Come lottare per il socialismo?

Caro direttore,

ho letto l’articolo che mi hai inviato di Giuliano Garavini (Aprile on line del 16 novembre) e mi sono profondamente rattristato. Avevo apprezzato sul Menabò e su altre riviste altri articoli di Garavini e mi attendevo da lui un valido contributo alla battaglia che molti compagni stanno conducendo dentro e fuori i DS per impedire la picconata che Curia e Confindustria vogliono dare a questo partito per andare tutti, sotto la guida di Parisi e Rutelli, a ricostituire il Partito Democratico (cristiano). Ho trovato invece un duro attacco alla socialdemocrazia europea, una presa in giro del ruolo del PSE al Parlamento europeo e la proposta di liberarci per sempre di ogni riferimento al socialismo. Il tutto, ovviamente, in nome di una vera sinistra.

Non ignoro affatto che molte critiche di Garavini alla socialdemocrazia europea sono fondate. E’ indubbio che essa sta attraversando una crisi e che questa crisi nasce a sua volta dalla crisi di quel Welfare State che è merito della socialdemocrazia europea avere fondato come mezzo per affermare in concreto quei diritti universali di cittadinanza che i socialisti hanno per primi proclamato come conquista inalienabile e come superamento delle concezioni assistenziali proprie della Chiesa cattolica.

Che a questa crisi si sarebbe giunti era stato visto tempestivamente da molti studiosi e dalla stesso PCI: Garavini non ha che da sfogliare libri e riviste dal 1960 in poi. Ma Garavini dovrebbe anche documentarsi su tutto ciò che di positivo il Welfare State socialdemocratico ha portato in Europa e non solo in Europa occidentale: veda le inchieste sugli ex paesi cosiddetti di democrazia popolare e sul profondo rimpianto che servizi sanitari nazionali e altre forme di sicurezza sociale garantivano ai cittadini. Troppi hanno pagato la riconquista della libertà e della democrazia con la perdita della sicurezza.

Vorrei ricordare a Garavini un vecchio articolo di Albert Einstein (1948) in cui si affermava che il vero scopo del socialismo era ed è quello di andare oltre “la fase predatoria dello sviluppo umano” per costruire un modello sociale capace di conciliare, nella libertà e nella democrazia, il benessere del singolo individuo con quello della comunità e della collettività. Einstein non si nascondeva la difficoltà del compito e tra i compiti difficili da affrontare indicava quello del passaggio ad un sistema educativo non più volto ad esaltare la competitività e il successo personale, ma volto in primo luogo a sottolineare l’importanza di essere e sentirsi membri di una società. Che non è solo la società degli operai e dei contadini – aggiungo io – ma è la società delle persone umane, non ignorata dal Marx giovane e dal Marx filosofo.

Purtroppo, nel dibattito che è in corso oggi nella sinistra italiana, nessuno sforzo viene compiuto per affrontare sul piano teorico e pratico la crisi e riprendere i fili che studiosi ben noti al Menabò hanno lasciato da tessere. Si discute solo di nomi, di soluzioni organizzative, del ruolo da garantire a Prodi ( e Rutelli), del modo per aggirare i problemi veri – a partire da quelli economici – e combinare insieme le tante ambizioni personali. Ed è doloroso vedere persone di valore non capire l’attrazione che i valori e i simboli del socialismo – a partire dal nome – ancora esercitano su milioni di persone che dovrebbero essere coinvolte nella lotta per affermarlo in una libera società e in un mercato trasparente.

Antonello Raucci

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