Contaminazioni proficue fra reddito minimo e reddito di cittadinanza

Elena Granaglia analizza una recente proposta francese di riforma dell’assistenza sociale che si caratterizza per un’innovativa combinazione fra elementi d’individualizzazione e non condizionalità propri del reddito di cittadinanza e un’attenzione al contrasto della povertà propria del reddito minimo. La tesi di fondo è che la strada più feconda, nel disegno delle politiche sociali di sostegno al reddito, sia quella della contaminazione fra schemi di reddito di cittadinanza e schemi di reddito minimo.

Nella discussione pubblica e nella letteratura, il reddito di cittadinanza, inteso come trasferimento incondizionato indirizzato a tutti, e il reddito minimo, inteso come trasferimento selettivo circoscritto a coloro le cui risorse sono sotto una determinata soglia di risorse, tendono a essere visti come misure alternative di sostegno al reddito. Che si tratti di politiche diverse è indiscutibile. Il punto è che entrambe le misure hanno luci e ombre.

Il reddito di cittadinanza ha il merito di essere erogato su base individuale e in modo automatico, a chiunque, semplicemente per il solo fatto di esistere. Richiede, però, un finanziamento elevato (anche se si evitano i doppi conteggi che spesso tendono a essere fatti) e rischia di essere poco sensibile all’eterogeneità delle condizioni di bisogno. Il reddito minimo può contrastare questi limiti. Il contrasto non è, tuttavia, senza costi. Mutamenti anche molto piccoli nella definizione della soglia e delle risorse possono comportare mutamenti rilevanti nel numero dei beneficiari. L’accertamento delle condizioni di bisogno può implicare arbitrarietà da parte sia degli operatori sia dei beneficiari potenziali e causare stigma e richiede tempo, con il risultato complessivo di buchi nelle coperture. Il reddito minimo, inoltre, è tipicamente erogato a un “rappresentante” della famiglia, nella sottovalutazione delle possibili iniquità nella ripartizione infra-familiare delle risorse.

In ragione di ciò (come si argomenta più nel dettaglio in Granaglia, Bolzoni, Il reddito di base, Ediesse, 2016), più che le contrapposizioni possono essere proficue alcune contaminazioni fra le due forme di reddito di base, volte a contro-bilanciare i limiti di ciascuna di esse. In questa prospettiva, si dimostra di assoluto interesse la recente proposta di modifica radicale del sistema di assistenza sociale esistente in Francia elaborata dal deputato Christophe Sirugue, “Repenser les minima sociaux/vers une couverture socle commune”, in risposta ad un incarico affidatogli dal Presidente Hollande. In realtà, Sirugue presenta tre proposte, di cui due, più incrementali, di aggiustamento al margine della situazione esistente. La mia attenzione va, tuttavia, alla proposta più radicale.

In Francia, esistono oggi dieci schemi di reddito minimo. Uno è rivolto ai poveri, a patto che il richiedente abbia almeno 25 anni (il limite scende a 18 anni qualora il richiedente abbia figli o, dal 2010, a seguito della crisi, qualora abbia avuto un rapporto di lavoro a tempo pieno per almeno due anni). Gli altri schemi si differenziano sulla base dell’appartenenza categoriale (essere anziani, disabili, vedove, ex carcerati, richiedenti asili, soggetti provenienti dai territori di oltre mare…). Il complesso di tali schemi permette, sì, un sostegno sostanzialmente universale al reddito dei più poveri. Il sostegno è, tuttavia, molto eterogeneo, basato su criteri di accesso e su importi di trasferimento che nel tempo sono evoluti in modo incoerente rispetto alla protezione dai bisogni.

La proposta è di sostituire questo sistema con uno zoccolo di protezione aperto a tutti i soggetti con almeno 18 anni, le cui risorse siano al di sotto di una determinata soglia, e che vivono al di fuori della famiglia d’origine, con la sola esclusione dei giovani che studiano (che potrebbero non essere poveri). E’, altresì, richiesta la residenza stabile in Francia o la titolarità, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno che autorizzi a lavorare. L’importanza di abbassare l’età di accesso è sottolineata con forza.

Nell’immediato la soglia potrebbe essere relativa. Al più presto, dovrebbe, tuttavia, basarsi su un budget di riferimento, legato alle risorse necessarie a soddisfare un paniere di bisogni fondamentali. A integrazione dello zoccolo di protezione, sono poi posti un “complément de soutien”, a favore delle persone anziane o disabili, e un “complément d’insertion”, a favore dei soggetti con età fra i 18 e i 65 anni, volto a sostenere la ricerca del lavoro, sulla base di un patto d’inclusione informato su una logica di diritti e di doveri. Lo zoccolo si aggirerebbe attorno ai 400 euro a persona e avrebbe natura differenziale: il trasferimento coprirebbe la differenza fra risorse detenute e soglia. L’integrazione per gli anziani prevedrebbe un importo massimo attorno ai 460 euro (differenziato sulla base delle condizioni di bisogno), mentre l’integrazione per le persone in età da lavoro si aggirerebbe attorno ai 100 euro. I valori sono mensili.

