Comportamenti individuali, consumi e spreco di cibo

Alessio D'Amato e Andrea Serna Castano propongono alcuni spunti di riflessione sui fattori dai quali dipendono le scelte individuali legate al cibo, dedicando particolare attenzione al consumo di cibo biologico. D’Amato e Serna Castano sottolineano, poi, il ruolo che una corretta comprensione delle etichette di scadenza può avere nel ridurre lo spreco di cibo e le ricadute positive che possono derivarne per la sostenibilità dei sistemi alimentari.

Il cibo è una parte essenziale della vita: oltre ad essere necessario per la nostra sopravvivenza, ha una forte componente sociale ed è potenzialmente fonte di piacere e benessere. Per questo è a volte sorprendente come si tenda a porre scarsa attenzione nelle scelte relative al consumo di cibo. Questo è particolarmente evidente se si guardano alcuni “numeri” che ci mostrano quanto intensivo può essere l’utilizzo di risorse per produrre il cibo che consumiamo e quanta parte del cibo prodotto e acquistato diventi rifiuto.

Dal primo punto di vista, l’agricoltura da sola richiede il 30% dell’energia consumata nel mondo, preleva il 70% di acqua dolce per l’irrigazione ed è considerata la principale causa di deforestazione (WWF, 2018; FAO, 2016).

Dal punto di vista dello spreco alimentare, un recente rapporto della Banca Mondiale riporta scenari molto poco confortanti. Entro il 2030, gli sprechi potrebbero raggiungere nel mondo i 2,1 miliardi di tonnellate, per un valore di 1500 miliardi di dollari. Oggi, quasi un terzo della produzione alimentare globale – 1,3 miliardi di tonnellate di cibo – viene perso lungo la catena di approvvigionamento o sprecato da consumatori e rivenditori. Nell’UE, oltre il 50% degli sprechi alimentari nell’Unione Europea proviene dalle famiglie.

Infine, non è da trascurare il legame con clima ed emissioni di anidride carbonica: dati recenti mostrano come il 6% delle emissioni di gas ad effetto serra sia attribuibile a cibo che viene perso lungo la supply chain o non consumato (3 volte le emissioni legate ai trasporti aerei).

Due studi, presentati di recente in un Workshop organizzato dall’Università di Roma Tor Vergata, nell’ambito del programma Mundus Urbano con il supporto della FAO, offrono risultati interessanti su comportamenti individuali e cibo, concentrandosi sui temi degli acquisti di cibo biologico e del ruolo svolto dalla comprensione delle etichette di scadenza dei cibi, e dalle connesse politiche di intervento, nella riduzione degli sprechi.

Il primo studio presentato, da Andrea Serna Castano, analizza le possibili determinanti dei consumi di cibo biologico; si tratta di un fattore cruciale, dal momento che i cibi biologici possono essere un importante “canale” per promuovere lo sviluppo sostenibile nella produzione e nei consumi alimentari. Frutta e verdura biologiche sono state scelte per l’analisi (anche) sulla base dei risultati di un lavoro di Reganold e Wachter (2016), che mostra come vi sia in generale consenso sul fatto che l’agricoltura biologica produca cibo caratterizzato da minori residui di pesticidi rispetto alle alternative convenzionali, generi un minore impatto legato ai fertilizzanti sulle fonti idriche utilizzate, riduca l’esposizione dei lavoratori a pesticidi e altri prodotti chimici, promuova una maggiore qualità del suolo, biodiversità vegetale e faunistica e sia solitamente più efficiente dal punto di vista energetico.

Per comprendere come sia possibile contribuire all’identificazione di strategie efficaci per la promozione della domanda di frutta e verdura biologica, si è utilizzato come caso di studio la Colombia. L’interesse per tale Paese è legato alle sue caratteristiche in termini di ricchezza di risorse naturali e biodiversità, oltre che alla elevata quota di emissioni di gas serra generate dall’agricoltura.

La letteratura esistente sul tema identifica quattro determinanti principali della domanda di frutta e verdura biologica:

  • la differenza di prezzo rispetto ai prodotti convenzionali: una differenza di prezzo maggiore riduce la probabilità che un consumatore scelga il prodotto biologico;
  • asimmetria informative: i produttori conoscono le caratteristiche dei propri prodotti meglio dei consumatori;
  • caratteristiche socio-demografiche come istruzione, reddito, genere o residenza (ad es. urbana vs. rurale), o anche numero di persone componenti il nucleo familiare;
  • fattori di natura “comportamentale”, legati alla possibile “complessità” delle scelte di acquisto di cibo.

Serna Castano, applicando la metodologia basata sui natural field experiment, ha testato la presenza di una relazione causale tra scelte di consumo e loro potenziali determinanti. L’esperimento sul campo, condotto in 8 supermercati a Bogotà, dal 9 al 22 agosto del 2017, è basato sull’osservazione di scelte dei singoli consumatori in un contesto realistico e permette di misurare gli effetti dei diversi “trattamenti”, considerando le caratteristiche socio-demografiche tra le potenziali determinanti. I “trattamenti” a cui sono stati sottoposti i consumatori sono stati di due tipi:

  • un incentivo economico, finalizzato a ridurre il prezzo dei prodotti biologici ed il differenziale con i prodotti tradizionali;
  • un messaggio informativo sul minore impatto ambientale legato alla produzione di cibi biologici.

