Concorrenza al ribasso tra contratti collettivi

Michele Faioli e Larissa Venturi descrivono la situazione che caratterizza il sistema sindacale del nostro paese, basandosi sui dati più recenti dell’archivio CNEL relativo alla contrattazione collettiva, e si chiedono: quali siano le ragioni della concorrenza al ribasso tra contratti collettivi; perché, e in che misura, la contrattazione collettiva delle organizzazioni più rappresentative viene elusa nelle catene di valore e nei sub-appalti e se basterebbe una legge per sistemare il quadro disorganico in cui si sviluppa la concorrenza tra contratti collettivi.

Michele Faioli

Il quadro sintetizzato da Larissa Venturi nella seconda parte di questo articolo è sconfortante. Esso fotografa una realtà complessa che, muovendo dal sistema italiano di pluralismo sindacale e datoriale, determina un’architettura di oltre 900 contratti collettivi nazionali di lavoro depositati presso l’archivio nazionale CNEL. Ci sono CCNL che, nella migliore delle ipotesi, pur garantendo tutele normative omogenee, nell’ambito di perimetri contrattuali di riferimento, definiscono un delta differenziale di retribuzione e diritti economici del 40%. Si attua, per essere più diretti, una concorrenza al ribasso tra contratti collettivi applicabili nel medesimo settore o in settori attigui.

Il fenomeno è noto agli esperti della materia, ai sindacalisti e ai funzionari delle organizzazioni datoriali. Con esso si spiegano in qualche modo, ahinoi, anche i fatti tragici dei giorni scorsi riguardanti il settore della logistica e il conflitto avviato in alcune parti del paese. Nelle catene di valore e nelle vicende di appalti e sub-appalti il CCNL, sottoscritto dalle organizzazioni più rappresentative, diventa meno esigibile man mano che si scende verso le micro o le piccole imprese, a cui sono assegnate porzioni di attività produttive o di servizio, nonché le clausole sociali, definite dai CCNL, sono spesso non accompagnate da misure che rendono sanzionabile l’eventuale violazione di esse.

Il delta differenziale relativo al costo del lavoro nella logistica, direttamente imputabile alla concorrenza al ribasso tra CCNL, è stato descritto in una ricerca del 2018 della FILT CGIL condotta con un team interdisciplinare della Fondazione Giacomo Brodolini (Faioli, Fantoni, Mancini, Lavoro e organizzazione della logistica 4.0, 2018). Vengono evidenziati i dati relativi al differenziale della retribuzione, anche per aree geografiche, e si declinano le ragioni contrattuali di tale differenziale.

Le complicazioni da cui deriva tale concorrenza al ribasso sono state efficacemente rappresentante anche in un recente saggio di Ciucciovino, Fisiologia e patologia del pluralismo contrattuale tra categoria sindacale e perimetri settoriali, in LD, 2/2020.

Alcuni propongono di intervenire con una legge sul salario minimo. In questa rivista si è già trattato del tema del salario minimo legale, anche collegato alla proposta di direttiva europea (si vedano gli articoli di: Corazza , Lo Faro, Menegatti, Faioli). A tal proposito, come è noto, ci sono due DDL depositati in Senato sul salario minimo legale (DDL 2187/2021 – Catalfo e DDL 1132/2019 – Nannicini). Altri intendono intervenire mediante legge per selezionare, misurandone la rappresentatività, le organizzazioni sindacali e datoriali che stipulano contratti collettivi dotati di una certa efficacia (AC 788/2018 – Gribaudo e AC 707/2018 – Polverini).

Le domande più ricorrenti che ci si pone sono le seguenti: quali sono le ragioni della concorrenza al ribasso tra contratti collettivi? Perché e in che misura la contrattazione collettiva delle organizzazioni più rappresentative viene elusa nelle catene di valore e nei sub-appalti? Perché ciò avviene prevalentemente in alcuni settori produttivi e non in altri? Basterebbe una legge per sistemare il quadro disorganico in cui si sviluppa tale concorrenza tra contratti collettivi?