A differenza della situazione attuale – e, sottolineo, dalla via tipicamente seguita nel disegno dei redditi minimi nel complesso dei paesi europei – il versamento sarebbe individuale e prescinderebbe dalle scale di equivalenza. In termini più espliciti, la prova dei mezzi resterebbe a base familiare: lo zoccolo di protezione è rivolto ai poveri e, dunque, sarebbe incoerente redistribuire a favore di un soggetto senza risorse proprie che vive in una famiglia ricca. Una volta accertato il diritto al trasferimento, quest’ultimo, però, non sarebbe influenzato dal vivere in coppia. Al contrario, ciascun componente della coppia riceverebbe la stessa somma (se lo zoccolo fosse 400 euro, ciascuno riceverebbe 400 euro, senza alcuna riduzione solo per il fatto di essere in due). La ragione è che “i meccanismi di scala di equivalenza… non sarebbero in grado di tenere conto della diversità nelle strutture di consumo personale e, d’altro canto, la presa in conto delle economie di scala non è sempre giustificata in un’epoca in cui i percorsi coniugali diventano meno stabili e i controlli sulla vita comune meno legittimi” (trad. mia). Il sostegno al costo dei figli, a sua volta, sarebbe assicurato al di fuori delle misure di reddito minimo, grazie a uno schema di trasferimenti legati ai rischi familiari di cui possono beneficiare anche famiglie non povere (tali trasferimenti neppure rientrerebbero nelle risorse considerate ai fini della prova dei mezzi come non vi rientrerebbero i trasferimenti di sostegno ai costi dell’affitto).

Il diritto allo zoccolo non dovrebbe essere attivato dal richiedente, ma essere il più possibile garantito su base automatica. Anche questo appare un forte segno di discontinuità con le prassi più diffuse in Europa che non solo affidano ai beneficiari potenziali del reddito minimo il compito di fare la prima mossa – ossia, presentare la domanda -, ma fanno anche sempre più leva su elementi di condizionalità.

Il finanziamento sarebbe a carico dell’erario, con l’eccezione dell’integrazione per le persone in età lavorativa che sarebbe a carico dei Dipartimenti (enti locali). Viene, a quest’ultimo proposito, invocata una logica di “compartecipazioni ai costi”. I dipartimenti sono i principali responsabili dell’inclusione lavorativa. Anche per evitare incentivi a comportamenti del tipo rischio morale (di scaricamento di costi sull’erario), sarebbe pertanto ragionevole una responsabilizzazione locale nelle politiche attive del lavoro.

Certamente, si può disquisire sul requisito di cinque anni per i titolari di permesso di soggiorno nonché su singoli dettagli della proposta (ad esempio, la natura differenziale del trasferimento potrebbe ingenerare disincentivi). A me paiono, tuttavia, assai innovative le modalità proposte per inserire elementi del reddito di cittadinanza all’interno di una misura di reddito minimo.

Come sopra descritto, la prova dei mezzi rimarrebbe a base familiare, come negli schemi di reddito minimo, ma, come avviene per il reddito di cittadinanza, risulterebbe attenuata la dipendenza dalla famiglia. Il trasferimento, infatti, non solo andrebbe a ciascun componente della coppia, ma sarebbe anche dello stesso importo per entrambi. Inoltre, si abbasserebbe l’età alla quale i giovani possono, qualora lo desiderino, uscire dalla famiglia d’origine e fare nucleo a sé.

Portare il sostegno ai figli fuori del reddito minimo va nella stessa direzione. Certo, la proposta non specifica il disegno di tale sostegno, che potrebbe anche non essere pienamente universale (ad esempio, escludendo le famiglie più ricche). La fuoriuscita del sostegno ai figli dal reddito minimo implica, però, un movimento verso una maggiore universalizzazione. A quest’ultimo riguardo, vanno sottolineati due aspetti positivi. Da un lato, si alleggerisce il carico dello zoccolo di protezione che, come tutte le misure selettive, rimane esposto ai rischi di arbitrarietà nella definizione della soglia e, con essi, a quelli di “guerre fra i poveri” e di più complessiva sostenibilità politica. Dall’altro, le evidenze empiriche sono assai robuste nel rilevare come i sistemi più redistributivi (anche a favore dei poveri) siano esattamente quelli in cui trasferimenti selettivi contro la povertà si associano a politiche universali/quasi universali di sostegno al costo dei figli.

Al tempo stesso, il nuovo sistema di protezione al reddito, pur restando selettivo, rimarca con forza l’importanza di erogare una base di reddito, appunto, lo zoccolo, in modo il più possibile automatico, di nuovo, esattamente come avviene per il reddito di cittadinanza. Ciò favorirebbe il contrasto ai falsi negativi. Al riguardo, ricordo come in molti paesi europei il fenomeno dei falsi negativi abbia raggiunto dimensioni tali da riguardare quasi la metà dei possibili beneficiari (Bargain et al. 2009, No claim, No pain. Measuring the Non Take-up of Social Assistance using Register Data WP 200931, School of Economics, University College Dublin). L’automaticità nell’accesso allo zoccolo garantirebbe, inoltre, l’indisponibilità del diritto alla protezione. Tale indisponibilità, che è elemento intrinseco della nozione di diritto, appare, oggi, invece, sempre più compromessa dalla progressiva accentuazione della condizionalità in atto in tutti i paesi europei. Contemplando un secondo livello di trasferimenti vincolato a un patto d’inclusione, quello dell’integrazione a favore delle persone in età da lavoro, la proposta non sarebbe, tuttavia, insensibile ai rischi di dipendenza dal lavoro altrui, comunque, presenti nel reddito di cittadinanza. Il che, mi sembra, rappresenti un compromesso assai innovativo fra il riconoscimento del diritto al reddito e quello del dovere a cooperare.

Di tutte queste positive contaminazioni fra reddito minimo e reddito di cittadinanza dovremmo tenere conto quando finalmente si discuterà, anche nel nostro paese, di come realizzare un sistema di sostegno al reddito.

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