I risultati, ottenuti tenendo conto delle variabili socio-demografiche, hanno mostrato come entrambi i trattamenti abbiano aumentato di circa 1 punto percentuale la probabilità di acquisto da parte dei clienti che hanno partecipato all’esperimento. Per i clienti che in fase “pre-sperimentale” avevano acquistato frutta e verdura biologica, l’effetto dello sconto e del trattamento informativo è stato maggiore, con un aumento rispettivamente di 5,3 e 2,9 punti percentuali nella probabilità di acquisto. Infine, con riferimento alle variabili socio-demografiche, la probabilità di acquisto di frutta e verdura biologica sembra influenzata dall’età, dal genere e dallo status socio-economico.

Il secondo studio, presentato da Alessio D’Amato, si concentra su spreco di cibo e sue potenziali cause. Un’indagine Eurobarometro condotta nel 2015 suggerisce come una parte non trascurabile dello spreco alimentare in Europa possa essere ricondotta alla non corretta comprensione da parte dei consumatori delle etichette recanti la data di scadenza, vale a dire Use By, che in Italia traduciamo con “da consumarsi entro”, e Best Before, che in Italia traduciamo con “da consumarsi preferibilmente entro”. Il primo tipo di etichetta fa riferimento, a grandi linee, ad una specifica data dopo la quale il prodotto potrebbe essere dannoso se consumato, mentre il secondo tipo indica “solo” la data dopo la quale la qualità ed il gusto del prodotto potrebbero risultare non al meglio, ma non indica necessariamente un rischio per la salute.

Per cercare di comprendere quanto i consumatori conoscano il reale significato delle etichette di scadenza, e quanto sappiano muoversi con consapevolezza nella loro spesa alimentare, lo studio ha effettuato un ciclo di esperimenti all’interno di supermercati nella città di Heidelberg, in Germania. Nello specifico, tali esperimenti sono stati disegnati con l’obiettivo di saggiare la conoscenza e l’attenzione dei soggetti verso le date di scadenza e le modalità in cui possono essere espresse, oltre a misurare la disponibilità a pagare per un prodotto con diverse date di scadenza e/o diverse etichette, in modo da ricostruire empiricamente le preferenze dei consumatori stessi.

In una prima fase, preliminare, il lavoro ha testato il grado di conoscenza su quale fosse il tipo di etichetta di scadenza (Use By o Best Before) utilizzato per diverse tipologie di cibo; le uova si sono dimostrate l’alimento sul quale i consumatori intervistati sono più incerti: le uova riportano nella realtà l’etichetta Best Before, ma solo il 50% degli intervistati ha identificato correttamente tale tipologia.

Nella parte centrale dell’esperimento, i soggetti che hanno partecipato sono stati raggruppati a seconda di quattro combinazioni diverse di circostanze (trattamenti), legate alla tipologia di data di scadenza e alla eventuale fornitura di informazioni aggiuntive sul significato dei diversi tipi di etichetta:

  • due gruppi di soggetti non hanno ricevuto alcuna informazione aggiuntiva sul significato delle etichette, e sono stati suddivisi a seconda della tipologia di etichetta riportata sul pacco di uova in loro possesso: un primo gruppo ha ricevuto pacchi di uova con etichette Use By, il secondo con etichette Best Before;
  • altri due gruppi hanno invece ricevuto informazioni riguardo la differenza fra le due tipologie di etichette, e sono stati suddivisi sulla base della tipologia di etichetta nello stesso modo dei due gruppi non informati.

Ogni partecipante ha ricevuto un pacco di sei uova biologiche (con scadenza nel giorno dell’esperimento) e due euro in monete; a ciascun partecipante è stato proposto di scambiare, con eventuale conguaglio in denaro, il pacco di uova in suo possesso con uno caratterizzato da una data di scadenza diversa. Questo ha consentito di capire, in particolare, se una vita utile più lunga del prodotto corrispondesse a una disponibilità a pagare più alta.

I principali risultati della ricerca mostrano come vi sia una imperfetta comprensione della differenza tra le due principali tipologie di etichette di scadenza ed una generale disattenzione nei confronti delle etichette stesse; inoltre, l’analisi svolta suggerisce come una politica di intervento basata sulla fornitura delle informazioni rilevanti non sempre produca risultati coerenti con le previsioni derivanti dalla teoria economica e comportamentale. In sostanza, politiche basate sull’informazione, nello specifico in relazione al significato delle etichette di scadenza, possono non produrre i risultati sperati in termini di riduzione della quantità di rifiuti da cibo.

Da questi due lavori emerge come le politiche legate ad una transizione verso consumi di cibo maggiormente consapevoli e sostenibili non siano semplici come il senso comune potrebbe suggerire. Da un lato il messaggio informativo sul ridotto impatto ambientale dei prodotti biologici, proposto da Serna Castano, ha dato risultati modesti in termini di incremento degli acquisti di alimenti biologici. Dall’altro, la fornitura di informazioni sul reale significato delle etichette di scadenza non sembra, almeno dall’evidenza riportata, in grado di ridurre significativamente sprechi di cibo altrimenti utilizzabile (etichetta di tipo Best Before). Non si tratta però di messaggi che devono scoraggiare. Spetta alla ricerca futura capire come far sì che le scelte relative al consumo di cibo possano essere corrette dove necessario e utilizzando strumenti efficaci.

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