Complessità e finanza nell’estrazione della rendita. Commento a ‘Termites of the State” di Vito Tanzi

Giovanni Ferri commenta il volume di Tanzi, Termites of the State, soffermandosi sulla questione della crescente complessità e sulla disuguaglianza. Dopo aver tratteggiato il legame tra complessità e sistema finanziario, Ferri sostiene che esso determina un ampliamento della capacità di estrarre rendite con conseguenze per la disuguaglianza e ritiene necessarie azioni di ri-regolamentazione in grado di riportare il ‘capitalismo finanziario’ alla sua originaria vocazione ‘produttiva’, così ripristinando l’efficienza del sistema economico e sradicando le termiti di Stato.

L’opera Termites of the State è una sorta di sunto e testimonianza di una vita e della lunga esperienza di un intellettuale che, sia pur prestato alle istituzioni, non ha mai abbandonato lo sforzo di ricondurre a categorie generali quello che viveva da alto consulente e policy maker. In ciò, pur avendo sposato il pragmatismo operativo angloamericano che permea le Istituzioni Internazionali di cui è stato a lungo ai vertici, Vito Tanzi testimonia il radicamento delle proprie origini culturali nello storicismo crociano, tipico dell’Italia in cui si era formato. In questo commento, mi concentrerò su una parte piccola, ma essenziale, del volume: quella ove Tanzi tocca lo snodo in cui l’estrazione della rendita si innesta con il ruolo regolatore dello Stato e contribuisce alla crescita della disuguaglianza, rischiando di minare il contratto sociale e la democrazia. In particolare, ciò riguarda i capitoli 12 (Termites in Regulatory Activities), 14 (A Closer Look at Regulations), 15 (Modernity and Growing Termites in Market Activities), 20 (Market Operations and Income Distribution) e 22 (Market Manipulations and Economic Outcomes) della parte II (Complexity and the Rise of Termites), quella che sviluppa il discorso da un punto di vista ‘positivo’ e i relativi riferimenti ‘normativi’ della parte III (Focusing on Equity). Commenterò queste parti dell’opera con un focus sul ruolo della finanza.

Nello specifico, tratteggerò il legame tra complessità e ruolo del sistema finanziario nel contribuire alla crescente disuguaglianza. Argomenterò poi che ciò si realizza soprattutto attraverso un ampliamento dell’estrazione della rendita. La principale conclusione a cui approderò è che il recupero della funzionalità allocativa del sistema economico di mercato richiede di ricondurre la finanza nel proprio alveo, attraverso azioni di genuina ri-regolamentazione (che al momento non sono all’orizzonte), in modo da riportare il capitalismo dall’attuale variante ‘finanziaria’ alla sua originaria vocazione ‘produttiva’. Ciò consentirebbe di ripristinare l’efficienza del sistema economico e anche di sradicare le termiti dello Stato, compito cui, per quanto improbo, Vito Tanzi ci richiama con la forza delle sue argomentazioni.

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Tanzi riconosce come la complessità sia un aspetto critico del sistema finanziario, così come si è venuto a plasmare negli scorsi decenni (cfr. specie cap. 14: pp. 155-158). La complessità riguarda il versante contrattuale, dove si pone il problema di tutela della parte debole (i consumatori di servizi finanziari), ma attiene anche, più in generale, alla salvaguardia del contribuente, sul quale ricadono i costi delle crisi di istituzioni finanziarie troppo grandi per essere lasciate fallire (“Too Big To Fail”). Il settore finanziario non è l’unico in cui si manifestano questi problemi: invero Tanzi ne elenca vari altri, tutti caratterizzati dall’esistenza di forte asimmetria informativa tra grandi imprese produttrici e consumatori decentrati. Tuttavia, la finanza è comunque il settore più grande ed emblematico in cui si verifica la congiunzione tra tendenza all’estrazione della rendita e simbiosi con la visione del fondamentalismo di mercato. È proprio quest’ultima simbiosi che determina pressioni a fiaccare la regolamentazione, così come accaduto per l’abolizione del Glass-Steagall Act – dal 1933 presidio della separazione tra banche commerciali e banche d’investimento – negli anni Novanta e per annacquare il Dodd-Frank Act nella fase più recente, e anche per impedire che i responsabili della creazione di enormi rischi sistemici, poi abbattutisi con la crisi sugli ignari contribuenti, siano soggetti a efficaci sanzioni.

