Come riformare l’Irpef (seconda parte)

Ruggero Paladini prosegue la sua riflessione sulla riforma fiscale e sostiene che la struttura dell’Irpef andrebbe rivista. Il difetto principale è la forte elasticità sui redditi bassi e medi, che fa crescere troppo rapidamente il suo peso. L’alternativa è tra la riduzione di scaglioni ed aliquote e l’introduzione di una funzione continua (ogni euro uno scaglione), simile a quella esistente in Germania. Dietro questa scelta, apparentemente tecnica, si nasconde in realtà la scelta tra ridurre o mantenere, e al limite accentuare, la progressività dell’Irpef.

Continuando la riflessione avviata sullo scorso numero del Menabò mi soffermerò, con particolare riferimento al lavoro dipendente, su alcune proposte formulate nelle audizioni parlamentari in corso sulla riforma fiscale, specificamente sull’ipotesi di funzione continua e più brevemente sull’ipotesi cash flow.

Struttura dell’Irpef. Nella prima parte dell’articolo si è visto la struttura delle aliquote marginali effettive per il lavoro dipendente; quando l’Irpef diviene positiva, poco dopo gli 8.000, scatta il bonus 100 euro e il lavoratore riceve (se lavora l’intero anno) un trasferimento che fino a 12.500 è maggiore dell’imposta (11.500 se si tiene conto delle addizionali, mediamente sul 2%). Così a 9.000 il peso del combinato imposta-sussidio porta ad un’aliquota negativa di -10,7%, ma a 19.000 siamo già ad un’aliquota media di 10,2%. Fino a 40.000 le aliquote effettive diventano sempre più alte, per cui l’aliquota media arriva al 27,4%. Dopo la crescita rallenta e a 100.000 è al 36,2%.

Come si può vedere dal grafico, il problema non è di aumentare la c.d. no tax area, già più estesa rispetto a molti paesi europei, ma di rallentare la rapidità con cui, superato quel livello, l’aliquota marginale sale.

Aliquota media lavoro dipendente 9.000 – 100.000

Proposta UPB. Nell’audizione l’Ufficio Parlamentare del Bilancio ha avanzato una proposta per regolarizzare la struttura delle aliquote marginali sopra i 28.000, rimanendo in un ordine di costo sui tre miliardi. Tra 28.000 e 35.000 euro l’aliquota è fissata al 35%, tra 35.000 e 75.000 euro al 39%. A questo si affianca una detrazione che è data dalla somma di quella iniziale per il lavoro dipendente più il bonus 100 euro (3080), la quale decresce da 8.000 euro con la stessa aliquota marginale implicita di 4,5%, propria della sola detrazione nel tratto fino a 28.000 euro, ma arriva fino a 75.000 euro, che è il termine del 4° scaglione. Per compensare in parte il costo, l’aliquota del quinto scaglione è elevata a 44%. In questo modo si ha una regolarizzazione delle aliquote marginali ed una diminuzione di quella media sopra i 28.000 euro, che ha la massima differenza a 40.000 euro, dove il vantaggio è sui 1.200 euro ed in termini percentuali del 3%. Il vantaggio prosegue ovviamente anche per i redditi superiori, finendo a 115.000 euro.

La proposta ha un suo pregio, il punto critico resta quello dello scatto del bonus dopo gli 8.147 euro, del tutto illogico, oltre alla ripidità della curva fino a 28.000. Poiché le aliquote effettive dei primi quattro scaglioni sarebbero aumentate di 4,5 punti percentuali, quella del quarto scaglione coinciderebbe quasi con quella del quinto: 43,5% e 44%. Si potrebbe allora portare quest’ultima a 45%, recuperando un po’ di gettito che potrebbe ridurre la spesa volta ad eliminare l’incongruità ai bassi livelli di reddito.

Funzione continua. Un altro tema discusso nelle audizioni è quello della struttura dell’Irpef, tradizionalmente caratterizzata, come la maggior parte dei paesi, da scaglioni e aliquote (crescenti). Infatti da qualche tempo si discute della possibilità di adottare un sistema a funzione continua, ed il riferimento è alla Germania, dove è in uso da circa mezzo secolo. In una funzione continua l’aliquota marginale si eleva lentamente ad ogni aumento del reddito imponibile; si potrebbe dire è un’imposta a scaglioni in cui ogni euro è uno scaglione.