E’ del tutto illusorio ritenere che lo strumento legislativo possa dare una risposta efficace a tali problemi. La legge è lenta, rigida, non coglie la complessità dei fenomeni di cui qui stiamo trattando. La contrattazione collettiva è, invece, preferibile nella misura in cui essa sia sostenuta da una norma di legge che la deleghi a definire meccanismi procedimentali di controllo di tali vicende (si segue l’impostazione di Giugni, il quale faceva riferimento alla cd. amministrazione del contratto collettivo – sul punto rinvio al mio saggio del 2020, Il potere del sindacato senza potere, in DLM, 2/2020 e agli studi di Treu, Regole e procedure nelle relazioni industriali: retaggi storici e criticità da affrontare, in DRI, 2/2020).

Tra l’altro si deve notare che anche il criterio selettivo di maggiore rappresentatività comparata, introdotto mediante legge, è stato sfiancato dal pluralismo contrattuale che connota il nostro sistema. È un criterio selettivo che inizia a non funzionare più perché è sempre più difficile individuare i perimetri contrattuali di riferimento per la misurazione della rappresentatività ed è in parte inattuato il sistema che dovrebbe permettere la certificazione del peso rappresentativo delle organizzazioni sindacali e datoriali.

Anche in vista delle sfide del PNRR, si deve trovare il modo più efficiente per sostenere l’autonomia collettiva, immaginando un nuovo assetto organico che valorizzi, da una parte, la contrattazione collettiva di qualità, cioè quella più tutelante, in qualche modo connessa a norme di legge che assegnano a essa funzioni e obiettivi da realizzare, e, dall’altra, i soggetti che responsabilmente pongono in essere quel tipo di contrattazione collettiva.

Larissa Venturi

Da alcuni anni i report e i notiziari periodici che il CNEL pubblica sulla base delle informazioni contenute nell’archivio nazionale dei contratti collettivi di lavoro documentano una situazione del mercato del lavoro privato in costante mutamento. Dalla fine del primo decennio degli anni duemila si assiste ad una moltiplicazione di soggetti, sia di parte sindacale che datoriale, che firmano contratti collettivi in praticamente tutti i settori produttivi e li depositano, come prevede la legge 30 dicembre 1986, n. 936, presso l’archivio istituito al CNEL. Le dinamiche del lavoro privato appaiono in tal senso molto diverse, persino opposte a quelle che caratterizzano il pubblico impiego dove, come noto, nel 2016 sono stati ridefiniti contratti e aree di contrattazione con un’operazione di razionalizzazione che ha portato all’accorpamento dei comparti da 11 a 4. Nel settore privato, i dati depositati in archivio consentono invece di tratteggiare una realtà molto articolata e soggetta a grande frammentazione.

A ogni “fotografia” scattata dagli Uffici del CNEL emerge un quadro caratterizzato dai seguenti tratti di fondo.

Si assiste a un costante incremento dei CCNL depositati, con un “picco” di ingressi a due cifre raggiunto nel biennio 2013-14. Appare costante una certa frammentazione dei CCNL (e delle sigle stipulanti), anche se spesso, per i nuovi contratti, le parti datoriali non hanno provveduto a chiedere all’INPS il rilascio del relativo codice uniemens, e ciò impedisce di avere una mappatura completa in termini di lavoratori coinvolti. Il calcolo dei lavoratori ai quali i datori dichiarano di applicare un determinato contratto nazionale e il calcolo delle relative aziende sono infatti possibili solo nel caso in cui al codice assegnato dal CNEL all’atto del deposito può farsi corrispondere univocamente il codice INPS indicato nel flusso mensile uniemens. Questa procedura sarà completamente superata quando sarà operativa – si spera a partire dalla seconda metà dell’anno in corso – la novità introdotta con legge 11 settembre 2020, n. 120 (recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”), che attribuisce al CNEL il compito di assegnare a ogni CCNL il codice alfanumerico unico valido per tutte le pubbliche amministrazioni interessate.

