Come dare il voto ai bambini

Miles Corak, in un articolo che è stato originariamente pubblicato nel 2012 sul suo blog (http://milescorak.com/) e che qui traduciamo, illustra – rielaborando l’originaria proposta del demografo Demeny -le ragioni per le quali, adottando la prospettiva dei diritti, bisognerebbe riconoscere anche ai bambini il diritto al voto. Tale diritto sarà esercitato dai loro genitori o da chi ne ha la potestà, secondo modalità da definire, ma l’effetto principale che Corak si aspetta da questo riconoscimento è che le esigenze dei bambini peseranno di più sulle scelte politiche.

Il diritto al voto è un diritto fondamentale di tutti i cittadini, il primo e il più importante segno della capacità di partecipare alla definizione delle priorità sociali.

I bambini devono avere tale diritto fin dalla nascita. Tuttavia, tale diritto, prima del raggiungimento dell’età adulta deve essere esercitato per delega, attribuendo un voto aggiuntivo ai genitori o ai tutori legali.

Questo schema di voto ha una lunga storia, ma più recentemente è divenuto noto come “votazione alla Demeny”, dal nome del noto demografo Paul Demeny che presentò questa idea in una pubblicazione del 1986. In realtà, Demeny accenna brevemente a questa idea nell’ultima pagina di un articolo dedicato alla bassa fertilità:

“Rafforzare l’influenza delle famiglie con figli nel sistema politico. Quando nuovi entranti sono ammessi nella società umana, essi non devono essere lasciati senza diritto di voto per un periodo che si aggira attorno ai 18 anni: bisogna permettere ai genitori affidatari di esercitare i diritti di voto dei figli fino a quando questi non raggiungano la maggiore età” (Demeny 1986, p. 354)

La proposta di Demeny era motivata dal convincimento che essa avrebbe aumentato il tasso di fertilità; quando Demeny scriveva, il declino della fertilità, era considerato un’importante questione di politica pubblica.

Ma, adottando la prospettiva dei diritti umani l’estensione del voto ai bambini merita di essere perseguita non per le sue conseguenze ma perché intrinsecamente appropriata: essa rispetta i diritti fondamentali e inalienabili dei bambini in quanto cittadini.

La convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia è chiara nel riconoscere ai bambini diritti civili e politici; ad esempio, nell’articolo 12 chiede ai governi di garantire “al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessi e le sue opinioni saranno debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità” e a tale fine “si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole procedurali previste della legislazione nazionale”.

Un “diritto” implica un “dovere”; esso, dunque, coinvolge non solo il titolare del diritto, ma anche un agente che ha la responsabilità di far rispettare il diritto. Quest’ultimo è insito nell’individuo, il dovere deve essere esercitato dallo stato.

La convenzione è anche chiara nell’affermare che i governi devono rispettare le responsabilità e i doveri che i genitori e le famiglie hanno di sostenere i diritti del bambino “in modo appropriato allo sviluppo delle sue capacità”.

Il fatto che i bambini non abbiano il diritto di voto e che le famiglie non possano esercitarlo per loro conto è un fallimento nella realizzazione dei diritti civili e politici del bambino. Tale fallimento deve essere affrontato con riforme elettorali appropriate.

In un’intervista alla radio del 2011, nel programma della rete CBC As It Happens, Demeny motivava il suo schema di voto sulla base non delle conseguenze, ma dell’idea che esso rappresenti un naturale sviluppo del progetto democratico: così come nel diciannovesimo secolo questo progetto si fece carico di estendere il diritto di voto senza limitazioni di censo e di classe; così come nel ventesimo secolo esso di fece carico di attribuire il diritto di voto indipendentemente dal genere; allo stesso modo nel ventunesimo secolo la preoccupazione dovrebbe essere quella di estendere il diritto di voto superando le limitazioni dovute allo status generazionale.

Adottare la prospettiva dei diritti è importante anche rispetto ai diritti socio-economici che richiedono un dovere “positivo” dallo stato; lo è non perché consente di ricorrere alla magistratura per difendere i propri diritti, ma piuttosto perché incoraggia la partecipazione al processo di definizione delle priorità sociali.

Il diritto all’istruzione, all’assistenza sanitaria, a vivere liberi dalla povertà non possono, in realtà, essere definiti in via giudiziaria. Tali diritti riflettono scelte politiche e assorbono spesa pubblica; dunque, essi impongono di misurarsi con i trade-offs. Ma le scelte politiche rispetto a tali trade-offs sono distorte perché i bambini non hanno voce politica. Il riferimento ai diritti ci rende più consapevoli di questa distorsione. La società trasferisce risorse economiche ai genitori perché ne beneficino i bambini; essa dovrebbe trasferire loro anche risorse politiche.

Il disegno specifico di uno schema di voto “alla Demeny” merita una più ampia discussione. Demeny suggerì che ciascun genitore avesse diritto a mezzo voto in più per ogni figlio posto sotto la propria tutela. Altri potranno essere più cauti nell’attribuire voti addizionali ai genitori, in particolare in casi di abuso o quando la famiglia non si preoccupa del benessere dei figli oppure quando i figli non risiedono più coi genitori. Ma la mia opinione è che le madri, o eventualmente il genitore affidatario, debbano avere la delega per l’intero voto di ciascun figlio sotto tutela.

Questo è coerente con la pratica, diffusa in Canada e in altri paesi, di trasferire alle madri le risorse economiche destinate ai figli. Ciò avviene anche in base a una ricerca empirica che documenta come le spese familiari tendano, in media, a riflettere meglio i bisogni dei bambini quando il potere contrattuale della madre nella famiglia è più forte.

Il punto centrale è che estendere il diritto di voto ai bambini aumenterebbe l’incentivo delle famiglie a votare, ma, punto ancora più importante, spingerebbe i politici, a tenere conto dei problemi delle famiglie con bambini. Durante le campagne elettorali gli asili nido sarebbero visitati con la stessa frequenza con cui oggi sono visitati i posti di lavoro e le case per anziani.

Solo in questo modo, i diritti socio-economici dei bambini riceverebbero il giusto riconoscimento e solo in questo modo ci sarebbe dignità per tutti sia nelle istituzioni fondamentali della società sia nell’attuazione delle politiche pubbliche.

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