Per la verità, nel caso tedesco si dovrebbe parlare di un sistema misto; fino al 2020 infatti l’imposta prevedeva, al di sopra del minimo esente, quattro fasce di imponibile. Le prime due con progressività continua, e con funzione di imposta quadratica, il che implica che l’aliquota marginale salga ad un ritmo doppio di quella media; la marginale andava dal 14% al 24% nella prima funzione, e dal 24% al 42% nella seconda, che aveva un coefficiente più piccolo. Da quest’anno vi è una funzione continua unica che unifica le due precedenti; per un singolo contribuente si inizia da 9.409 con un’aliquota marginale del 14%, per arrivare a 57.051 con aliquota del 42%; seguono due scaglioni tradizionali, il primo con il 42% fino a 270.500, ed il secondo con il 45% successivamente.

Ovviamente, si possono immaginare funzioni diverse, non quadratiche, in cui la crescita dell’aliquota marginale, e quindi media, sia più graduale. Una proposta di tre funzioni continue distinte per lavoratori dipendenti, pensionati ed autonomi, è stata avanzata di recente (Longobardi, Pollastri e Zamagni, “Per una riforma dell’Irpef: la progressività continua dell’aliquota media”, Politica economica, 2020). Le funzioni sono costruite in modo da realizzare la costanza dell’elasticità di reddito netto (rispetto a quello lordo); hanno tre minimi diversi e si estendono per intervalli diversi, dopo un reddito massimo scatta uno scaglione con aliquota marginale costante. Vengono riassorbiti tutte le detrazioni o bonus, ma si paga il prezzo di avere tre imposte diverse in tutti gli aspetti.

Si può invece pensare ad una funzione unica per tutti i contribuenti, che parte da zero e si estende fino ad un livello massimo dopo il quale si passa necessariamente ad un sistema con aliquota marginale costante, che coincide con l’aliquota marginale più prossima al massimo. E’ accompagnata da detrazioni differenziate per le tre categorie di redditieri, e quella per i lavoratori dipendenti si trasforma in un’imposta negativa.

Sembrerebbe una tema solamente tecnico, da specialisti, ed in effetti in alcune audizioni si sostiene che la scelta tra scaglioni e funzione continua sia sostanzialmente indifferente, una questione estetica. In effetti la nostra Irpef, quando è nata, con 32 scaglioni, approssimava bene una funzione continua; va ricordato che l’Imposta Complementare del 1923, proposta nel 1919 da Filippo Meda, un deputato del partito di Sturzo, era caratterizzata da un funzione continua.

Tuttavia nel dibattito è emerso che dietro la questione dell’imposta continua si cela quello della progressività dell’imposta. Una funzione continua ha senso se si vuole un grado non banale di progressività, come appunto nel caso tedesco, dove le aliquote marginali vanno dal 14 al 45%. Pertanto chi vuole una riduzione della progressività preferisce ridurre gli scaglioni; inoltre per non creare salti di aliquota troppo forti, si sostiene l’opportunità di ridurre il salto di aliquote, in particolare, nell’Irpef attuale, quello tra il secondo ed il terzo scaglione, dopo i 28.000 euro, dove si passa da 27% a 38%. Ora è evidente che una funzione continua evita proprio i salti d’imposta, ma implica comunque un aumento dell’aliquota marginale a livelli elevati di reddito; se si vuole ridurre gli scaglioni, abbassare le aliquote più alte, ed allo stesso tempo evitare salti di aliquota, bisogna andare nella direzione di schiacciare il range delle aliquote fino, al limite, ad avere una sola aliquota. Anche una flat tax può assicurare la progressività con una deduzione fissa dall’imponibile; si tratta di una imposta con un grado omeopatico di progressività, avvertibile solo a livello bassi di reddito, anche se ne rispecchia il concetto, con aliquota marginale maggiore di quella media.