In media, ogni trimestre vengono depositate poche decine di contratti nazionali di categoria, che in circa il 5% dei casi sono costituiti da verbali di accordi integrativi o modificativi di specifiche sezioni o istituti di contratti già esistenti, mentre nel 25-30% dei casi riguardano nuove accessioni, cioè contratti stipulati o depositati per la prima volta in archivio.

Il ritardo nei rinnovi contrattuali è un dato in crescita: a settembre 2020 era in corso di validità il 40% dei CCNL registrati come vigenti e non rinnovati, mentre il restante 60% erano contratti scaduti; a gennaio 2021 i contratti scaduti erano diventati il 75% dei totali depositati e la percentuale rimane appena lievemente inferiore a maggio 2021. Si tratta di numeri enormi se si considera che riguardano milioni di lavoratori.

CCNL vigenti depositati in archivio per lavoratori dipendenti del settore privato – confronto per settore contrattuale con variazioni dal 22 giugno 2020 al 22 giugno 2021

Nell’ultimo anno, anno di pandemia e di relativa stasi contrattuale, i CCNL vigenti per i dipendenti del settore privato depositati al CNEL è cresciuto di 59 unità, con un aumento del 7%. Fra il 22 giugno 2020 e il 22 giugno 2021, in termini assoluti, i settori contrattuali in cui il numero dei CCNL depositati è aumentato maggiormente sono il “terziario, distribuzione e servizi” (con un notevole +14) e il settore “istruzione, sanità, assistenza, cultura, enti” (con un altrettanto notevole +10). In termini percentuali, i settori contrattuali in cui il numero dei CCNL è aumentato in modo più evidente sono il settore “chimici” (+29%) e quello dei “meccanici” (+14%), seguiti da “istruzione, sanità, assistenza, cultura, enti” (+10%).

È interessante notare come ben 51 nuovi CCNL, sui 59 depositati, non siano inseriti nel flusso informativo uniemens perché, come si è già detto, le organizzazioni datoriali firmatarie non hanno rivolto la relativa richiesta all’INPS. Questi contratti, quindi, non sappiamo a quanti lavoratori e a quante aziende risultano applicati.

CCNL vigenti depositati in archivio per lavoratori dipendenti del settore privato, che hanno/non hanno un codice INPS – uniemens – confronto fra giugno 2020 e giugno 2021

I dati relativi ai CCNL depositati in archivio possono essere incrociati rispetto alle sigle firmatarie. In tal senso un dato di rilievo è fornito dalla circostanza che tutti i nuovi CCNL depositati nell’ultimo anno sotto sottoscritti da organizzazioni datoriali non rappresentate presso il CNEL nella attuale consiliatura. Per contro, 27 dei nuovi CCNL depositati in archivio nell’ultimo anno sono sottoscritti da sigle sindacali non rappresentate al CNEL nella vigente consiliatura, mentre 32 sono sottoscritti da sindacati rappresentati in seno al CNEL.

CCNL vigenti depositati in archivio per lavoratori dipendenti del settore privato – organizzazioni datoriali firmatarie rappresentate/non rappresentate presso il CNEL – confronto fra giugno 2020 e giugno 2021

 

Organizzazione datoriale rappresentata al CNEL22/06/202022/06/2021var. assolutavar. %
NO712771598%
SI’13013000%
Totale842901597%

CCNL vigenti depositati in archivio per lavoratori dipendenti del settore privato – organizzazioni sindacali firmatarie rappresentate/non rappresentate presso il CNEL – confronto tra giugno 2020 e giugno 2021

Organizzazione sindacale rappresentata al CNEL22/06/202022/06/2021var. assolutavar. %
NO332359278%
SI’510542326%
totale842901597%

 

CCNL vigenti depositati in archivio per lavoratori dipendenti del settore privato – organizzazioni sindacali firmatarie rappresentate presso il CNEL – confronto tra giugno 2020 e giugno 2021

Tra le organizzazioni sindacali rappresentate in seno al CNEL, la Confsal è la sigla che ha depositato il maggior numero di nuovi CCNL nell’ultimo anno: +23 in termini assoluti.

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