L’autore sintetizza il suo pensiero al riguardo riportando un passo di Campbell (in American Economic Review 2016, p. 25): “La complessità degli assetti finanziari pone sfide spaventose alle famiglie per governare i loro affari finanziari, ai regolamentatori che cercano di assisterli e agli economisti … Gli errori finanziari delle famiglie offrono una nuova giustificazione per l’intervento [del governo] nell’economia”. Da cui Tanzi conclude: “perciò, la maggiore complessità giustifica maggiori interventi del governo” (p. 156). Più avanti, a p. 158, Tanzi nota “La letteratura associata con il ‘fondamentalismo di mercato’ ha continuato a insistere che un mondo con meno regole o con quasi nessuna regola funzionerebbe meglio di uno con regole governative che guidano, e a volte interferiscono con, l’azione del libero mercato. … Purtroppo, l’evidenza quasi giornaliera e molti esempi recenti ….. delle difficoltà che l’assenza, o la mancata osservanza, delle regole esistenti può creare solleva dubbi sulla rilevanza nella vita reale del mondo moderno di alcuni di quegli argomenti basati su un passato remoto o su analisi altamente teoriche.”

Queste distorsioni indotte o amplificate in primis dal settore finanziario saranno poi connesse, in altri capitoli del libro, alla crescente disuguaglianza e ai problemi di capacità fiscale pubblica. Insomma, Tanzi sembra sottoscrivere la visione che l’assoggettamento dell’economia di mercato a una sorta di capitalismo finanziario è all’origine di seri problemi per il bilancio pubblico nonché di crescente malessere sociale. Seguendo questa visione, proverò ad articolare qualche ulteriore ragionamento su complessità e finanza nell’estrazione della rendita, per poi tornare in conclusione al pensiero di Tanzi.

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La letteratura economica raccoglie crescenti evidenze che un fattore primario nel recente aumento nella disuguaglianza è stato la forte crescita dei redditi più alti e delle rendite del settore finanziario. Come evidenziano Philippon & Reshef (The Quarterly Journal of Economics, 2012), i compensi sono cresciuti nell’industria finanziaria prima degli anni Trenta e nel periodo 1993-2006. Gli autori sostengono che la deregolamentazione finanziaria è la principale determinante tanto della domanda di alte qualifiche quanto degli alti compensi nel settore finanziario, mentre altri fattori come la tecnologia, le attività delle società non finanziarie e la globalizzazione finanziaria giocano un ruolo secondario. Dal canto loro, Greenwood & Scharfstein (Journal of Economic Perspectives, 2013) mostrano che il reddito da commissioni è il driver di fondo della finanza, in specie accrescendo le commissioni di asset management e quelle del credito alle famiglie.

La crescente quota della finanza nel reddito nazionale è stata attribuita anche ad altri fattori. Korinek & Kreamer (Journal of Monetary Economics 2014) presentano un modello in cui la deregolamentazione finanziaria aumenta la disuguaglianza, accrescendo i profitti del settore finanziario. Vari modelli affrontano la questione dell’innovazione finanziaria dannosa o inefficiente allorché gli investitori vengono indotti a trascurare certi rischi a bassa probabilità (Gennaioli et al, The Journal of Financial Economics, 2012) o potrebbero generare profitti positivi per gli intermediari accrescendo però il rischio di crisi di liquidità future (Thakor, Journal of Financial Economics, 2012). A sua volta, questo tipo di innovazioni finanziarie potrebbero generare estrazione della rendita e una distribuzione dei redditi più disuguale. Bolton e altri (The Journal of Finance, 2016) argomentano che l’industria finanziaria estrae rendite eccessive perché acquisisce informazioni costose per comprare buone attività su mercati opachi (Over The Counter).

Un altro filone di letteratura esamina l’impatto dello status Too Big To Fail delle principali banche. Nella misura in cui tali banche godono di una garanzia statale implicita, esse vengono in effetti sussidiate dai contribuenti e ciò permette loro di estrarre rendite maggiori di quanto possano fare le società non finanziarie di dimensione simile (Baker e Mc Arthur, CEPR Reports and Issue Briefs, Center for Economic and Policy Research. 2009; Santos, FRBNY Economic Policy Review, December 2014).