Non si deve pensare che i sostenitori della flat tax, o comunque di una riduzione della progressività, siano semplicemente interessati a ridursi l’imposta; vi è una teoria, detta supply side economics, secondo la quale le aliquote marginali elevate ostacolano la produzione e quindi il reddito. Ad esempio supponiamo che un famoso cantante faccia dieci concerti l’anno. Potrebbe fare anche l’undicesimo, e forse il dodicesimo, ma non lo fa perché la remunerazione netta che otterrebbe sarebbe troppo bassa, a causa dell’aliquota marginale elevata. Riducendo quest’ultima, il cantante sarebbe disposto a fare più concerti; questi concetti, che risalgono ad oltre quaranta anni fa, sono riecheggiati nelle audizioni. Questa, in sostanza, è la teoria; tuttavia le numerose indagini empiriche hanno dato altre indicazioni: coloro che guadagnano redditi elevati e sono sottoposti ad alte aliquote marginali mostrano una bassa reattività all’imposta. Al contrario sono le persone con redditi medio-bassi a essere sensibili, ma non tanto all’aliquota marginale quanto piuttosto a quella media; in particolare le donne, soprattutto nella decisione di entrare, o meno, nel mercato del lavoro. Certo poi vi sono anche sportivi o attori che percependo compensi molto alti spostano la loro residenza in modo da pagare meno imposte, ma qui è l’aliquota media che importa, non la marginale. 

Imposta cash flow per gli autonomi. Un tema più tecnico di cui si è discusso nelle audizioni è quello della applicazione di un sistema di individuazione della base imponibile, per i contribuenti a partita Iva, secondo il criterio del flusso di cassa (cash flow). Per la verità non è del tutto chiaro se la proposta di deduzione immediata degli investimenti implichi l’adozione di un vero sistema cash flow.

Certamente in questo sistema si prevede la deducibilità immediata degli investimenti, con abolizione degli ammortamenti pluriennali, ma non ci si limita a ciò; come è stato ricordato, anche il sistema cash flow prevede la non deducibilità degli interessi passivi, e la tassazione integrale dei cespiti patrimoniali alienati. Forse l’origine della proposta sta nella volontà di superare i sistemi di super o iper ammortamento, riservati all’industria 4.0, generalizzando a tutti gli investimenti il sistema di deduzione integrale. Negli anni ottanta vi è stata una ampia discussione sulla possibilità di applicare il sistema cash flow, pensato però soprattutto per le società, e sono state fatte anche alcune esperienze concrete; ad esempio in Croazia, al momento del passaggio del sistema economico ad economia di tipo capitalistico. L’esperienza però è stata negativa, e il paese ha fatto marcia indietro.

Nelle audizioni sono infatti state ricordate le complicazioni applicative del sistema cash flow, e le conseguenze negative connesse con l’avere una base imponibile sottoposta ad oscillazioni più marcate di quelle che si possono verificare, nei normali cicli economici, con i sistemi tradizionali di reddito, come definito dal codice civile.

Conclusioni. Come è noto, la legge di Bilancio 2021 ha destinato una cifra modesta per la riforma dell’Irpef, entro i tre miliardi, dato che l’istituzione dell’assegno per i figli assorbe una cifra pari al doppio. Pertanto in alcune audizioni si è indicata la strada della riduzione del peso dell’Irpef sul lavoro sia con l’aumento dell’imposizione indiretta che con quella sugli immobili, seguendo indicazioni che provengono da tempo dalla Commissione europea e da organismi internazionali. Nel suo discorso alle Camere Draghi ha indicato la strada di una revisione complessiva del sistema fiscale, con attenzione alla coerenza del sistema, sempre ispirata a criteri di progressività. Si è riferito all’esperienza danese con due indicazioni, cioè la riduzione dell’aliquota massima e l’aumento della no tax area; queste indicazioni non sembrano appropriate al caso italiano. Infatti la nostra aliquota massima, ancorché comprensiva delle addizionali, è intorno al 45%, simile a quella di altri paesi; per i livelli bassi, come si è visto, il problema non è quello dei minimi imponibili, ma della forte crescita dell’aliquota media sui redditi bassi e medi.

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