utile ricordare che la percentuale di coloro che dichiarano di essere stati almeno una volta al museo in 12 mesi era faticosamente risalita di 6 punti rispetto al 2013.

Fra il 2018 e il 2019 era aumentata, sebbene di poco, la quota dell’astensione complessiva da attività culturali, dato che le persone che negli ultimi 12 mesi non avevano fruito di alcun intrattenimento o spettacolo fuori casa e non avevano letto né libri né quotidiani era passata dal 20,2 al 20,7 per cento, con un aumento di quasi 5 punti rispetto al 2011.

L’indicatore sintetico del BES mostra che, nel 2020 si è raggiunto, per ora, il picco della mancata partecipazione culturale fuori casa (che include musei, siti archeologici, cinema, teatro, concerti): 70,2 per cento dei residenti in Italia. Ma nel 2019 la situazione non era poi tanto più allegra, visto che i non partecipanti erano il 65%. Per la frequentazione di biblioteche, altro indicatore in qualche modo comparabile con il dato di Eurobarometro, nel 2020 in Italia ne hanno fatto a meno l’88 per cento dei residenti, e nel 2019 l’85 per cento.

È questa la cornice entro cui parte il Piano nazionale 2021 per l’educazione al patrimonio culturale, predisposto dalla DG Educazione, ricerca e istituti culturali del Ministero della Cultura. Il documento sottolinea il ruolo strategico dell’educazione al patrimonio in una prospettiva di ripresa e ripartenza culturale, economica e sociale del Paese e promuove il rilancio delle azioni educative intorno a tre assi strategici: Accessibilità/Coesione; Innovazione/Creatività; Cooperazione/Sussidiarietà. Su queste linee, le comunità e i singoli potranno godere degli effetti benefici, dimostrati da una letteratura ormai trentennale, che il coinvolgimento nelle arti e nel patrimonio esercita sull’inclusione sociale, il benessere e la salute.

Il documento fa ampio riferimento all’impatto della pandemia sul settore culturale: “Tra i più colpiti, i settori venue-based – legati ad eventi e luoghi fisici (musei e luoghi della cultura, arti performative, industria cinematografica, spettacoli musicali, festival, etc.) – alla cui chiusura hanno fatto da riscontro il passaggio su canali virtuali di tutte le possibili componenti ed il proliferare di contenuti digitali alla base di una forte accelerazione verso soluzioni capaci di mettere in atto il cambiamento”. Quindi dalla crisi, ipotizza il Piano, potrebbe emergere la possibilità di sperimentare una condivisione di obiettivi fra innovazione, cultura, istruzione e digitale in grado di offrire, attraverso metodologie interdisciplinari, risonanza civile alla domanda culturale, qualificare i contenuti e configurare un modo diverso di fare didattica ‘diffusa’ attivando processi e pratiche co-creative.

Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, alla cultura viene riconosciuto un ruolo rilevante per lo sviluppo ed il rinnovamento del Paese, nella terza componente della prima missione, Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo. Qui è prevista una misura dedicata al patrimonio culturale per la prossima generazione (M1C3.1), con investimenti volti a favorire la creazione di un patrimonio digitale della cultura attraverso la configurazione di infrastrutture e lo sviluppo di servizi (Investimento 1.1) e a migliorare l’accessibilità (Investimento 1.2) per effetto del superamento delle barriere architettoniche, senso-percettive, culturali e cognitive e per mezzo di efficaci azioni formative indirizzate ai professionisti del settore.

Altre misure sono indirizzate all’attrattività dei borghi, alla protezione e valorizzazione dell’architettura e del paesaggio rurale, alla valorizzazione dei parchi e dei giardini storici, al miglioramento dell’efficienza energetica dei luoghi della cultura e alla sicurezza sismica. Ulteriori investimenti sono previsti, inoltre, per lo sviluppo delle industrie culturali e creative e di quella cinematografica nonché per il finanziamento di interventi strategici su grandi attrattori culturali.

L’educazione al patrimonio, nel Documento che espone il Piano 2021, deve contribuire alle nuove istanze formative e inclusive e potenziare, tanto la sperimentazione di un impianto innovativo per trasferimento di conoscenze e

competenze, quanto un sistema di gestione aperto nel segno della sostenibilità e del welfare culturale.

In particolare, il cambio di prospettiva sulla centralità di persone e comunità richiede interazioni sempre più avanzate nella programmazione e nei vari rapporti collaborativi orientati a comprendere territori, scuole e università.

L’educazione al patrimonio deve veicolare, insieme a rispetto e responsabilità verso l’insieme dell’eredità culturale, principi di tutela, valorizzazione e cittadinanza.

Il Piano si fonda su tre fundamentals (sic):

  • La riconoscibilità: nel riconoscere il patrimonio tangibile e intangibile come risorsa diffusa e in continua evoluzione, pubblici, cittadini, comunità patrimoniali, territoriali, digitali, ‘di eredità’, ‘di paesaggio’ – soggetti attivi o da interessare a livello partecipativo e decisionale – ne realizzano il valore di ‘bene comune’.
  • La qualificazione: l’educazione al patrimonio risponde, attraverso metodologie, pratiche e linguaggi molteplici, alle crescenti istanze di partecipazione culturale, indirizzandole verso traguardi allineati con valori di democrazia e sostenibilità. Condizione strategica, il ricorso a prassi di mediazione che favoriscono il coinvolgimento diretto e la costruzione dialettica di una lettura contemporanea dell’eredità culturale.
  • La sostenibilità: nel costituire zone ‘di prossimità’ e interazione per le nuove sfide di educazione globale, luoghi della cultura ed ecomusei, scuole, università e agenzie formative, istituzioni e territori sono chiamati a sostenere estensione e continuità dei processi educativi, ad operare per la convivenza civile, ad essere parte integrante di sviluppo culturale, sociale ed economico e a facilitare la costruzione di relazioni con stakeholders e comunità locali.

Sono tre anche gli obiettivi generali del Piano:

  1. Promuovere il ruolo dell’educazione al patrimonio culturale orientando le azioni verso criteri di responsabilità sociale e coinvolgimento civile.
  2. Contribuire a consolidare le reti collaborative interne ed esterne al Ministero per favorire partecipazione e condivisione culturale.
  3. Sostenere le scelte di settore attraverso l’attuazione di processi acquisizione, analisi e diffusione di dati qualitativi e quantitativi.

Le linee di intervento comprendono progettazione educativa, attività di formazione, potenziamento del digitale e miglioramento dell’accessibilità. Le azioni di sistema che accompagneranno l’attuazione del piano sono la creazione di un osservatorio sull’educazione al patrimonio culturale, la realizzazione di accordi inter istituzionali con il MIUR e la realizzazione di un Portale Educazione, Formazione e ricerca.

Sarà importante seguire l’attuazione del Piano nelle sue azioni concrete, e sarebbe interessante poterne misurare l’efficacia nel rinvigorire i fiacchi valori della partecipazione culturale cui si è fatto cenno qui, soprattutto nelle aree geografiche che esprimono ogni anno indicatori molto al di sotto della media nazionale e presso i gruppi sociali più svantaggiati.

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