Più in generale, lo sviluppo dei mercati finanziari può aver contribuito ad ampliare il distacco tra i benestanti e gli altri permettendo ai primi di estrarre più rendite. Al riguardo, Stiglitz (Inequality and Growth: Patterns and Policy, Palgrave Macmillan 2016) sostiene che gran parte del dibattito sulla disuguaglianza è viziato dal fallimento delle teorie dominanti di considerare le nuove forme di appropriazione del reddito basate sulla ricchezza come misura del controllo sulle risorse. Stiglitz identifica una serie di fattori che potrebbero spiegare quello che egli chiama “wealth residuals” (la componente del rapporto ricchezza-reddito che non può essere spiegato dal risparmio). La lista dei fattori che potenzialmente ampliano reddito e ricchezza derivanti da estrazione della rendita includono: (i) rendita su terre scarse e su altre attività non riproducibili (in parte dovuta alla crescente urbanizzazione); (ii) potere di mercato e sfruttamento (rendite basate su manipolazione dei mercati, insider trading e altre pratiche predatorie e discriminatorie); (iii) altre forme di sfruttamento dei consumatori (specie sfruttando le loro irrazionalità comportamentali); (iv) rendite sui trasferimenti dal settore pubblico a quello privato (es. il sussidio implicito per le banche “Too Big To Fail”); (v) rendite da conoscenza e informative (es. insider trading e manipolazione dei mercati dovuti a un accesso differenziale alle informazioni); (vi) quota della proprietà intellettuale (in parte dovuta al fenomeno della “recinzione dei beni comuni della conoscenza”, cfr. Boyle (Law and contemporary problems, 2003); e (vii) sensitività al tasso di sconto e capacità di gestire il rischio. Mentre lo sviluppo finanziario è direttamente connesso ai fattori (ii), (iv) and (v), è verosimile che influenzi anche gli altri fattori in elenco. Perciò, l’argomentazione di Stiglitz suggerisce che lo sviluppo finanziario può ampliare le rendite e, così, la disuguaglianza dei redditi.

È evidente come, così come per Tanzi, la complessità è ingrediente essenziale anche per il filone di letteratura brevemente richiamato.

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In conclusione, vorrei sottolineare l’escalation del pensiero di Tanzi dal suo working paper del Fondo Monetario Internazionale (Tanzi, Working Paper No. 0-181, International Monetary Fund, 2000), in cui emerge per la prima volta l’idea delle ‘termiti fiscali’. In esso, l’autore evidenziava una serie di fonti significative dell’indebolimento della capacità fiscale dei governi: i) il commercio e le transazioni elettroniche; ii) l’uso di monete elettroniche; iii) gli scambi interni all’impresa; iv) i centri finanziari off-shore e i paradisi fiscali; v) i derivati e gli hedge-fund; vi) l’inabilità a tassare il capitale finanziario; vii) la crescita delle attività estere; viii) lo shopping all’estero. Come si vede, allora Tanzi aveva già in mente una lista articolata. Tuttavia, l’escalation consiste nell’essere stato capace di generalizzare quei concetti iniziali e di sistematizzarli all’interno di un quadro interpretativo coerente, realistico e onesto. Con questo volume, l’autore torna alla verità più importante: alla fine, tanto i mercati quanto le regole e gli interventi governativi sono strumenti al servizio della società. Nessun pensatore saggio, ecco l’ammonimento, dovrebbe indulgere con l’ideologia del mercato libero a oltranza né con quella di interventi pubblici panacea di tutti i mali. Di tempo in tempo, di situazione in situazione, servono combinazioni diverse delle due classi di strumenti. Oggigiorno, visto che il ‘fondamentalismo di mercato’ ha in qualche modo contribuito a generare gravi disuguaglianze che minacciano il rispetto del contratto sociale, se non addirittura della sostanza dei regimi democratici, occorre assicurare il recupero della sostenibilità sociale. Ciò potrà richiedere una intensificazione degli interventi pubblici, per i quali si deve recuperare la capacità fiscale, ma, più in generale, richiede che siano ristabilite regole di comportamento che tutelino il senso di ‘opportunità non troppo disuguali’ tra le persone che fanno parte del consesso sociale e in esso debbono convivere.

Alla fine, per tornare al settore finanziario, è proprio la finanza che assurge a esempio principale di un capitalismo malato. Era già successo nel corso dei ruggenti anni Venti del secolo scorso. Al superamento di quella fase e a riportare l’economia di mercato dal patologico capitalismo finanziario al fisiologico capitalismo produttivo lavorò con successo Franklin D. Roosevelt. Meno noto è che la spalla fondamentale di Roosevelt fu un grande prosecutor di origine italiana. Emigrato bambino da Enna a New York, fu Ferdinando Pecora a condurre i famosi Pecora Hearings, cruciali per costruire il consenso dell’opinione pubblica e consentire che la prima legge firmata dal Presidente Roosevelt fosse proprio il Glass-Steagall Act, inaugurando quasi 70 anni di stabilità finanziaria e molti decenni di capitalismo produttivo e pace sociale. Forse oggi c’è bisogno di un altro Roosevelt. Vito Tanzi non fa il prosecutor ma è anch’egli un grande italiano che il nostro paese ha prestato agli Stati Uniti (e al mondo) e, con il suo lucido trattato sulle ‘termiti dello stato’, offre solidi punti di riferimento per fare da spalla al Roosevelt che verrà e riportare l’economia di mercato e il governo al servizio del progresso sociale.

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