Con quali proposte per la crisi? Verso le elezioni europee

Stiamo andando anzi correndo verso le elezioni europee. Ma gli elettori non conoscono ancora le proposte che i vari partiti o schieramenti (siamo tra coloro che ritengono utile un accordo elettorale tra i partiti della sinistra) si impegnano a portare al Parlamento europeo. Stiamo vivendo la più grave crisi che mai il capitalismo abbia affrontato su scala mondiale e tutti avvertono la necessità di una correzione e, secondo una parte non minoritaria, di un profondo mutamento nel sistema che dopo aver proclamato la “crescita” come unico e vero dio dell’umanità sta portando ad una spaventosa distruzione di ricchezza, addossandone i costi sulla parte meno ricca della popolazione e facendo tornare l’Occidente a parlare di fame. Tutti concordano o fingono di concordare sul fatto che la crisi non ha soluzioni all’interno di ogni singolo paese e sollecita misure concordate a livello dei vari continenti e dell’intero mondo. Ma quando i cosiddetti “grandi” si riuniscono per decidere non riescono ad andare oltre i generici appelli e le false dichiarazioni di buona volontà. Forse nelle Americhe o in Asia le cose vanno meglio, ma in Europa stanno andando così. Ed è proprio questa Europa che si accinge ad eleggere i propri rappresentanti in quella Unione che inutilmente Sarkozy aveva tentato di rianimare. Ebbene vogliamo dire tutti con chiarezza quali sono gli impegni che chiediamo e chiederemo di rispettare e far rispettare agli eletti al Parlamento europeo?

Le questioni che l’Europa dovrà affrontare sono molte. Non possiamo dimenticare che l’Europa ha assistito impotente e qualche volta complice alla strage di bambini e civili a Gaza, ha partecipato alla guerra contro l’Iraq – che forse ora, grazie ad Obama, sembra volgere al termine – e non ha saputo trovare una politica comune di fronte a quelle trasmigrazioni dai paesi più poveri ai paesi più ricchi che hanno preceduto e accompagnato il montare della crisi. Ma indubbiamente oggi il problema che incombe è quello di trovare soluzioni condivise al precipitare di tale crisi. Non bastano più le rassicurazioni cui più nessuno crede e i generici propositi di intervento. Occorre decidere come e dove intervenire e con quali priorità. Il tempo in cui ci si è illusi che bastasse passare miliardi di euro dalle tasche dei contribuenti alle casse delle banche perché tutto tornasse a posto è passato anche se chi ha propagandato tale tesi è rimasto al suo posto. Da una finanza creativa in rotta – anche per l’assenza di controlli adeguati e la distrazione di coloro che dovevano attuare quelli esistenti – – la crisi si è rovesciata sull’economia reale: le fabbriche hanno ridotto la produzione, i grandi complessi automobilistici di tutto il mondo vivono grazie ai contributi dello Stato, e dunque di coloro che pagano le tasse, ma in cambio mettono sul lastrico milioni di lavoratori, tecnici, impiegati, operai .L’agricoltura è ovunque in crisi anche grazie a coloro che ci danno da mangiare prodotti chimici. Le piccole e medie imprese faticano a trovare il credito necessario dalle banche sussidiate. Il commercio ristagna o va all’indietro. Ma anche i salvataggi delle imprese rischiano di essere uno spreco inutile dato che i proprietari di controllo si salvano e gli operai vengono licenziati. In Italia si rischiano almeno due milioni di licenziamenti, soprattutto di precari. Vogliamo parlare anche di questo oltre che dei soldi da dare alle banche senza garanzie adeguate e senza impegni di ferro per non ricadere nei vecchi vizi?

A fronte della crisi l’Europa non ha finora adottato misure adeguate; ha assunto generici impegni, ha via via avallato le misure prese da taluni governi o gli annunci di misure da attuare “in futuro” ma ha in più occasioni, e ancora nel vertice di Bruxelles presieduto dal ceko Topolànek , assunto una posizione comune contro il protezionismo e constatato che su ciò c’è convergenza dato che “nessun paese dell’Unione ha adottato misure protezioniste”. Ma le cose stanno veramente così? E’ indubbio che nessun paese ha adottato misure di protezionismo doganale anche perché era impossibile senza fare saltare l’Unione. Ma quello doganale, lo sappiamo tutti, non è che una delle varianti obsolete del protezionismo. A fianco del protezionismo doganale ci hanno insegnato i testi, (perfino in periodo fascista quando nel 1942 mi venne assegnata alla Sapienza una testi di laurea su”I danni dell’autarchia”) esiste un protezionismo non meno pericoloso fondato sul dumping (vendite all’estero ad un prezzo inferiore a quello praticato sul mercato interno o, addirittura, al costo di produzione), su agevolazioni di vario tipo, creditizie o fiscali, riservate ai produttori “nazionali”, su quote e massimi di importazione per taluni prodotti o paesi, su abbattimento del livello dei costi attraverso abbassamento dei salari, aumento degli orari di lavoro, riduzione delle protezioni sociali ( dumping sociale) e, infine, su limitazioni al movimento dei capitali.

Ebbene c’è qualcuno che si senta di affermare che non è in atto in Europa esattamente una guerriglia o guerra commerciale fondata su queste varie forme di dumping , guerriglia o guerra cui l’Italia partecipa in prima fila praticando in primo luogo un dumping sociale che sta aggravando tutte le conseguenze negative della crisi su operai e impiegati? Non si può non concordare pienamente a questo proposito con quanto detto nella sua lezione (di cui questo numero del Menabò offre una breve sintesi ) dal segretario della FIOM, Gianni Rinaldini. Il ministro Tremonti ha parlato di “ faccia oscura della globalizzazione” e ha parlato di “aggressione” a proposito del dumping sociale che sarebbe praticato da paesi asiatici (Cina in primo luogo”) che hanno bassi salari,non offrono adeguate protezioni sociali e sindacali. Io non penso che si possa parlare in questo caso di aggressione dato che il dumping esiste solo qualora si pratichi la politica dei due prezzi (con prezzi sul mercato internazionale inferiori a quelli praticati sul mercato interno) ma non desidero fare di ciò una questione, La “questione vera” – dato che sui danni del protezionismo sembra che sul piano teorico siamo tutti d’accordo, tanto più in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo- è perché all’interno dell’Europa non si combatta il dumping che ogni paese, a partire dalla Francia e dalla Germania – l’amministratore delegato della Fiat, Marchionne, ha documentato precisi dati e fatti in proposito – per arrivare all’Italia, conduce ai danni di altri paesi membri. Vogliamo veramente aggravare la crisi dell’economia reale e portarla ad una distruzione insensata di valori, di conquiste civili ed etiche, di cultura? Ed ecco allora il grande problema da porre al centro della campagna elettorale ( che in molte città sarà anche una campagna elettotare amministrativa) ed il criterio sulla cui base scegliere i rappresentanti dell’Italia al parlamento europeo. Sarà bene che restino fuori da esso tutti coloro che sono per la guerra di tutti contro tutti – guerra che condannerebbe l’Europa e l’Italia ad un lungo inverno – e che entrino coloro che credono all’unità europea come garanzia contro la catastrofe cui siamo stati condotti. Che credono che il nuovo Parlamento abbia un ruolo costituente di regole che valgano per tutti, che garantiscano imprenditori e lavoratori, orari di lavoro, minimi salariali e garanzie sociali per tutti, eguaglianza in tutti i Paesi membri di diritti. di doveri fiscali e ambientali , e che sappia collocare l’Europa come protagonista nei processi che si sono aperti a livello geopolitico ed economico.

L.B.

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